Ecco alcuni misteri, e anomalie, legate a quella vicenda. Intanto, come facevano a sapere i brigatisti che quella mattina le auto con il Presidente Moro
La vicenda del rapimento e uccisione del Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, e l’omicidio dei cinque uomini della sua scorta, è stato al centro della terza giornata della manifestazione dal titolo: “Frammenti di storia” voluta dalla Proloco “Futos”, con il suo presidente Gerardo Luongo, e dal comune di Futani e tenutasi lo scorso ventuno luglio. Ospite della serata, l’On. Gero Grassi che ha presentato il libro: “Aldo Moro: La verità negata”, tratto dall’attività della Seconda Commissione di inchiesta sul caso Moro, che ha chiuso i lavori nel dicembre del 2017, di cui lo stesso On. Grassi è stato uno degli esponenti di spicco. Dopo l’intervento del sindaco del comune di Futani, Dario Trivelli, del Consigliere regionale Corrado Matera, del Vice Presidente Pro Loco “Futos”, Simone Ruocco, del Presidente comitato provinciale UNPLI Salerno Pietro D’Aniello, ed allietati dagli intermezzi musicali affidati al violino di Gaia D’Angiolillo, e toccato ad Antonio Pesca, già autore scritti proprio su questa vicenda, dialogare con l’autore. L’On. Gero Grassi, ha così ripercorso i motivi che erano posti alla base dei fatti che cambiarono la storia politica del nostro Paese in quella Primavera di quarantasei anni fa. Infatti, correva il sedici marzo del 1978 quando in via Mario Fani a Roma, le Brigate Rosse sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e uccisero i cinque agenti di scorta. Il nove maggio, di quello stesso anno, dopo una prigionia durata cinquantacinque giorni, il corpo del presidente della DC sarà fatto ritrovare senza vita in Via Caetani a Roma. Ma cosa accadde realmente in quei cinquantacinque giorni? Dalle indagini svolte dalla Commissione Parlamentare, risultano fatti inediti e inquietanti che descrivono una storia, per tanti aspetti, diversa da quella narrata nei sei processi che si sono tenuti su quei fatti. Ecco alcuni misteri, e anomalie, legate a quella vicenda. Intanto, come facevano a sapere i brigatisti che quella mattina le auto con il Presidente Moro a bordo sarebbero passate di lì? Infatti, la sera prima erano andati a tagliare le ruote di un fioraio, che stazionava nel luogo teatro del rapimento, per impedire allo stesso di essere presente. Eppure, il tragitto che i veicoli, con l’On. Moro a bordo, dovevano percorrere, venivano stabiliti all’ultimo minuto attraverso una comunicazione con la centrale. Chi decise quel tragitto? Purtroppo non lo si saprà mai, visto che i fogli, del brogliaccio che li custodivano, sono stati “persi”. Poi i colpi esplosi in Via Mario Fani. Su novantatré, quarantanove vennero sparati da un’unica mano. Poi la presenza di un Colonnello del Sismi (il nostro servizio segreto militare) che si trovò proprio in quella strada, mentre avveniva in rapimento. Le moto Honda presenti durante il rapimento e che non facevano parte del commando dei terroristi. Il bar Olivetti, da dove sbucarono i brigatisti, ufficialmente chiuso e che invece era aperto, come ha scoperto la Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro. Bene, su quel bar, e da chi era frequentato, ciò che ha scritto quella commissione lascia sbigottiti. Il falso comunicato n. 7 delle Br relativo al lago della Duchessa, scritto da un falsario della banda della Magliana, Tony Chichiarelli. Il covo di Via Gradoli, un nome venuto fuori in una seduta spiritica fatta da alcuni professori universitari che poi sono diventati ministri della Repubblica. Presso lo stesso appartamento, dei poliziotti avevano bussato senza ricevere risposta, due giorni dopo il rapimento Moro. L’esecuzione nel garage di Via Montalcini a Roma, dove dicono i brigatisti di aver ucciso il presidente Moro. Ma i riscontri, fatti dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta, mettono in forte dubbio le modalità descritte. Ci sono ancora tanti misteri legati a quei fatti verificatisi prima e dopo quei cinquantacinque giorni. Uno su tutti: il quattro agosto 1974 ci fu la strage del treno Italicus. Pochi ricordano una strana coincidenza. Su quel treno era salito anche il Ministro degli Esteri dell’epoca, l’On. Aldo Moro, ma pochi minuti prima di partire, alcuni funzionari dello stesso ministero lo fecero scendere poiché doveva firmare alcuni documenti.
L’On. Grassi, ha voluto ancora ricordare come, quarantasei anni fa, c’era la cosiddetta “guerra fredda”. Il mondo era diviso in due grandi blocchi contrapposti, in una logica decisa a Yalta nel 1944. L’Italia era un Paese collocato tra le democrazie occidentali. Però, nel nostro Paese, c’era la presenza del più grande Partito Comunista d’Occidente. E in gioco, per chi guidava il governo del Paese, cerano i segreti Nato e tanto altro. E in quel contesto, il disegno politico, messo in piedi proprio da Aldo Moro con il Segretario del Partito Comunista Italiano Enrico Berlinguer, passato alla storia con il nome di “compromesso storico”, ovvero il cercare di creare anche in Italia una democrazia dell’alternanza, aveva allarmato tutti i Paesi, sia dell’Occidente che del cosmo Sovietico, poiché metteva in pericolo la stabilità del mondo, così come lo avevano disegnato, e la stessa collocazione del nostro Paese in quello scacchiere. Insomma, quel disegno politico venne violentemente interrotto, indirizzando la politica verso la ricerca di altre soluzioni.
Una splendida serata, che ha fatto rivivere una delle pagine più oscure della nostra storia recente, e che ha riscosso una notevole partecipazione di pubblico. La speranza è che tutti quegli eventi non finiscano nel dimenticatoio del tempo e che nelle scuole le nuove generazioni non vengono lasciate all’oscuro di ciò che è stato con programmi di apprendimento di storia che, quasi sempre, non vanno mai al dì là della Seconda guerra mondiale. E un popolo che dimentica il suo passato è destinato, prima o poi, a riviverlo.