Quando nel 2008, WALL-E, nono lungometraggio d’animazione di casa Pixar, raggiunse gli schermi, mi sembrò singolare la scelta di un robot per raccontare, oltre la parabola ecologica, un certo bisogno di umanità e semplicità, così come per raccontare il tempo e le implicazioni consequenziali della necessità della memoria.
Una macchina, nelle sue funzioni base, non è molto di più di un congegno che compie un lavoro in base ad una concatenazione di input ed un robot è, sostanzialmente, una macchina. Le obiezioni della cibernetica mi vennero in soccorso qualche tempo dopo, quando avvicinandomi al pensiero sistemico che sta alla base dell’ecologia, scoprì che tutti i successi più importanti della nuova scienza cibernetica, traevano la propria origine dalla comparazione tra organismi e macchine. Il movimento della cibernetica risale al periodo del secondo conflitto mondiale e sebbene i primi cibernetici fossero impiegati nella ricerca militare e finanziati dall’esercito, le loro analisi, in breve tempo, finirono con l’ampliare i propri confini, trasformandosi in un terreno fertile a fondare una nuova co-scienza della mente. Le basi concettuali della cibernetica furono gettate dalle cosìddette “conferenze della Macy”, leggendarie riunioni che si tennero a New York a partire dal 1946, e alle quali parteciparono, oltre ai cibernetici stessi, anche scienziati umanisti. Dai dialoghi interdisciplinari della Macy, presieduti, non a caso, da uno psichiatra, emersero numerosi elementi utili a raggiungere una nuova comprensione di mente e cervello e divenne fondamentale il concetto di feedback, o retroazione. L’immagine dell’anello di retroazione, o feedback loop, che ne derivò, fu a sua volta alla base della validazione della causalità circolare di un qualsiasi processo.
In parole semplici la ricerca cibernetica giunse alla conclusione che la possibilità che una macchina si autogoverni coincide con la necessità di attivare uno schema di causalità che ha movimento circolare.
Per spiegare il concetto di feedback si utilizzò l’esempio del timoniere, o anche, più semplicemente, quello della bicicletta. All’inizio, quando stiamo imparando ad andare in bicicletta, troviamo difficile mantenere l’equilibrio, ed è comune che la ruota anteriore, per effetto del manubrio, compia forti oscillazioni. La retroazione è ciò che, imparando, mettiamo in pratica reagendo al disequilibrio. Diventiamo così bravi che le oscillazioni della ruota si riducono fino a divenire impercettibili. Nel sistema complesso uomo-bicicletta si creano dei nessi. Allo stesso modo, la natura, della cui complessità siamo parte, è in grado di reagire agli input destabilizzanti attraverso i suoi processi di autopoiesi, resilienza e resistenza, ma, non diversamente da ciò che accade alle macchine, tale compensazione vive all’interno di un limite.
In Wall-E tale processo di compensazione è ormai andato fuori fase.
La tenera denuncia ecologista del robottino che compatta rifiuti non è un’apologia della macchina, bensì piuttosto la descrizione di una paradossale sconfitta per l’uomo. La visione di una catastrofe benedetta dalla scienza, laddove l’unica forma di memoria è tenuta in vita non dall’uomo, bensì da una forma di vita artificiale. Quale memoria? La memoria delle piante, ad esempio, il cui germogliare è sinonimo di rinascita sempre. Ma il sistema Terra non risponde più alla teoria di Gaia, e un seme, forse, non potrà bastare a riconnetterci con l’universo.