EPIGRAFE
Dio
Definizioni
1) Per causa di sé intendo ciò la cui essenza implica l’esistenza; ossia ciò la cui natura non si può concepire se non esistente
2) Dicesi del suo genere finita quella cosa che può essere delimitata da un’altra cosa della stessa natura. Per esempio, un corpo si dice finito perché ne concepiamo un altro sempre maggiore. Parimenti un pensiero è delimitato da un altro pensiero. Ma un corpo non è delimitato da un pensiero, né un pensiero da un corpo.
6) Per Dio intendo l’ente assolutamente infinito, cioè la sostanza che consta di infiniti attributi, di cui ognuno esprime eterna e infinita essenza.
(B. Spinoza “L’Etica”)
Ed anche per te, maestro Spinoza, figlio di Michael della città Amsterdam che dell’”etterno accadere divino del mondo” ne facesti apoftegma, canterò il mio canto…e compagno in quella tua dignitosa povertà ti vedo, maestro, seduto in quell’angusto e polveroso laboratorio di Voorburg ad intagliare quelle lenti, i primi cannocchiali vennero proprio dall’Olanda, che ti diedero da vivere e da… morire!
Moristi in verità, non ancora compiendo i 45 anni, di tisi si scrisse allora meglio diremmo oggi di “silicosi”, in silenzio inalando e meditando, maestro, su quello era il senso profondo e il modo vero di cercare la verità e come oltre i pregiudizi indotti dei sensi la si potesse raggiungere. E tutta la tua riposta fu e la trovasti in quel proseguire geometrico “more geometrico” che fu del grande Euclide prima e poi di Cartesio, il maestro che tu amasti di più e che come di un novello Edipo la sorte, per crescere, fosti fatalmente destinato ad ucciderlo, quando, partendo proprio dalla sua definizione di “sostanza” che l diceva la “res quae ita existit ut nulla alia re indigeat ad existendum” ovvero la cosa che aveva dentro di sé la propria ragione di essere (causa sui) tu, maestro Spinoza, muovendoti per assiomi, teoremi e corollari, concludesti che perché causa di se stessa e non poteva non possedere tutte quelle caratteristiche dell’infinità, dell’eternità, della libertà e della necessità, le quali precipitandosi a loro volta nell’”unità” della sostanza, superavano quello stato di travaglio dualistico che fu la “res cogitans” e la “res extensa” risolvendosi in “una”, in una soltanto la “sostanza” che così la tua definizione la conformava: “3. Per sostanza intendo ciò che è in sé, ed è concepito per sé: vale a dire ciò il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa, da cui debba essere formato” e che avanzando alla meta ti portò a quella piena identificazione tra la sostanza e Dio e Dio con la natura, a quel “Deus sive natura” che fu la gloria e la croce di una filosofia che senza un Dio ritrovò il suo Dio dappertutto anche in questo nostro mondo che pure attraversato da mille tragedie , non fu mai per te, maestro, un luogo di perdizione e di sofferenza, ma sempre fu la manifestazione incantata e misteriosa di un Dio ,che così definivi “ 6. Per Dio intendo l’ente assolutamente infinito, cioè la sostanza che consta di infiniti attributi, di cui ognuno esprime eterna e infinita essenza” e del quale condividendone noi uomini con il corpo e con il pensiero, con la “res extensa” e la “res cogitans”, ne siamo dei suoi infiniti “attributi” e “4. Per attributo intendo ciò che l’intelletto percepisce della sostanza, come costituente la sua essenza” i due più alti. Egli, il Dio, che dell’essere della natura e dei suoi tanti accadimenti si pasce e si nutre, si svela in noi e del suo libero eppure necessario accadere nel mondo ci fa sua “docile fibra”. E non fu poca cosa questa tua idea del mondo che, come scrive Giorgio Colli può non piacere a lettori “pigri, che avvicinandoti a quel vecchio rapsodo di Colofone che fondando una scuola ci regalò la logica, ti portò oltre il rudimentale antropomorfismo deistico del tuo tempo e come già quel vecchio rapsodo identificando lui l’”essere” con il mondo e tu, maestro, Dio con la natura (Deus sive Natura) entrambi vi ritrovaste a condividere quel concetto di panteismo che accendendo il rogo di Giordano Bruno tanto ti costò. In verità per essere il tuo Dio, maestro, causa immanente dell’accadere delle cose ovvero di quei “modi” degli attributi della sostanza che nel tuo “more geometrico” definivi:”5. Per modo intendo le affezioni della sostanza, ossia ciò che è in altro, per cui anche viene concepito” tu tutto lo diffondevi e precipitavi raccogliendolo nell’unità della natura!
La natura è Dio e Dio è il mondo e ogni individuo che pensa o un corpo che si muove nello spazio altro non è che un “modo”, un’ affezioni della stessa natura e dello stesso Dio e quindi partecipi di uno stesso destino e… se poi a noi uomini le cose del mondo sia quelle spirituali che quelle materiali, ci appaiono spesso disgiunte e fuori da ogni precetto di necessità è solo perché del mondo noi uomini ne abbiamo una conoscenza “limitata” chè in esso invece sempre regna un ordine ed una connessione (ordo et connexio idearum idem este ac ordo e connexio rerum) una forma di misterioso, divino “parallelismo” che il dio-natura, causa immanente di sé e di tutte le cose assicura nel necessario e rigoroso accadimento di ogni evento fuori da ogni nostro millantato, umano “libero arbitrio”.
Scrivevi dell’”Ethica” in un corollario: “Ne segue, che la potenza di pensare di Dio è uguale alla sua potenza attuale di agire. Ciò significa, che tutto ciò che segue formalmente dall’infinita natura di Dio segue obbiettivamente in Dio dall’idea di Dio nello stesso ordine e nella stessa connessione” e continuando in uno “scolio”…tutto quel che può essere percepito da un intelletto infinito come costituente l’essenza della sostanza, appartiene solo a un’unica sostanza, e di conseguenza che la sostanza pensante e la sostanza estesa sono una sola e medesima sostanza, che è compresa ora sotto questo, ora sotto quell’attributo. Così anche un modo dell’estensione e l’idea di questo modo sono una sola e medesima cosa, però espressa in due maniere…perciò, sia che concepiamo la natura sotto l’attributo dell’estensione, sia sotto l’attributo del pensiero, sia sotto qualsiasi altro, troveremo un solo e medesimo ordine, ossia una sola e medesima connessione di cause, cioè che le stesse cose si susseguono da una parte e dall’altra”. Una “weltanschauung” nuova e troppo ardita forse rivoluzionaria per i tuoi tempi che scosse talmente profondamente la “provvidenziale” credenza di un Dio antropomorfo che intervenendo negli eventi del mondo disponeva della salvezza e della perdizione degli uomini, che presto ti portò contro tutte le gerarchie ecclesiastiche del tuo tempo che reagendo malamente ti additarono al disprezzo ed alla gogna e ti maledissero. Per prima, ricordi, lo fece la tua stessa comunità ebraica, quando ancora giovane pensatore tu ti facesti, nella Sinagoga, artefice di dubbi e domande sulla ”rivelazione divina” della Bibbia e venendo in contrasto con i rigidi custodi dell’ortodossia, i signori del “Mahamad”, prima ti comunicarono che :” essi, già da tempo edotti delle cattive opinioni ed azioni di Baruch d’Espinosa, si sforzarono con diversi mezzi e anche con promesse di stornarlo dal suo malvagio cammino. Ma poiché non poterono conseguire alcun risultato, e al contrario ricevevano giornalmente nuove notizie dei suoi spaventosi errori ed empietà, manifestati con atti e con parole riferiti da molti testimoni degni di fede” e poi esaminata la questione “davanti ai signori Rabbini” con la loro approvazione decisero di bandirti e di separarti per sempre dal popolo d’Israele e queste dell’antico anatema furono le terribili parole “secondo il giudizio dell’Angelo e la decisione dei Santi, noi, con l’assenso di Dio e di questa santa Comunità… malediciamo, escludiamo, espelliamo ed esecriamo Baruch d’Espinosa. Pronunciamo questo herem (anatema) nel modo in cui Giosuè lo pronunciò contro Gerico…. sia maledetto di giorno e maledetto di notte, quando dorme e quando si sveglia, quando esce e quando entra. Che l’Eterno non gli perdoni mai. Che faccia divampare la sua collera e la sua indignazione contro quest’uomo e riversi su di lui tutti i mali menzionati nel libro della Legge. Che cancelli per sempre il suo nome da questo mondo e lo separi per sua sventura da tutte le stirpi di Israele e lo affligga con tutte le maledizioni del firmamento che stanno nel libro della Legge. Ma voi, che state fermi in Dio vostro Signore, possiate tutti vivere e prosperare. State in guardia che nessuno si rivolga al maledetto Espinosa a voce o per iscritto, che nessuno gli manifesti favore, che nessuno dimori con lui sotto il medesimo tetto, che nessuno si trattenga a quattro braccia di distanza da lui, che nessuno legga una pagina che egli abbia composta o scritta”… era il 27 luglio 1656 e come altri già prima di te, a soli 24 anni, fosti cacciato dalla tua comunità avviandoti nel silenzio e nella povertà a diventare filosofo e grande chè … grande fu davvero la tua ricerca della verità che precipitandola in quel famoso aforisma che recitava “per realitatem et perfectionem idem intelligo” e per cui intendevi la realtà e la perfezione la medesima cosa, in esso non solo raccogliesti il senso profondo del tuo filosofare o meglio del tuo vivere come la tua “Etica” postuma spiegherà, ma imparando e sperimentando “sub specie aeternitatis” sotto la specie dell’eternità a guardare il mondo tu, che dagli “ortodossi” fosti maledetto e perseguitato, non solo lo giudicasti benevolmente ma rivolto al divino lo ritenesti anche l’unico luogo deputato dove manifestandosi nella sua piena e completa libertà e necessità la sostanza viene a compimento e l’accadere di ogni cosa nel mondo si fa eterno principio della panteistica divina presenza di Dio . Eppure fosti dal tuo tempo ed oltre oltraggiato e deriso e come senza Dio fosti condannato e maledetto alla “geenna” e sebbene la tua breve vita fin dall’infanzia funestata da gravi lutti, perdesti la madre all’età di sei, e poi il padre, nessuno ebbe pietà e scacciato, per amore della libertà, dalla tua stessa comunità presto con dignità e umiltà ti votasti ad intagliare lenti ed all’età dei tuoi quarant’anni, mentre eri intento alla stesura della tua “Etica”,ringraziando un certo professore Ludovicus Fabritius, emissario del Conte Palatino del Reno Carlo Ludovico, con queste parole: “Illustrissimo se mai avessi avuto il desiderio di intraprendere la professione di una facoltà, questa che mi viene offerta per mezzo vostro dal serenissimo Elettore Palatino sarebbe stata la sola ch’io avessi potuto desiderare, specialmente per la libertà del filosofare che il clementissimo Principe si degna di concedere.. ma siccome non fu mai mia intenzione di insegnare pubblicamente, non posso indurmi ad approfittare di questa bella occasione, per quanto a lungo vi abbia riflettuto. Infatti, se volessi dedicarmi all’educazione dei giovani, dovrei in primo luogo rinunziare a far della filosofia” e quindi “per amore della tranquillità che in nessun altro modo credo di potermi assicurare se non astenendomi dal pubblico insegnamento”… così rifiutasti quella cattedra che la prestigiosa università Heidelberg ti offriva e povero, anche quando gli amici ti offrirono offrivamo case tu sempre rifiutasti e continuando ad abitare in stanze d’affitto e quando cambiavi casa e lo facesti molte volte, per te non fu mai un problema: un letto, qualche mobilio e gli attrezzi del tuo mestiere con in particolare quei centossessanta volumi che sempre in vita ti furono compagni fedeli e che solo la morte ti potè rubare eppure…lettore, io fui felice e nel silenzio fecondo della breve vita giunsi più volte a sperimentare la gioia di vivere ed ad comprendere il divino accadere delle cose che di molto accostò alla“stoica” la mia “etica” . Molti infatti furono in verità e tanti i miei nemici se, come si narra, alla mia morte, dopo essere stato sepolto in quella chiesetta protestante dell’Aia, la mia tomba nottetempo venne aperta ed il mio cadavere venne trafugato e più nulla si seppe delle tue spoglie mortali, ma io dove oramai mi raccoglie l’aldiquà ed il mio “Deus sive Natura” si fa più forte non porto rancore e li perdono e nella perfetta identità di pensiero ed azione con gioia insieme al degno filosofo di Bergson, non faccio altro che ripetere una sola parola “etica” ,”etica” nella vita perché la posta in gioco non è il sapere ma il vivere e il giungere a capire che in ogni cosa che accade splende Dio. Ed più volte scrissi ai miei amici e fui felice di annunciare loro che la vera missione della filosofia è quella di “infondere letizia nel vivere e gioia e libertà allo star bene” questo per me ha sempre significato cercare ed amare Dio e servirlo nella sua assoluta perfezione ed ”ateo virtuoso”, come qualcuno del mio tempo volle, nella sua benevolenza, “tacciarmi”, mi avvio per l’ “ incommensurabile, in cui il cuore veramente pio soccombe beato…ed in una unione ineffabile…con la divinità silenziosa e disabitata dove non c’è opera né immagine” io, maestro Spinoza, vi saluto e per il poeta di Argentina che tanto mi amò, mi congedo chè :” l’assiduo manoscritto aspetta, già carico di infinito”!
Questo, maestro, il mio epigramma per te “Non ti turba del mondo il rumore ed in silenzio continui nella penombra a intagliare le tue lenti, del mondo, maestro Spinoza, cesellando l’etterno divino accadere!”
Questo, maestro, nel settembre che impera soleggiando il mio voto e l’armonia ….il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore meridiane del giorno di venerdì 18 settembre 2020