EPIGRAFE
L’Universo si fonda sulla giustizia, sulla saggezza e sulla libertà di Dio: dunque non può essere che il migliore fra gli infiniti universi possibili.
(G.W.Leibniz “Principi della Natura e della Grazia fondati sulla ragione”)
II
Dalla perfezione suprema di Dio deriva che, creando l’Universo, ha scelto il miglior piano possibile, nel quale la più grande varietà (possibile) è congiunta con il massimo ordine (possibile)….Ora questa suprema saggezza [di Dio], congiunta a una bontà che non è meno infinita di quella, non poteva mancare di scegliere il meglio… e quando si riempissero tutti i tempi e tutti i luoghi rimarrebbe sempre vero che si sarebbe potuto riempirli in una infinità di modi e che vi sarebbe una infinità di mondi possibili fra i quali bisogna che Dio abbia scelto il migliore, perché egli non fa nulla senza agire secondo la ragione suprema. (G. W. Leibniz “Saggi di Teodicea)
Ed anche per te, maestro Leibniz, figlio di Friederich della città Lipsia che del mondo nostro ne facesti “il migliore dei mondi possibili” canterò il mio canto…non era ancora sorto il sole e come sempre da quando con l’eco del tuo grande impegno diplomatico: eri in verità stato Consigliere aulico dell’Imperatore, Barone del Sacro Romano Impero e Consigliere segreto dello zar Pietro il Grande e grande protagonista di quella lunga e travagliata crisi polacca che risolta salverà con la citta di Vienna tutta l’Europa dall’invasione turca, si era spenta anche la tua fama di filosofo, di matematico, di logico geniale che solo qualche anno prima aveva meravigliato il mondo con quel “cilindro traspositore” che permise a quella macchina calcolatrice, dal suo inventore detta “pascalina”, oltre l’addizione e sottrazione di svolgere la moltiplicazione e la divisione. Che tu, maestro Leibniz, solo e senza più amici in compagnia solo del tuo devoto segretario e del tuo ultimo copista, deluso oltremodo dal tuo amato duca di Hannover, diventato, anche per merito tuo, re d’Inghilterra, che invece di intervenire a tacitare le infamanti accuse di “plagio” che ti venivano sempre più pesantemente rivolte dagli inglesi a causa di quella lunga polemica, che da alcuni anni ti opponeva al tuo antico amico Newton, su chi spettasse la priorità dell’invenzione del calcolo infinitesimale, che in seguito la storia dirà essere per vie sostanzialmente indipendenti stato scoperto, se ne era rimasto in silenzio “opportuno” a coltivare il suo trono, come ogni mattina allungando la mano a cercare quella vecchia sedia che da anni ti teneva compagnia a fianco al letto, provasti a levarti ma i dolori che da tempo ti travagliavano all’improvviso si fecero più fitti e stringendoti sempre forte il petto ti fecero ricadere e …per la prima volta, furono settanta, maestro, i tuoi anni, le tue amate “sudate carte” rimasero deserte e “orbe tanto spiro” in segreto raccoglimento addolorate piansero in silenzio il loro “signore”. Era lunedì e di quel giorno del14 dicembre dell’anno del Signore 1716, tu, maestro, non ne conoscesti il tramonto e solo abbandonasti questa terra e quando poi venne il giorno dell’esequie nessuno dei tuoi tanti amici seguì il tuo feretro, solo il tuo fedele segretario ed alla sepoltura si narra che neanche un prete benedisse la tua salma e nessuno neanche l’Accademia delle Scienze di Berlino di cui eri stato fondatore e presidente perpetuo, ritenne, dopo tanta vita, di doverti commemorare, solo a confermare quanto sia profondo ed imperscrutabile il disegno di Dio l’Accademia delle Scienze di Parigi, covo antico di cartesiani tuoi avversari, ironia della sorte, stimarono di doverlo fare!
Ma tu, maestro, che grande e tanta era stata la tua opera che ancora oggi ne dura la memoria non disperasti chè la morte tu scrivevi “non è altro che la corruzione di un animale che per questo non cessa di esistere” e quindi non nel “sonno senza sogni” degli antichi saresti precipitato ma “monade” (nome che certamente derivasti dal nostro grande Giordano Bruno), tra le infinite altre monadi fatta “razionale”, nella tua “Monadologia 47” attestavi: ”tutte le altre monadi sono produzioni di Dio( unità primitiva o sostanza semplice originaria) per folgorazioni istantanee e continue di Dio, che trovano un limite nella natura della creatura” anche tu, maestro, creatura divina, come la tua filosofia comandava, in seno della tua “suprema monade“ che per “fulgurazione” e forse amore ti aveva generato te ne tornasti fiero di aver onorato il tuo destino di uomo. E “conatus” divino, forza incorporea e inestesa che oltre la fisica nella “metafisica” si conta per “sostanza” tu, maestro, la facesti “monade” e superando il duplice modo di Cartesio, alla maniera di quello Spinoza, che, oltre la reciproca diffidenza pure chiedesti in quel tuo viaggio all’Aia, di leggere e visitare e che tutta “una” tutta in Dio la raccoglieva, così, nella tua “Monodologia” che volesti sintetica ed a quel principe di Savoia facilmente comprensibile, scrivesti: ”La monade di cui intendiamo parlare è una sostanza semplice, che entra nei composti; semplice, cioè senza parti. (2) E debbono esservi sostanze semplici, perché esistono i composti: il composto infatti non è altro che un ammasso o “aggregatum” di elementi semplici. (3) Ora, dove non esistono parti, non v’è né estensione, né figura, né divisibilità possibile. Queste monadi sono i veri atomi della natura: in una parola, gli elementi delle cose” una sostanza quindi di natura spirituale che attiva in un universo dalla “armonia prestabilita” (lo leggeremo dopo) libera si squaderna per il mondo per “appercezioni” sempre più chiare e distinte per salire fino a Dio. Monadi che in virtù di quel tuo “principio degli indiscernibili” le fa infinite e ognuna diversa dalle altre ed assolutamente tra di loro indipendenti. Anzi precisando aggiungevi: (7) Neppure v’è un mezzo per spiegare come una monade possa venire alterata o mutata nel suo interno per opera di qualche altra creatura, poiché non è concepibile in essa alcuna trasposizione di parti, e alcun mutamento interno che vi possa essere eccitato, diretto, accresciuto, come avviene nei composti, dove vi sono mutamenti tra le parti. Le monadi non hanno finestre, attraverso le quali qualcosa possa entrare od uscire. Gli accidenti non potrebbero distaccarsi dalle sostanze né passeggiare fuori di esse, come una volta facevano le specie sensibili degli scolastici. Così, né sostanza, né accidente può penetrare dal di fuori nell’interno d’una monade” e quindi …i mutamenti naturali delle monadi derivano da un principio interno, perché una causa esteriore non potrebbe influire sul loro interno” per cui “occorre” che la “monade” abbia in sé “una pluralità di affezioni e rapporti” ovvero di “percezioni” che per essere esse la capacità di “rappresentare” e pensare il mondo le fa “specchio vivente” dell’universo stesso e universo essa stessa. Scrivevi ancora in verità: ”Questa connessione ed adattamento reciproco di tutte le cose fa sì che ciascuna sostanza semplice abbia dei rapporti esprimenti tutte le altre, e che sia per conseguenza uno “specchio vivente”, perpetuo, dell’universo”… quasi che l’”immanentismo” del maestro Spinoza non ti fosse molto estraneo ma avanzando con quel tuo “innatismo” dell’intelletto, contro la dottrina di quel tal liberale empirista anglicano che lo riteneva solo una“tabula rasa” tutto assegnando all’esperienza, tu lo facesti della conoscenza signore e con forza al suo aforisma ((ma quanto suo veramente!) che recitava: “niente è nell’intelletto che prima non sia stato nei sensi” (nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu) fieramente aggiungesti “se non nell’intelletto stesso” (nisi in intellectu ipse) e tutto cambiò e l’annosa opposizione che da troppo tempo avvelenava la filosofia sembrò (altre e più “tignose” in verità verranno poi critiche!) chiudere ogni via all’empirismo. E la tua “legge della continuità“ delle percezioni che a livello coscienziale faceva gradatamente crescere le monadi “senza finestre” sembrò “assicurare” all’accadere contingente del mondo una forma di “continuità” che oltre le monadi che restano e sono “senza finestre” e quindi tra di loro non influenzabili, tu chiamerai, maestro, dell’”armonia prestabilita” e che ricadendo sull’uomo si manifestava in quella arcana unità che fa il pensiero azione Nella tua “Monodologia 52” scrivevi: “ma nelle sostanze semplici l’influenza d’una monade sull’altra è soltanto ideale e non può aver luogo che per intervento di Dio, in quanto che, nelle idee di Dio, ogni monade postula con ragione che Dio, nel regolare le altre dall’origine delle cose, abbia riguardo ad essa. È questo il solo mezzo per cui una monade può dipendere da un’altra, non essendo possibile che essa eserciti un’influenza fisica nell’interno dell’altra… Questi princìpi mi hanno offerto la possibilità di spiegare, secondo i princìpi naturali, l’unione o meglio la conformità dell’anima e del corpo organico. L’anima segue le sue proprie leggi ed il corpo, del pari, le sue; essi poi s’incontrano in virtù dell’armonia prestabilita fra tutte le sostanze, perché sono entrambi rappresentazioni dello stesso universo” affermando che “le anime agiscono secondo le leggi delle cause finali, per appetizioni, fini e mezzi. I corpi agiscono secondo le leggi delle cause efficienti o dei movimenti. Ma i due regni, quello delle cause efficienti e quello delle cause finali, sono in armonia fra loro” affermando che Dio, “grande orologiaio”, all’atto della creazione, come due orologi avesse nell’uomo l’anima ed il corpo sincronizzati perchè sempre segnassero nello stesso momento la stessa ora e sarebbe bastato conoscere l’ora dell’uno per conoscere quella dell’altro. E “come noi abbiamo stabilito qui sopra un’armonia perfetta fra i due regni naturali, l’uno delle cause efficienti, l’altro delle finali; così dobbiamo qui osservare un’altra armonia fra il regno fisico della natura, e il regno morale della grazia” e poiché….nelle idee di Dio v’è una infinità di universi possibili, e non ne può esistere che uno solo, è necessario che vi sia una ragione sufficiente della scelta di Dio, la quale lo determini a scegliere l’uno piuttosto che l’altro (54) Questa ragione non può trovarsi che nella convenienza, nei gradi di perfezione che quei mondi contengono, poiché ciascun possibile ha diritto di pretendere all’esistenza, secondo la perfezione che racchiude.(55) E questo è appunto la causa dell’esistenza del migliore, che la saggezza fa conoscere a Dio, che la sua bontà gli fa scegliere e la sua potenza gli fa produrre” e poiché Dio è diventato l’“architetto della macchina dell’universo” e nella sua saggezza e potenza non può scegliere il “meglio” allora dobbiamo concludere che tra tutti i mondi che Dio avrebbe potuto scegliere questo che esiste è certamente “il migliore dei mondi possibili”. Affermazione che divenuto, tuo malgrado, maestro, il tuo apoftegma fece tanto rumore che se qualcuno di Francia poi si alzò e nel suo “Dizionario filosofico” scagliando i suoi strali irrise al tuo “ottimismo” scrivendo che: “quale sorte migliore possibile” c’era nell’essere stati per gli uomini cacciati da un luogo di delizie “dove si sarebbe potuto vivere per sempre se non si fosse mangiata una mela e…patire poi tutte le malattie, provare tutti i dispiaceri, morire nel dolore e, come rinfresco, venir bruciati per l’eternità” e continuando venne, in un suo tal romanzetto di provincia, con quel tal maestro “Pangloss” (di cui anch’io un dì, facendo parlare i muri, irrisi alla mia patria albanellese pur col divin poeta apostrofandomi “ma fu’io solo, là dove sofferto/fu per ciascun di torre via Albanella,/ colui che la difesi a viso aperto”) a replicare, non ti crucciare, maestro Leibniz, chè mai tu nelle tue opere scrivesti che questo fosse un mondo perfetto quanto piuttosto ed imperscrutabili sono i disegno di Dio che tra i tanti mondi possibili questo era il migliore ed… il male inevitabilmente appartiene ad ogni cosa che sia stata creata, chè esso, alla maniera di Agostino, di per sé non esiste, ma solo come “limitazione di essere”. Così confermando nei tuoi “Saggi di Teodicea” per tre specie il male lo distinguevi: ”in senso metafisico, fisico e morale. Il male metafisico consiste nella semplice imperfezione, il male fisico nel dolore, il male morale nel peccato. Ora benché il male fisico ed il male morale non siano affatto necessari, è sufficiente che in virtù delle verità eterne, siano possibili. E come questa regione immensa di verità contiene tutte le possibilità, bisogna che vi siano un’infinità di mondi possibili, che il male entri in molti di essi e che anche il migliore di essi ne racchiuda; il che è ciò che ha determinato Dio a permettere il male” ma sempre e solamente in una per l’uomo prospettiva provvidenziale, come ben fai intendere, quando scrivendo “del male fisico” affermavi che:”Dio spesso lo vuole come una pena dovuta alla colpa e spesso come un mezzo adatto ad un fine, cioè per impedire mali maggiori o per ottenere maggiori beni e…come il grano che viene seminato è soggetto ad una specie di corruzione per germinare”. E non v’è nel tuo pensiero, maestro, né necessità né “predeterminazione” ma solo e solamente tesoro alla nostra vita il “libero arbitrio”!
E mi piace in congedo di questa mia “epistola” di pensare con te, maestro Leibniz, che se Dio, intervenendo avesse impedito a Cesare di varcare il Rubicone o a Sesto Tarquinio di consumare il suo infame gesto ad un mondo “peggiore” avrebbe dovuto dare origine e …forse in quel mondo, maestro, questa mia umile lettera ti sarebbe mancata!
Questo, maestro, il mio epigramma per te: “E se la superbia anglicana non ti meritò non ti crucciare, maestro Leibniz, che oltre l’empirismo regna con la tua monade la tua universale armonia!”
Questo, maestro, nell’ottobre ignaro l’amore e la mia pena, il fiore che ti… porto!
Chiusa nelle prime ore pomeridiane del giorno di lunedì 5 ottobre 2020