La foto è di Tiziana Mercurio
Agrigento (Akragas) è l’ultima delle grandi colonie greche nell’Italia meridionale ma una delle più grandi, fino a diventare una delle città più importanti del Mediterraneo. Diodoro siculo parla già di duecentomila abitanti; tra questi il filosofo Empedocle.
Siamo alla vigilia delle Olimpiadi: vorrei ricordare in proposito la partecipazione di Terone, il benvoluto tiranno di Akragas, e di altri acragantini ai giochi olimpici dell’antica Grecia. Una partecipazione celebrata da Pindaro e da Simonide.
Fondata originariamente da coloni provenienti da Gela, Akragas ne accolse poi altri provenienti da Creta e Rodi, prima di essere occupata dai cartaginesi, subire distruzioni, cadere sotto l’influenza di Siracusa, venire incorporata da Roma e infine far parte del regno dei normanni.
Questo rimescolio di popoli non nocque ma anzi contribuì allo sviluppo della città, che fu per secoli una delle più fiorenti.
Il “Mare di Mezzo” non divide ma congiunge. Al tempo in cui i trasporti per terra erano così faticosi il mare era una grande piattaforma da una sponda all’altra, una grande autostrada liquida sulla quale scorrevano i traffici e gli scambi culturali.
Come osservava Paul Valery “La medesima nave, la medesima barchetta portavano le merci e gli dèi, le idee e i metodi. Quante cose, per contagio o per irradiamento, si sono sviluppate sulle sponde del Mediterraneo! In questo modo si è costituito quel tesoro cui la nostra cultura deve quasi tutto, nelle sue origini: posso dire che il Mediterraneo è stato una vera e propria “macchina per fabbricare civiltà”. Ma tutto questo, creando affari, creava al tempo stesso, necessariamente, la libertà dello spirito”.
I maestosi templi di Agrigento sono l’incantevole testimonianza della grandezza e della raffinatezza estetica che caratterizzarono quell’epoca, come attestato da Pindaro che definì Akragas la più bella città dei mortali.
Federico II fece del regno di Sicilia il più prospero paese d’Europa basandolo su una società mista e multiculturale, composta da musulmani ed ebrei oltre che da cristiani, tutti conviventi operosamente con tutela dei loro diritti fondamentali della persona.
Sviluppò il commercio marittimo nell’intera area del Mediterraneo, creando stazioni commerciali sulla costa africana e in Medio Oriente, ma nello stesso tempo accolse a corte filosofi e poeti d’ogni dove. Sottraendosi alle angustie di una visione clericale del mondo, si circondò dei maggiori uomini di cultura del suo tempo, di tutte le provenienze, facendo della Sicilia un connubio di propulsione economica e di cultura.
Meraviglioso esempio di interscambio culturale in un regime di tolleranza e di accettazione reciproca.
Fu lì che, con la scuola poetica siciliana, nacque la poesia italiana; una fioritura poetica che ebbe tale fama che, come riferisce Dante, agli inizi del dodicesimo secolo il linguaggio poetico veniva detto “siciliano”.
Con gli studi giuridici e filosofici Federico II pose la giustizia al di sopra dello spirito di parte.
Promosse studi di diritto, medicina e matematica e a tal fine fondò l’università di Napoli perché formasse giovani così come facevano le università di Bologna e di Padova.
Giustamente, quindi, oggi la Sicilia, e per essa Agrigento, viene designata come luogo di elezione per la cultura.
Mi piace così vedere simbolicamente in Agrigento uno dei luoghi naturali d’incontro tra i paesi del Sud e del Nord – ma anche il Mediterraneo, questo grande tapis roulant dell’Est, del Centro, dell’Ovest del Mediterraneo -, una delle sedi naturalmente predisposte al dialogo per il rafforzamento dei legami tra i popoli e le culture.
Il Mediterraneo non è il non-luogo dell’utopia, ma un topos storico-sociale geo-politico, fondato su un comune atteggiamento spirituale.
“Méditerranéiser la pensée” significa recuperare la grande spinta culturale che ha fecondato le nazioni fiorite sulle rive del “Mare di Mezzo” e riproporla come nuova spinta evolutiva dei nostri popoli all’insegna della ricerca, della formazione, dell’innovazione tecnologica, dell’affermazione dei valori di convivenza pacifica, della interrelazione tra aree culturali diverse, pur nel riconoscimento della specificità delle diverse culture.
Oggi il Mediterraneo è dilaniato da conflitti atroci, generati da un oscurantismo retrogrado, apparentemente senza via di uscita.
Eppure, tra i popoli delle sue rive, se guardiamo a tempi anteriori a quelli della contrapposizione cieca, rinveniamo radici comuni che costituiscono la nostra storia e testimoniano l’essenza del bacino mediterraneo.
Oggi le sponde africane del Mediterraneo vengono in considerazione come luoghi di partenza di emigrati disperati, provenienti anche dall’interno dell’Africa e dall’Asia.
Ma al tempo dei romani i popoli della costa africana raggiunsero un livello di sviluppo paragonabile a quello dei popoli della sponda opposta. Qualcosa di simile accade al tempo del regno dei Normanni.
Con l’affermarsi del fondamentalismo l’istruzione di massa nei paesi islamizzati ha registrato un regresso impressionante.
Ma ci sono, malgrado tutto, fermenti culturali resistenti alla degenerazione degli anni recenti.
Gli africani deportati nelle peggiori condizioni hanno dato luogo negli Stati Uniti a una comunità etnica integrata nella società americana, non solo nel mondo dello spettacolo ma anche nelle professioni, nelle istituzioni civili, religiose, militari.
L’Africa non può essere ignorata dall’Unione europea come non fu ignorata dai romani.
Un’immigrazione incontrollata rischia di tracollare il paese ospitante; non è possibile una società senza frontiere.
Ma la società europea è una società che invecchia; quindi, avrà bisogno di immigrati africani nei lavori agricoli e nei servizi, specie turistici, nonché, in quantità limitate, di persone con specifiche competenze o attitudini professionali. Occorre una selezione anche qualitativa, come in Germania, Inghilterra, Svezia.
I romani richiedevano che gli immigrati si integrassero o fossero respinti, e per l’integrazione esigevano – con successo – la condivisione della lingua e dei loro valori.
Noi non pretendiamo che condividano i nostri valori, ma dovremmo esigere almeno che siano rispettati.
Pensare all’avvicinamento delle diverse legislazioni nazionali al di là dell’Europa sarebbe oggi utopistico.
Ma intanto è possibile l’avvicinamento delle regolazioni delle comunicazioni dando ai cittadini la possibilità di beneficiare delle opportunità di scambio culturale offerte naturalmente dai servizi media audiovisivi. Avvicinamento non significa solo armonizzare il quadro regolamentare, ma anche favorire l’incontro tra le diverse culture ed i diversi popoli in modo da far sì che ne derivi l’integrazione tra i paesi coinvolti.
Niente come la televisione induce a un avvicinamento dei costumi e quindi tendenzialmente del modo di vivere e delle mentalità. Persino in guerra la televisione non è meno importante delle armi. Influenza direttamente i popoli malgrado la resistenza dei governi: che volenti o nolenti, prima o poi dovranno prenderne atto.
Sebbene il clima non favorevole, i regolatori mediterranei hanno fatto un passo significativo verso questo processo di armonizzazione per la progressiva definizione di un quadro unico di riferimento.
Più lento, ma più profondo e sostanziale, è il processo di scambio culturale.
Il fondamentalismo estremista falsifica la storia, a volte perfino in modo delirante. Ma non c’è falsificazione che alla lunga resista alla cultura.
È la cultura che fabbrica le civiltà, è la cultura che apre le menti e le sottrae alle vessazioni bieche dei regimi costrittivi e ignorantisti.
È la cultura che rende meno insignificante la nostra effimera vicenda umana. In tempi recenti Agrigento ci ha dato Pirandello.
L’augurio è che a una maggiore comprensione del presente e a una migliore aspettativa del futuro dia il suo contributo il rilancio culturale irradiato da Agrigento. Un rilancio culturale incentrato sui valori che Agrigento ha rappresentato nella sua storia; quindi, di respiro europeo, ma con visione mediterranea.
Napoli, ottobre 2024