Mario Schifano (Homs, 20 settembre 1934 – Roma, 26 gennaio 1998) è stato un artista, pittore e regista italiano. Insieme a Franco Angeli e Tano Festa rappresentò un punto fondamentale della Pop Art italiana ed europea. Perfettamente inserito nel panorama culturale internazionale degli anni sessanta, era reputato un artista prolifico, esuberante ed amante della mondanità. L’abitudine alle droghe che durò per tutta la sua vita gli valse l’etichetta di artista maledetto. Appassionato studioso di nuove tecniche pittoriche, fu tra i primi ad usare il computer per creare opere e riuscì a elaborare immagini dal computer e riportarle su tele emulsionate (le “tele computerizzate”). La prolificità dell’autore e l’apparente semplicità delle sue opere hanno portato alla diffusione di un grande numero di falsi, soprattutto dopo la sua scomparsa.
Mario Schifano nacque nella Libia italiana, dove il padre, di origine siciliana, era impiegato del ministero della Pubblica Istruzione e collaboratore di Renato Bartoccini. Dopo la fine della guerra tornò a Roma dove, a causa della sua personalità irrequieta, lasciò presto la scuola, lavorando in un primo momento come commesso, per poi seguire le orme del padre che lavorava al museo etrusco di Villa Giulia come archeologo e restauratore. Grazie a questa esperienza si avvicinò all’arte eseguendo, in un primo periodo, opere che risentivano dell’influenza dell’Arte informale. La sua prima mostra personale fu alla Galleria Appia Antica di Roma nel 1959.
Sul finire degli anni cinquanta partecipò al movimento artistico Scuola di Piazza del Popolo assieme ad artisti come Francesco Lo Savio, Mimmo Rotella, Giuseppe Uncini, Giosetta Fioroni, Tano Festa e Franco Angeli. Il gruppo si riuniva al Caffè Rosati, bar romano allora frequentato fra gli altri da Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia e Federico Fellini e situato a piazza del Popolo, da cui presero il nome. Nel 1960 i lavori del gruppo vengono esposti, in una mostra collettiva, presso la Galleria La Salita.
Anni sessanta
Nel 1961 ottiene il Premio Lissone per la sezione “Giovane pittura internazionale” e una personale alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis a Roma.
Nel frattempo, al Caffè Rosati aveva conosciuto fra gli altri la sua futura amante Anita Pallenberg, con la quale fece il suo primo viaggio a New York nel 1962 dove entrò in contatto con Andy Warhol e Gerard Malanga frequentando la Factory e le serate del New American Cinema Group. In questo periodo partecipò alla mostra New Realists alla Sidney Janis Gallery, una collettiva che comprendeva gran parte dei giovani artisti della Pop Art e del Nouveau Réalisme, fra cui Andy Warhol e Roy Lichtenstein.Ebbe poi occasione di partecipare alla vita mondana newyorkese che lo portò alle prime sperimentazioni con l’LSD.
Al suo ritorno da New York, dopo aver partecipato a mostre a Roma, Parigi e Milano, partecipò nel 1964 alla XXXII Esposizione internazionale d’arte. In questo periodo, i suoi quadri definiti “paesaggi Anemici”, nei quali è la memoria a evocare la rappresentazione della natura con piccoli particolari o scritte allusive, compaiono in embrione le rivisitazioni della storia dell’Arte che lo portarono più tardi alle famose opere pittoriche sul futurismo. Sono dello stesso anno anche i suoi primi film in 16 mm Round Trip e Reflex, che lo inseriscono, come figura centrale del cinema sperimentale italiano, al margine di quel movimento che di lì a poco avrebbe portato all’esperienza della Cooperativa Cinema Indipendente, alla quale non aderì mai apertamente. A Roma conobbe e frequentò Marco Ferreri e Giuseppe Ungaretti al quale, già ottantenne, offrì una serata al Peyote.Ma una delle conoscenze di questo periodo che più lo influenzarono fu quella con Ettore Rosboch, con il quale strinse una profonda amicizia, basata sulla comune passione per la musica. In quegli anni, anche grazie ai continui viaggi a Londra, i due strinsero amicizia con i Rolling Stones, ai quali presentarono Anita Pallenberg che nel 1965 iniziò una relazione con Brian Jones, per poi diventare, anni dopo, la moglie di Keith Richards. Nel 1965 partecipa alla Biennale di San Marino e alla Biennale di San Paolo del Brasile e realizza il suo ciclo di lavori dal titolo Io sono infantile, risvegliando l’interesse fra gli altri di Maurizio Calvesi, Maurizio Fagiolo dell’Arco e Goffredo Parise.
Nel 1966-67, anche grazie alla collaborazione di Ettore Rosboch forma la band Le Stelle di Mario Schifano, avviando così una stretta collaborazione con i musicisti Giandomenico Crescentini, ex bassista dei New Dada, il chitarrista romano Urbano Orlandi, il tastierista Nello Marini, ed il batterista alessandrino Sergio Cerra dei quali gestisce l’indirizzo musicale e la regia dei concerti trasformandoli, per un paio d’anni, in uno degli esempi più alti di musica psichedelica italiana ed internazionale. Mario Schifano lasciò il gruppo a se stesso dopo l’evento romano Grande angolo, sogni e stelle svoltosi il 28 dicembre al Piper Club, dedicandosi più attivamente alla sua attività cinematografica ed artistica, e lasciandosi anche trascinare in una temporanea relazione con Marianne Faithfull, di cui si parlò molto nella stampa scandalistica inglese. L’impianto visivo della serata Grande angolo, sogni e stelle prevedeva inoltre la proiezione sui musicisti, tramite quattro proiettori, di immagini sul Vietnam, di immagini di natura e del lungometraggio Anna Carini vista in agosto dalle farfalle precedentemente presentato allo Studio Marconi.
Nel 1967 realizza le sequenze dei titoli di testa e di coda per il film L’harem di Marco Ferreri. Fu proprio grazie all’interessamento di Ferreri al suo lavoro se l’anno dopo riuscì a produrre la sua Trilogia per un massacro, formata dai tre lungometraggi Satellite (1968), Umano non umano (1969), a cui collaborarono Adriano Aprà, Carmelo Bene, Mick Jagger, Alberto Moravia, Sandro Penna, Rada Rassimov e Keith Richards e Trapianto, consunzione, morte di Franco Brocani (1969).
Nel 1968 disegna la copertina di Stereoequipe degli Equipe 84. Nel 1969 l’appartamento, sito in piazza in Piscinula a Roma che allora apparteneva a Schifano, fu usato da Ferreri come set del film Dillinger è morto, che vede alcuni dipinti dell’artista alle pareti. Nel 1969 i Rolling Stones dedicano a Mario Schifano il brano Monkey Man.
Anni settanta e ottanta
Nel 1971 alcuni suoi quadri vengono inseriti da Achille Bonito Oliva nella mostra Vitalità nel negativo nell’arte italiana 1960/70. Inoltre la sua amicizia con il presidente della Biennale di Monza, Oscar Cugola, lo portò ad essere molto vicino agli ambienti televisivi. Molti dei suoi lavori, i cosiddetti “monocromi”, presentano solamente uno o due colori, applicati su carta da imballaggio incollata su tela. L’influenza di Jasper Johns si manifestava nell’impiego di numeri o lettere isolate dell’alfabeto, ma nel modo di dipingere di Schifano possono essere rintracciate analogie con il lavoro di Robert Rauschenberg. In un quadro del 1960 si legge la parola “no” dipinta con sgocciolature di colore in grandi lettere maiuscole, come in un graffito murale.
Tra le opere più importanti di Mario Schifano vanno ricordate le Propagande, serie dedicate ai marchi pubblicitari (Coca-Cola ed Esso) in cui si ha quel chiaro esempio di popular art, ovvero la veicolazione di immagini di uso comune e facilmente riconoscibili citate in molteplici modi o particolari delle stesse, alle biciclette, ai fiori e alla natura in genere (tra le serie più famose troviamo i Paesaggi anemici, le Vedute interrotte, L’albero della vita, estinti e i Campi di grano). Sono sicuramente da annoverare come tra le opere più riconoscibili è importanti le tele emulsionante, figlie di quei suoi continui scatti fotografici che accompagnano tutta la sua vita, tele dove vengono riproposte immagini televisive di consumo quotidiano, molteplici e a flusso continuo con leggeri interventi pittorici. Esistono nella sua produzione anche tele dove in tecnica serigrafia sono riproposte immagini tra le più importanti da lui realizzate (Esso, Compagni compagni, Paesaggi) non sono da intendere come “serigrafia” ma per l’appunto opere uniche realizzate con la suddetta tecnica. Schifano in quegli anni aveva quasi abbandonato la “pittura” in quanto lui stesso affermava che la pittura era morta e diventata obsoleta rispetto all’utilizzo di tecniche diverse (vedi emulsioni o serigrafico). In realtà non la abbandonerà mai nonostante la realtà pittorica di quegli anni lo suggerisse, anche se però divenne un precursore sempre curioso dell’uso della tecnologia per la sua produzione artistica. Per affinità con le tendenze culturali di cui sopra negli anni ottanta entrò in contatto con il gruppo di creativi (illustratori, scrittori, fumettisti, reporter) della rivista Frigidaire (Stefano Tamburini, Vincenzo Sparagna, Andrea Pazienza, Tanino Liberatore, Massimo Mattioli, Filippo Scozzari).
Nel 1984 realizza il Ciclo della natura, composto da dieci grandi tele donate al Museo d’Arte Contemporanea di Gibellina, in provincia di Trapani.
Anni novanta
L’ultimo periodo di produzione è particolarmente segnato dai media e dalla multimedialità, interrotto soltanto da alcuni cicli più prettamente pittorici. Il 27 marzo 1997 l’artista, che negli anni ottanta aveva subito delle condanne per possesso di sostanze stupefacenti, ottenne dalla Corte d’Appello penale di Roma la completa reintegrazione giudiziaria perché “la droga era solo per uso personale”. Morì a 63 anni, mentre si trovava nel centro di rianimazione dell’ospedale Santo Spirito di Roma, a causa di un infarto.