Pianta millenaria, forte e longeva, il castagno è l’ incontrastato simbolo dell’autunno cilentano: un albero che per le generazioni del Cilento interno è stato fonte di sostentamento.
I primi documenti ufficiali che attestano la presenza di vasti boschi di castagni nel Cilento risalgono al 1183-1184, e sono stati ritrovati nell’archivio della Badia di Cava che ne aveva la proprietà e che, per occuparsene, aveva bisogno di un amministratore dedicato esclusivamente alla loro gestione. Il legame tra questo forte albero e il Cilento è da collegarsi alla presenza massiccia, sul territorio montuoso dell’interno, dei monaci Basiliani. I monaci, che in questi luoghi hanno costruito edifici religiosi e villaggi di cui restano visibili tracce archeologiche, hanno contribuito in maniera significativa alla diffusione delle fitte foreste di castagni che ancora oggi possiamo ammirare, attraversate da vie che collegano paesi vicini e confinanti, uniti fra loro da maestose foreste di castagni.
La raccolta delle castagne, in autunno, è un rito collettivo che si ripete ancora oggi nelle montagne del Cilento interno. Fin dai secoli passati, si raccolgono le castagne che devono essere conservate fino a Natale, che devono essere consumate fino alla fine del lungo inverno. La castanicoltura ha riscaldato con la legna di castagno e sfamato con la farina di castagna intere generazioni di cilentani dell’entroterra. Farina preziosa, quella del castagno, con cui si preparavano pane e pasta. Nei momenti di festa legati alla religiosità, poi, la farina di castagna ha un utilizzo speciale per preparare i dolci tipici cilentani che celebrano il Natale. Dolci come la pastorella cilentana, la cui preparazione è un rituale ancora oggi intriso di valori e significati religiosi: la pastorella è il dolce a forma di stella, come la stella che condusse i Re Magi al Betlemme; a forma di stella, a significare la luce, la luce della nascita.
La castagna, oggi non più utilizzata per pane e pasta come un tempo, è ancora il prodotto alla base di questo tipico dolce, la pastorella, che per tutti noi cilentani ricorda il Natale. Un dolce tanto caro che viene riproposto anche nelle sagre e nelle tante occasioni di festa durante l’estate, quando emigrati e oriundi tornano nel Cilento per ritrovare le radici, radici che riscoprono anche attraverso il dolce tipico, il dolce del ricordo, fra i più antichi e i più apprezzati: la nostra pastorella cilentana!
Farina dei poveri, è così che viene definita una farina ricca di elementi nutritivi, dagli elevati valori nutrizionali. Una farina, quella di castagna, che io ritengo nobile quanto la farina di grano: ‘farina della montagna’, sarebbe più giusto chiamarla, perchè questa farina ha nutrito poveri e ricchi nei momenti di carestia, come quella, terribile, che colpì il Cilento nel 1764, quando la castagna sfamò anche le popolazioni della costa che non avevano più grano. Ricchi o poveri che fossero, i cilentani si sono nutriti a lungo della preziosa farina di montagna, e oggi continuano ad apprezzarla come gustosa farcitura dell’apprezzata pastorella.
La farina dell’albero di castagno, pianta diffusa dai monaci Basiliani, è la farina che ci dona da secoli la montagna: bene prezioso da custodire e da tutelare, come per secoli hanno fatto le generazioni che ci hanno preceduto.