La scuola di merito ricorda Don Lorenzo Milani a cento anni dalla nascita
L’esperienza della scuola di Barbiana si rivela ancora attuale e di grande rilevanza educativa. Don Milani:“Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo di espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose”. L’intervento di Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, in occasione della celebrazione del centenario. A cento anni dalla nascita di Don Milani (27 maggio 1923), la Biblioteca del MIM, ha esposto i volumi, tratti dalle collezioni ministeriali, presso la Sala dell’Emeroteca. Valditara: “In una ricorrenza che cade durante un periodo di grandi trasformazioni della scuola italiana e che ci invita a riflettere sia sulle misure già in atto sia sui cambiamenti che intendiamo promuovere a favore dei nostri studenti, ricordiamo Don Lorenzo Milani. Il suo modo di interpretare la scuola, ha aggiunto il Ministro Valditara, è stato per molti aspetti di una modernità e di una lungimiranza sorprendenti. Il fine primo della scuola: arrivare al cuore dei giovani, scoprirne e valorizzarne i talenti, formare persone autonome nel pensiero e sicure nell’agire sviluppando qualità e competenze“.
Ho a cuore, ci tengo, mi importa dell’altro, in una parola sola “I care”. E’ il motto di Don Milani. Senza questa disponibilità d’offerta totale agli altri, contenuta nella sua bandiera, non ci sarebbe stato Don Milani, non ci sarebbero stati la sua pedagogia umana e la sua scelta cristiana. “I care” dovrebbe essere il motto di tutti e senza esclusione. Prendere a cuore cose e persone offre senso alla propria esistenza e ci rende migliori. Un toccasana per la salute dell’anima e del corpo in ogni ambito socio-economico-culturale, in ogni scuola, in ogni chiesa, in ogni famiglia. Vita e opera di don Lorenzo Milani si rappresentano traccia indelebile nel tempo dell’uomo, modello di riferimento presente e futuro. Ampio il respiro del giovane di Barbiana, fino ad arrivare all’Europa e oltre gli oceani. L’amore immenso per gli altri segnò il pensiero e l’opera del giovane insegnante. L’esperienza di vita e di scuola e l’eredità del prete fiorentino, si rappresentano patrimonio internazionale. “I care, ebbe a dire Von der Leyen, significa mi faccio carico delle responsabilità. Quest’anno da parte di milioni di europei la reazione è stata I care. Deve essere il motto europeo: I care, we care. È la lezione più importante di questa crisi”. Il riferimento del presidente della Commissione Uein, nel nostro passato più prossimo, necessitò della proposta modello Milani. La nostra nazione chiedeva solidarietà europea. In occasione della presenza di Ursula Von der Leyen allo State of the Union, organizzato all’Istituto universitaio europeo di Fiesole, col bisogno di affermare disponibilità e solidarietà europea al nostro Paese, disse: “Gli italiani chiesero la solidarietà e il coordinamento dell’Europa. L’Italia aveva ragione, l’Europa doveva intervenire. E questo è quello che abbiamo fatto”. “I care”, il principio ispiratore dell’agire di Don Milani assunse valenza di “motto europeo”. Don Lorenzo auspicava una scuola aperta che “agganciando la conoscenza al progetto di vita di ciascuno” promuovesse la crescita dei fragili culturali e sociali, degli svantaggiati. Per ogni alunno auspicava una dinamica didattica integrata ed individualizzata. La crescita armonica del soggetto veniva intravista a mezzo una costante interazione col contesto sociale. Il percorso formativo individualizzato, bisogna porlo quindi alla base dell’approccio didattico. Su di esso si potrà poi parlare di crescita armonica con l’interazione sociale. Ecco, in questo don Milani, continua a fare scuola. Non è affatto tramontato il suo pensiero pedagogico. La scuola che oggi Valditara prova a disegnare, malgrado tutto, sotto certi aspetti, non sfugge affatto dall’indirizzo segnato da Don Lorenzo Milani. L’esperienza della scuola di Barbiana si rivela ancora attuale e di grande rilevanza educativa. E’ utile sicuramente oggi parlare della efficacia della mediazione in quanto strumento metodologico didattico. Mediazione culturale necessaria per consentire rispettosa e vera integrazione di diverse culture. Occorre che nella scuola venga fatta una seria riflessione critica epistemologica. Con l’adozione di tale metodo si potranno evitare letture esemplificative di processi di classificazione. La politica inclusiva deve evitare le stigmatizzazioni nell’ambito socio-scolastico. Gli alunni non necessitano soltanto di un aiuto in termini di bisogni nella nostra scuola, ma dell’adozione dell’io orientato in divenire, nella crescita e nella mutazione. Don Milani, prete e insegnante, voleva garantire emancipazione ai figli dei contadini della sua terra e il suo si mostrò innovativo e radicale. La scuola, aperta a tutti, veniva anche intesa come scuola continua, entro la quale non ci si ricreava, ma si lavorava senza perdite di tempo, nella bellezza dello stare insieme. Le ore passavano intorno alla pratica della tecnica della scrittura collettiva, della lettura dei quotidiani, del commento sui fatti accaduti e letti, si parlava con i rappresentanti del mondo politico e del lavoro settimanalmente. Fra i “giornalisti” intervistatori i più piccoli, col titolo di studio più basso, avevano facoltà prima di tutti a porre le domande. Si, così veniva garantita fiducia a chi non l’aveva con l’obiettivo di emancipazione delle classi subalterne. Fino ad allora, in maniera significativa, la scuola pubblica era stata segnata dalla differenza di classe e la tal cosa aveva causato la penalizzazione dei poveri, dei disagiati, degli emarginati. Insomma a Barbiana si stava facendo una rivoluzione ed erano in pochi a saperlo. A Barbiana si volle una scuola totale, la scuola dell’impegno garante d’emancipazione e d’uguaglianza. Quest’anno si celebra il centenario della nascita, don Lorenzo Milani. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’ha voluto ricordare così: ”È stato anzitutto un maestro. Un educatore. Guida per i giovani che sono cresciuti con lui nella scuola popolare di Calenzano prima, e di Barbiana poi. Testimone coerente e scomodo per la comunità civile e per quella religiosa del suo tempo. Battistrada di una cultura che ha combattuto il privilegio e l’emarginazione, che ha inteso la conoscenza non soltanto come diritto di tutti ma anche come strumento per il pieno sviluppo della personalità umana. Essere stato un segno di contraddizione, anche urticante, significa che non è passato invano tra di noi ma che, al contrario, ha adempiuto alla funzione che più gli stava a cuore: far crescere le persone, far crescere il loro senso critico, dare davvero sbocco alle ansie che hanno accompagnato, dalla scelta repubblicana, la nuova Italia. Don Lorenzo avrebbe sorriso di fronte a una rappresentazione come antimoderno, se non medievale, della sua attività. O, all’opposto, di una sua raffigurazione come antesignano di successive contestazioni dirette allo smantellamento di un modello scolastico ritenuto autoritario. Nella sua inimitabile azione di educatore – e lo possono testimoniare i suoi “ragazzi” – pensava, piuttosto, alla scuola come luogo di promozione e non di selezione sociale. Una concezione piena di modernità, di gran lunga più avanti di quanti si attardavano in modelli difformi dal dettato costituzionale. Era stato mandato qui a Barbiana, come sappiamo, in questo borgo tra i boschi del Mugello – con la chiesa, la canonica e poche case intorno – perché i suoi canoni, nella loro radicalità, spiazzavano l’inerzia. La sua fede esigente e rocciosa, il suo parlare poco curiale, i suoi modi, a volte impetuosi, lontani da quelli consueti, destavano apprensione in qualche autorità ecclesiastica. In tempi lontani dalla globalizzazione e da internet, da qui, da Barbiana – allora senza luce elettrica e senza strade asfaltate – il messaggio di don Milani si è propagato con forza fino a raggiungere ogni angolo d’Italia; e non soltanto dell’Italia. Don Milani aveva una acuta sensibilità circa il rapporto – che si pretendeva gerarchico – tra centri e periferie. Come uscire da una condizione di emarginazione? Come sollecitare la curiosità, propulsore di maturità? Come contribuire, da cittadini, al progresso della Repubblica? Il motore primo delle sue idee di giustizia e di uguaglianza era appunto la scuola. La scuola come leva per contrastare le povertà. Anzi, le povertà. Non a caso oggi si usa l’espressione “povertà educativa” per affermare i rischi derivanti da una scuola che non riuscisse a essere veicolo di formazione del cittadino. La scuola per conoscere. Per imparare, anzitutto, la lingua, per poter usare la parola. “Il mondo – diceva don Milani – si divide in due categorie: non è che uno sia più intelligente e l’altro meno intelligente, uno ricco e l’altro meno ricco. Un uomo ha mille parole e un uomo ha cento parole”. Si parte con patrimoni diversi. Da questa ansia si coglie il suo grande rispetto per la cultura. La povertà nel linguaggio è veicolo di povertà completa, e genera ulteriori discriminazioni. La scuola, in un Paese democratico, non può non avere come sua prima finalità e orizzonte l’eliminazione di ogni discrimine. “Lettera a una professoressa”, scritta con i suoi ragazzi mentre avanzava la malattia – che lo avrebbe portato via a soli 44 anni – è un atto d’accusa, impietoso, di tutto questo. “Lettera a una professoressa” ha rappresentato una lezione impartita a fronte delle pigrizie del sistema educativo e ha spinto a cambiare, ha contribuito a migliorare la scuola nel mezzo di una profonda trasformazione sociale del Paese. Ha aiutato a comprendere meglio i doveri delle istituzioni e ha sollecitato a considerare i doveri verso la comunità. Sempre più gli insegnanti hanno lavorato con passione per attuare i nuovi principi costituzionali. Perché a questo occorre guardare. La scuola è di tutti. La scuola deve essere per tutti. Spiegava don Milani, avendo davanti a sé figli di contadini che sembravano inesorabilmente destinati a essere estranei alla vita scolastica: “Una scuola che seleziona distrugge la cultura. Ai poveri toglie il mezzo di espressione. Ai ricchi toglie la conoscenza delle cose”. Impossibile non cogliere la saggezza di questi pensieri. Era la sua pedagogia della libertà. Il merito non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito. Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto, e anche per non far perdere all’Italia talenti; preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito. I suoi ragazzi non possedevano le parole. Per questo venivano esclusi. E se non le avessero conquistate, sarebbero rimasti esclusi per sempre. Guadagnare le parole voleva dire incamminarsi su una strada di liberazione. Ma chiamava anche a far crescere la propria coscienza di cittadino; a sentirsi, allo stesso tempo, titolare di diritti e responsabile della comunità in cui si vive. Aveva – come si vede – un senso fortissimo della politica don Lorenzo Milani. Se il Vangelo era il fuoco che lo spingeva ad amare, la Costituzione era – mi permettano i Cardinali presenti – il suo vangelo laico. “Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”. Difficile trovare parole più efficaci. Difficile non riscontrare lo stretto legame del suo insegnamento con la fede che professava: prima di ogni altra cosa, il rispetto e la dignità di ogni persona. Qui si intrecciano il don Milani prete, l’educatore, l’esortatore all’impegno. L’impegno – educativo, e di crescita – richiede sempre, per essere autentico, coerenza. Spesso sacrificio. Al pari di tanti curati di montagna che hanno badato alle comunità loro affidate, Don Milani non si è sottratto. Era giovane. Chiedeva ai suoi ragazzi di non farsi vincere dalla tentazione della rinuncia, dell’indifferenza. La scuola di Barbiana durava tutto il giorno. Cercava di infondere la voglia di imparare, la disponibilità a lavorare insieme agli altri. Cercava di instaurare l’abitudine a osservare le cose del mondo con spirito critico. Senza sottrarsi mai al confronto, senza pretendere di mettere qualcuno a tacere, tanto meno – vorrei aggiungere -un libro o la sua presentazione. Insomma, invitava a saper discernere. Quel primato della coscienza responsabile, che spinse don Milani a rivolgere una lettera ai cappellani militari, alla quale venne dato il titolo “l’obbedienza non è più una virtù” e che contribuì ad aprire la strada a una lettura del testo costituzionale in materia di difesa della Patria per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza. Padre David Maria Turoldo, amico di don Milani, disse di lui che “diventando disobbediente” (in realtà non lo è mai stato) in realtà obbediva a principi e regole ancora più profonde e vincolanti. Non certo a un capriccio o a una convenienza. Non c’era integralismo nelle sue parole, piuttosto radicalità evangelica. Ma, come poc’anzi ricordava il Cardinale Zuppi, andrebbe detto autenticità evangelica. Sapeva di avere in mano un testimone. Un testimone che doveva passare di mano, a cui poi i suoi ragazzi “aggiungessero” qualcosa. Un grande italiano che, con la sua lezione, ha invitato all’esercizio di una responsabilità attiva. Il suo “I care” è divenuto un motto universale. Il motto di chi rifiuta l’egoismo e l’indifferenza. A quella espressione se ne aggiungeva un’altra, meno conosciuta. Diceva: “Finché c’è fatica, c’è speranza”. La società, senza la fatica dell’impegno, non migliora. Impegno accompagnato dalla fiducia che illumina il cammino di chi vuole davvero costruire. E don Lorenzo ha percorso un vero cammino di costruzione. E gli siamo riconoscenti”. Il MIM non è rimasto inattivo, non poteva. La Biblioteca del MIM ha ricordato Don Lorenzo Milani, a cento anni dalla nascita (27 maggio 1923), con un’esposizione di volumi, tratti dalle collezioni ministeriali, che resterà aperta ai visitatori fino a fine mese presso la Sala dell’Emeroteca. “Si parte da “Tutte le opere”, una raccolta in due tomi (edizione i Meridiani-Mondadori, 2017), a cura di Alberto Melloni, che contiene gli scritti editi e molti inediti del priore di Barbiana, a cominciare da “Lettera a una professoressa”, il libro-manifesto scritto da Don Milani insieme ai suoi alunni e pubblicato nel 1967 a firma della Scuola di Barbiana, un mese prima della sua morte. Nella raccolta sono poi presenti articoli pubblicati su quotidiani e riviste, dedicati all’istruzione quale strumento di emancipazione, nonché l’epistolario privato di Don Milani. I tomi contengono anche le lettere pubbliche che il sacerdote rivolse ai giudici e ai cappellani militari e in cui si espresse in favore dell’obiezione di coscienza. Quest’ultimo tema è trattato in dettaglio in un altro libro esposto: “L’obbedienza non è più una virtù: documenti del processo di don Milani”, Libreria editrice Fiorentina, Firenze, 2014. Testimonianze della missione educativa del priore di Barbiana si trovano nel libro “Don Lorenzo Milani e la scuola della parola: analisi storica e prospettive pedagogiche”, a cura di Roberto Sani e Domenico Simeone, EUM, Macerata, 2011 e in “Lettere di Don Lorenzo Milani priore di Barbiana”, a cura di Michele Gesualdi, pubblicato da San Paolo Edizioni nel 2007. Di ex allievi sono altri due volumi in visione presso la Biblioteca del MIM, editi dalla Libreria Editrice Fiorentina rispettivamente nel 1997 e nel 2005: “Don Lorenzo Milani: riflessioni e testimonianze”, a cura di alcuni studenti della scuola popolare di San Donato a Calenzano (FI), in cui Don Milani fu nominato cappellano nel 1947, e “Don Lorenzo Milani: la parola fa eguali”, a cura di Michele Gesualdi. In mostra anche “Barbiana e la sua scuola: immagini dall’archivio della Fondazione Don Lorenzo Milani”, a cura di Sandra Gesualdi e Pamela Giorgi, Aska edizioni, Firenze, 2014. Si tratta di un prezioso libro fotografico, contenente una ricca collezione di carteggi, materiali scolastici e immagini su Don Milani e la sua scuola. Il pensiero del sacerdote di Barbiana, il suo impegno verso gli ultimi e gli emarginati sono al centro del volume “I care ancora. Inediti. Lettere, appunti e carte varie”, curato da Giorgio Pecorini, Emi, 2001, con il chiaro richiamo, nel titolo, al famoso motto coniato dal priore, “I care”, “Mi importa, ho a cuore”, ancora oggi presente all’ingresso della scuola di Barbiana”. Sempre in occasione del centenario di Don Milai, il Ministro Valditara: “In una ricorrenza che cade durante un periodo di grandi trasformazioni della scuola italiana, e che ci invita a riflettere sia sulle misure già in atto sia sui cambiamenti che intendiamo promuovere a favore dei nostri studenti, ricordiamo Don Lorenzo Milani. Il suo modo di interpretare la scuola, ha aggiunto, è stato per molti aspetti di una modernità e di una lungimiranza sorprendenti.
Il fine primo della scuola: arrivare al cuore dei giovani, scoprirne e valorizzarne i talenti, formare persone autonome nel pensiero e sicure nell’agire sviluppando qualità e competenze“. Fare scuola di merito ci obbliga a guardare la scuola di Barbiana. Questo bel sostantivo ci auguriamo, ben presto, si faccia obbligo di un investimento, in ogni senso, affinché gli ultimi siano meritevoli.
elgr