A Pietro Lombardo (Lumellogno1100, Parigi 1160) figlio della città di Lumellogno, che “con la poverella offerse a Santa Chiesa suo tesoro” … il mio saluto!
EPIGRAFE
Desiderando come la povera donna gettare qualcosa dalla nostra povertà e debolezza nel tesoro del Signore, cioè esaminare cose difficili, abbiamo osato intraprendere un’opera superiore alle nostre forze, riponendo la fiducia nel suo completamento nel Samaritano e da lui attendendo la ricompensa della fatica, lui che, dopo aver offerto due denari per le cure dell’uomo assalito, promise di rifondere tutto se si fosse speso di più. Ci attira la verità, ma ci spaventa l’immensità della fatica!
(Pietro Lombardo, “Libro delle Sentenze”)
Ed anche per te, maestro Lombardo, figlio della città Lumellogno che “con la poverella offristi a Santa Chiesa suo tesoro” canterò il mio canto che se tace, maestro Lombardo, talvolta il gran libro della filosofia non tace chi da te, e furono tanti, trassero giovamento etra i più grandi che allora si accompagneranno al “magistero” universitario, alle tue “sentenze” dovettero comprimo passo il loro primo “commento”. E furono teologi e filosofi, tutti insigni che, all’altezza di Tommaso o di Guglielmo con Bonaventura e quel tal Duns, alla tua opera si abbeverarono laureandoti per sempre delle “sentenze il maestro”, tra tutti il più illustre ed alto. Ed io che da tempo, per questa mia trilogia, alla tua scuola mi sono iscritto, anch’io verrò e non mancando di sperare accesso, pure busserò alla tua porta e tu, maestro, che “come una biga spinta dalla carità di Cristo” ti mettesti “al servizio dei fratelli”, sii benevolo ed accogli questo nuovo discepolo che umilmente ti chiede di entrare e dalle tue “sentenze” di imparare. E come già “del mondo esperto” nel “Prologo” delle tue “Sentenze” ammoniviche “ogni parola del discorso umano è sempre stata esposta alla calunnia e alla contestazione dei rivali” aiutami a ben continuare e contro chi “amando la contesa combatte senza requie contro la verità, e per tappare loro la bocca, perché non possano instillare in altri il veleno della loro malvagità” alza la tua fede e fa sì che “contro gli errori degli uomini carnali e animali” che sempre si annidano nel cammino di chi vuol salire, possa anch’io un giorno venire a quella “luce”, che insidiata allora come oggi dall’arroganza della ragione tu, maestro Lombardo, ammonivi di fuggire. E se, come già accadde, che “osservando (il suo maestro Alberto Magno) il veloce progresso dottrinale del suo discepolo, convinse per lettera, il Maestro dell’Ordine ad affidare l’incarico di baccalaureato per tale scuola al menzionato Fra Tommaso d’Aquino” io non potrò mai del suo baccalaureato coronare le tempiané mai di salire in quel cielo dove con te, maestro Lombardo, luce la luce della tua sapienza, pure mi conforterà, in un tempo in cui poco si crede e tanto si osta, per le tue “sentenze” di acquistare qualche passo ed avanzando, chissà, laurearealla mia parte qualche piccola “favilla” di quella “luce” che a te, maestro, che conoscevi gli “inciampi” del tuo tempo, fu lampada sempre accesa al tuo cammino!
E poichè, tu scrivevi, “il desiderio di progredire ci incoraggia, ci scoraggia peròil timore del fallimento” come già accadde a quel Grande che smarrito in una “selva selvaggia e aspra e forte” per salire, volendosi “così colà dove si puote / ciò che si vuole” gli fu data una guida, così fai tu per me, maestro Lombardo, e sii tu la mia guida e come già regnando quel tal papa che con Arnaldo contese, ammonisti per la sua la“Trinità” il Porretano, accusandolo di seminare “zizzania” nella vigna del Signore, se mai deragliando io abbandonassi la mia strada alza pure la tua mano e rimettimi in cammino. Chè non agli artificiosi “sillogismi” o alle vuote elucubrazioni della ragione bisogna affidarsi ma seguendo i “Santi Libri” offrirsi all’insegnamento dei “Santi Padri” che fuori dalle “cose ci piacciono” sono la sola autorità designata a dichiarare e a “comprendere la verità”, chè credere, rafforzavi, si deve “ai pescatori e non ai dialettici”!
E perciò, maestro, come tutti quei grandi che in quella tua scuola cattedrale di Parigi furono per le tue “Sentenze” loro stessi maestri, anch’io allargherò la mia “bisaccia” e con la tua guida, maestro, pur scarsa si apparecchierà a quel tuo “volume”, che, tanto tempo fa in quel lontano convento che il “Giano” lambiva, giovane “postulante” di una nuova Congregazione, io incrociai. Erano gli anni sessanta e tanti come me allora dai loro piccoli paesi partirono, “desiderosi”, si scrisse, di abbracciare la vita monastica e che nel percorso di preparazione all’“unzione” confermava lo studio oltre allo dei “sette sacramenti” di mandare a memoria alcuni passi delle tue “sentenze” che allora forse imparammo ma non praticammo, durando in quell’età “fiorita” gli occhi “ridenti e fuggitivi” di quella sfortunata fanciulla che il poeta accese, ma oggi, che avanti negli anni più pesante il cammino si è fatto più grave il passo e la meta più vicina, sono qui, maestro, di nuovo da te e come già la mia epistola comanda, pronto ora ad appoggiarmi al tuo “bastone” e per quel tuo libro, se non allora, ora provare a sentire il profumo che emana il tuo giardino delle “Sentenze”. Un libro, scrivevi, nel “Prologo” che componesti “con l’aiuto di Dio e con molta fatica e sudore” nello scopo di raccogliere alla antica maniera dei “florilegi” come fiori “in un breve volume, le sentenze dei Padri” ed offrire a chi veramente volesse ricercare la verità di non “sfogliare una gran quantità di libri, giacché gli offre raccolte senza fatica quelle brevi cose che cerca” ma uno strumento veloce e congruo in cui trovare, per l’autorità dei Santi Padri, ogni conferma e se poi, aggiungevi, “da qualche parte anche la nostra voce un poco è risuonata, mai si è allontanata dai confini dei Padri” ma nella segreta speranza di consegnare un libro che non apparisse “superfluo a nessuno, sia egli un pigro o una persona molto dotta” di contro ti augurasti “non soltanto un lettore benevolo, ma anche un critico libero di spirito, soprattutto dove la questione della verità è importante” e magari “volto più a proporre soluzioni che ad avanzare obiezioni!”
E così nel rispetto di quella lunga tradizione che da“quello avvocato de’ tempi cristiani del cui latino Augustin si provide” anche tu, maestro, passando per “l’ardente spiro” di quel tal Isidoro che il Sommo con Beda e Riccardo in Paradiso loda, sulla strada di quel tal Anselmo che il suo allievo “Palatino” giudicò “fumoso e oscuro”, ti incamminasti e fu gloria il tuo cammino. E con la dialettica che non mai però alla maniera del “Sic et non” usasti, anche se con Abelardo, Gilberto e Pietro di Poiters di quel tal Gualtiero di San Vittore ti costò il giudizio severo che tra i “quattro labirinti di Francia” ti annoverò, tu, maestro, avanzasti nel tuo intento e come già il divino poeta alla Chiesa consegnasti il suo “tesoro”più grande, che ancora qualche anno il grande gesuita di Belgio De la Potterie confermava essere“la base delle grandi costruzioni che costituiscono la gloria della dogmatica cattolica”. Un libro,maestro, che appellandosi alla stessa autorità del tuo compagno Abelardo che scriveva “se c’è qualcosa nei scritti dei santi che sembra contrario alla verità, è necessario, conveniente all’umiltà e dovuto alla carità considerare che quel brano non è stato tradotto fedelmente o che si tratta di un testo corrotto, o anche noi non siamo in grado di comprenderlo” riconosce sicuramente il valore della dialettica ma che sempre però, con umiltà, deve comprendersi nei confini di quelli che sono i “lumi” e l’”auctoritas” dei Padri, chè sempre a cercare la vera “verità” ,scriveva il gran mistico di San Vittore, urge la virtù. E per rendere più agevole il cammino verso la verità in quattro partisti il tuo libro ed accogliendo del grande maestro di Ippona, cui tanto per te attinse il grande Aquinate, la sua dottrina, anche tu, maestro, affermasti che tutto quello che nella “Bibbia” era scritto dovevasi distinguere tra “cose e segni” e facendoti suo discepolo anche tu, come ben spiega il filosofo di Salerno, ritenesti ì che la “cosa è ciò che non può essere adoperata a significare o simboleggiare alcunché mentre il segno è ciò che invece serve essenzialmente a questo scopo” ed avanzando in quel dominio pedagogico che fu la tua gloria più grande, da subito dichiarasti che prima avresti affrontato “lo studio delle cose” e poi quello dei “segni” e così fu!
E chiarendo che tre sono i diversi modi di utilizzare le “cose”, ossia che il primo è di goderne, il secondo è di usarne ed infine il terzo è di godere ed usarne, precisasti che le cose di cui dobbiamo godere con la santa Trinità e le sue tre persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sono “le virtù e le potenze dell’anima”, le cose invece di cui dobbiamo usare sono con ”il mondo, le cose da Lui create” mentre le cose di cui dobbiamo godere ed usare sono con “gli angeli, gli uomini”.E dunque nel tuo “volume”, come tu lo chiami, maestro, sistematicamente e con ordine continuando affrontasti nel primo libro con il tema delle virtù e delle potenze dell’anima il mistero della santissima Trinità e delle sue tre Persone. Nel secondo con “il mondo e le cose da Lui create” non solo il tema della sua creazione trattasti ma anche di tutte quelle altre realtà spirituali e non spirituali che popolano il mondo nonché della grazia e del peccato. Nel terzo poi il grande dono della “reparatio” concessa all’uomo “tramite la grazia del Mediatore tra Dio e gli uomini” fu il tuo grande tema e tu, maestro, non lo trattasti solo in relazione ai comandamenti o alle virtù teologali e cardinali ma particolarmente riguardo al “largo” tema della misericordia di Dio che sempre “ha sì gran braccia, che sempre prende ciò che si rivolge a lei”. Nel quarto infine, come avevi già nel prologo anticipato, oggetto della tua trattazione saranno i segni (signa), ovvero quei simboli che tu, maestro Lombardo, tra i primi non solo li chiamerai “sacramenti” ma, esemplificando come accade quando nel Battesimo all’elemento pratico del versare l’acqua sul capo del bambino si unisce elemento formale delle parole “Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” pronunciate dal sacerdote, tu affermasti che “è detto sacramento in senso proprio ciò che è segno della grazia di Dio e forma visibile della grazia invisibile, in modo tale da portarne l’immagine ed esserne causa” chiudendo non solo per sempre la “vexata quaestio” ma consegnando alla Chiesa dei “sacramenti” la sua vera natura. E fu tanta alta e colma la tua definizione che ancora qualche anno fa il papa che non per “viltade” ma per “umilitate” fece “il gran rifiuto”, in una delle sue ultime “Udienze” dopo avere lodato la tua opera come “ un’opera organica di fede” che ancora con la sua “visione totale e unitaria, in cui appare l’armonia del piano di salvezza di Dio e la centralità del Mistero di Cristo “ chiama tutti i teologi e i sacerdoti e i fedeli ad interrogarsi affermò che solo, come tu scrivevi, maestro, la pratica dei “sacramenti”, doni unici della misericordia di Dio, sono capaci di “fasciare le piaghe dell’uomo e guarire le ferite del peccato”. Un’opera solenne ed ancora per la chiesa capitale ma che, come ben conoscesti, dovette subire , come mai tu avresti voluto, maestro, fin dall’inizio duri attacchi tanto che non passarono che alcuni decenni e fu, tra le molte altre questioni che travagliavano allora la chiesa, necessario convocare un Concilio, che chiamato a valutare la tua opera tutta però l’approvò, consegnandola non solo al corso del “baccalaureato” nella tua università parigina ma crescendo per quel tal teologo di Hales che di ulteriore metodo e misura l’arricchì, principe ti incoronasti senza rivali in tutte le università della cristianità, obbligatorio il “commento” alla tua opera a chi avesse voluto diventare “magister”, e… furono tanti c tutti grandi!
Ed ora che in ciel, tra i Sapienti, in Paradiso con Alberto, Graziano, Tommaso adorni il coro di quella “ghirlanda” che ruotando canta e si “infiora” del tuo “tesoro”, prega il tuo Signore e fa che in questo mio tempo lusingato dall’illusione del “relativismo” tu mi assista perché non consumandosi in una sol bandiera il mio pensiero, io possa oltre e senza prove ma per i “segni”, che tu, maestro, nelle tue “Sentenze”, scolpisti, essere “toccato” ed in congedo di questa mia epistola del tuo magistero fare anch’io tesoro ed appoggiato al tuo “bastone” di me fa meta, la meta che già fu tua. E, come già accadde, ed ancora oggi accade che il suo settecentesimo anniversario della morte celebriamo, al divino poeta che da sempre in questa mia trilogia mi accompagna, anch’io come lui possa uscire di questa “selva oscura” che mi smarrisce la “dritta via” e ritrovarla e …se non sarà, come mai potrebbe esserlo, mano nella mano con Beatrice, come in quel “Casino Massimo” quel tal pittore di Berlino lo volle, il mio cammino, anch’io, maestro Lombardo, con te, mia guida, potrò sperare almeno di segnarne qualche passo e se poi mai di quel “pianeta che mena dritto altrui per ogni calle” avanzerò qualche “scintilla”, pure sarò contento e come già Lui, che venuto dalla “città dolente” cantò, anch’io potrò cantare un giorno “e quindi uscimmo a riveder le stelle”!
Addio, maestro Lombardo, e sia la tua luce lampada sempre accesa al mio cammino!
Questo, maestro Lombardo, il mio epigramma per te, “Ordinando il Creato tra “cose e segni” nella vigna del Signore piantasti il tuo “tesoro” e tra i maestri di “sentenze” ti nominasti primo”!
Questo, maestro, nell’ottobre che si spoglia l’amore ed il tuo volto… il fiore che ti porto!
Chiusa nelle ore pomeridiane del giorno di martedì 26 ottobre dell’anno del Signore 2021