A quarant’anni dall’ultima mostra in uno spazio pubblico a Napoli (Villa Pignatelli, 1977), la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee presenta Painting as a Butterfly, la prima grande retrospettiva dedicata esclusivamente alla produzione pittorica e disegnativa di Pier Paolo Calzolari (Bologna, 1943), uno dei più importanti artisti italiani contemporanei, esponente a partire dagli anni Sessanta delle ricerche afferenti all’Arte Povera.
La mostra al Madre, organizzata in stretta collaborazione con la Fondazione Calzolari e a cura di Achille Bonito Oliva e Andrea Viliani, inizia al terzo piano per proseguire nelle quattro Sale Facciata al secondo piano (entrando anche in dialogo con la prospiciente sala affrescata da Francesco Clemente) e concludersi nella Sala Re_PUBBLICA Madre al piano terra, comprendendo oltre 70 dipinti, disegni e opere multimateriche realizzati dalla metà degli anni Sessanta a oggi, che documentano tutti i principali cicli e fasi della ricerca dell’artista.
La pratica della pittura per Calzolari – come da lui dichiarato a Bonito Oliva nell’intervista inedita per il catalogo della mostra – è uno “strumento di ascolto”, uno stato di “sospensione” in grado di portare a una sintesi le molteplici articolazioni della sua ricerca, al contempo minimalista e sensuale, concettuale e barocca. Calzolari ha trascorso la sua giovinezza a Venezia, dove è stato influenzato dagli effetti luministici e dal riflesso della luce sulle superfici architettoniche, elemento distintivo della pittura veneta. Queste osservazioni lo conducono ad adottare nelle sue opere un materiale quale il ghiaccio, scelto per dare rappresentazione diretta del bianco perfetto che può esistere solo in natura e destinato a caratterizzarne la produzione successiva, così come altri materiali, elementari e spesso organici, quali fuoco, sale, piombo, foglie di tabacco, muschio, legno combusto, noci, gusci di animali, insieme a neon e feltro.
Continuando ad esplorare il suo interesse per la luce, la materia e lo spazio-tempo attraverso la scultura, l’installazione e la performance – come negli happening realizzati dal 1966, in cui spinge gli spettatori a divenire interpreti di quella che definirà “attivazione dello spazio” – Calzolari realizza a partire dagli anni Sessanta dipinti e disegni che, seppur meno conosciuti, rappresentano una caratteristica e una componente fondamentale della sua pratica. Opere che delineano una riflessione sulle relazioni fra colore, forma, oggetto e ambiente, anche nel richiamo alle sperimentazioni dei Valori Plastici novecenteschi, e che non solo hanno plasmato e strutturato la sua ricerca artistica, ma che rivestono una profonda influenza sia nella definizione dell’arte italiana degli ultimi cinquant’anni sia verso le successive generazioni. Nei suoi dipinti e disegni Calzolari ha infatti ripercorso e liberamente portato a confronto elementi e concetti apparentemente antitetici quali materie naturali e rappresentazione pittorica, astrazione e figurazione, dimensione visuale e performativa, spazio-tempo dell’opera e dell’ambiente in cui essa si inserisce, riplasmandolo.
Pier Paolo Calzolari
Vive e lavora a Fossombrone, nelle Marche. Nato a Bologna nel 1943, Calzolari trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Venezia, il cui patrimonio artistico bizantino e la particolare luce lasciano una traccia profonda sulla sensibilità del futuro artista. Nel 1965 torna a Bologna e apre uno studio a Palazzo Bentivoglio, dove realizza i primi lavori di pittura e accoglie mostre di altri artisti, presentando i primi film 8mm e super8 di Ari Marcopoulos, Andy Warhol, Jonas Mekas e Mario Schifano e incontra personaggi come Allen Ginsberg, Julian Beck, Luigi Ontani, Raymond Hains e Chet Baker. Nel 1966-1967 realizza la prima delle sue opere-performance (Il filtro e benvenuto all’angelo) che coinvolge gli spettatori in una partecipazione diretta dell’opera e che Calzolari stesso definisce una “attivazione dello spazio”, secondo un metodo di lavoro tipico della sua produzione successiva: gli “atti di passione”.
Tra il 1967, anno in cui si sposta a Urbino, e il 1972 Calzolari si muove tra Parigi, New York e Berlino e porta a maturazione il suo progetto artistico stabilendo i parametri del suo vocabolario plastico. In questo periodo Calzolari è accorpato al movimento dell’Arte Povera e il suo scritto La casa ideale (1968), che trova compimento in un gruppo di opere, viene da alcuni considerato uno degli enunciati essenziali di questo movimento. In questi anni realizza un ampio ciclo di lavori con strutture ghiaccianti e neon, come Oroscopo come progetto della mia vita (1968) e la serie Gesti (1968-1969) in cui la formazione della brina sulle forme, sancita del passaggio del tempo, è indice del processo di trasformazione alchemica della materia. In questo modo gli oggetti e i materiali che l’artista utilizza fin dal 1967 (fuoco, ghiaccio, piombo, stagno, sale, muschio, tabacco) conoscono una seconda vita accanto agli elementi luminosi, traccia della lucentezza del marmo veneziano. A partire dal 1972, l’artista si concentra sullo studio della pittura in modo profondamente anticonvenzionale.
Preferendo nuovi “supporti”, come la flanella o fogli di cartone incollati sulla tela, l’artista giustappone segni pittorici a oggetti reali, come piccole barche di carta o trenini in movimento lungo percorsi ripetuti all’infinito. La pittura di Calzolari rimane legata spesso al coinvolgimento fisico delle persone: a Berlino ad esempio realizza una serie di lavori-performance (raccolti nel libro intitolato Day After Day, a Family Life) come Usura amore e misericordia (1972-1974) nelle quali l’artista, sovvertendo ogni formalismo, porta il rituale della quotidianità sul piano dell’esperienza estetica e in rapporto orizzontale con il mondo e con la storia. Il suo percorso, malgrado la prossimità evidente con la produzione coeva degli artisti dell’Arte Povera (in particolare con Mario Merz e Jannis Kounellis), con l’Arte Concettuale e il Post Minimalismo americano è caratterizzato da diversi elementi peculiari: la volontà di saturazione dei sensi, la modalità di rendere visibili i dati del pensiero astratto e l’essenza delle cose, l’attenzione particolare rivolta alla fragilità di oggetti e materiali.
Dal 1973 si muove tra Bologna, Parigi e Milano dove si stabilisce per otto anni continuando la ricerca parallela tra pittura, scultura e performance. Infine si sposta a Torino e realizza alla galleria Tucci Russo installazioni composte da pitture di grande formato e performance. Intorno al 1982 lascia Torino per Vienna, dove torna a concentrarsi soprattutto sulla pittura e nel 1984 decide per la qualità della luce, di tornare nel Montefeltro dove vive e lavora tuttora. Nell’arco di questa permanenza nell’urbinate, Calzolari è invitato a partecipare a molteplici residenze all’estero, in particolare in Francia (La Ferme du Buisson, Domaine de Kerguéhennec, Atelier Calder, Le Fresnoy) durante le quali lavora nell’ambito della danza, interessandosi allo studio dei rapporti tra spazio, corpo e tempo, e dando così nuovo sviluppo al suo lavoro performativo. La dimensione estetica di Calzolari – che prende forma attraverso pitture, sculture, testi, registrazioni sonore, video, performance, il coinvolgimento di persone e animali, l’architettura e la luce, e una profonda diversificazione di materiali – è di fatto difficile da circoscrivere o da ricomporre in un progetto che è tuttora in atto: “Nessuna considerazione formale – scrive Catherine David – può rendere conto di un’esperienza la cui dimensione è restituita in tutti i suoi stati”.