Nato nel 1940 a Cappelle sul Tavo, in provincia di Pescara, Ettore Spalletti inizia a farsi notare negli anni settanta, quando sotto le sue dita prendono forma strutture minimali, prevalentemente in legno e marmo, che si animano mediante il colore, interagendo con lo spazio in cui si collocano. Queste prime creazioni sono semplici solo in apparenza: dietro le geometrie essenziali e le scelte monocromatiche, si intuiscono strati di pittura sovrapposti, grumi di materia ruvida che diventa luce, poesia solida e cinetica, dal grande impatto emozionale. La tecnica, che Spalletti perfezionerà nel corso della sua carriera, è un incontro perfetto tra scultura e pittura: prima viene plasmata e definita la superficie, e poi su questa si applicano i diversi pigmenti.
I colori che ricorrono nell’opera di Spalletti spaziano dall’azzurro rubato al mare della sua infanzia, al giallo del sole, al rosa della pelle. Raramente ci si discosta da queste cromie simboliche, vibranti di vita, ancorate alla realtà e alla memoria dell’artista. Il suo colore prediletto è però il grigio, che pare portarsi dentro la sintesi perfetta: a metà tra bianco e nero, neutro senza essere banale, si sposa bene a ogni altra nota cromatica, è “il colore dell’accoglienza”.
La natura scultorea delle opere di Ettore Spalletti non passa solo attraverso un uso materico del colore, ma si sostanzia anche nella relazione simbiotica con lo spazio. I suoi quadri strabordano dalla cornice, irridono le convenzioni formali, rinunciano alla loro integrità per cercare una totale compenetrazione con il contesto espositivo. D’altra parte pur nell’astrattismo che domina i suoi lavori si possono rintracciare archetipi scultori chiari, come il vaso, la colonna, la coppa.
In questa sintesi di linguaggi, che rende l’arte intrinsecamente “fisica”, tridimensionale, tattile, non può che essere chiamato in causa anche lo spettatore, che con il suo sguardo e la sua esperienza la completa. Ne sono un esempio le stanze dell’obitorio di Garches, ristrutturate dall’artista nel 1996, in quello che rappresenta uno dei suoi lavori più significativi: qui il colore dominante è l’azzurro, che avvolge e addolcisce lo spazio, ma gli conferisce anche una sorta di aura mistica e sacrale. Le stesse suggestioni trascendenti caratterizzano la Cappella della clinica Villa Serena a Città Sant’Angelo, una chiesetta che Spalletti ha rimesso a nuovo insieme a sua moglie, l’architetto Patrizia Leonelli. E non a caso per Spalletti l’intero spazio è un’opera d’arte, in cui colori e forme, vuoti e pieni, luci e ombre cooperano a plasmare un’esperienza spirituale immersiva.
Le opere di Spalletti hanno guadagnato in fretta un posto di prestigio sulla platea internazionale, dai primi anni ottanta fino ai giorni nostri. Tra gli eventi più importanti che lo hanno visto protagonista ricordiamo la Biennale di Venezia (nelle edizioni 1982, 1993, 1995, 1997) e le innumerevoli mostre personali, a Parigi (Musée d’art moderne de la Ville de Paris, 1991), New York (Osmosis, S. R. Guggenheim Museum, 1993, con Haim Steinbach), Anversa (Museum van Hedendaages Kunst, 1995), Strasburgo (Salle des fêtes, Musée d’art moderne et contemporain, 1998-99), Napoli (Museo nazionale di Capodimonte, 1999), Leeds (Henry Moore Foundation, 2005). Cinque anni fa è andata in scena la retrospettiva più completa dell’opera di Spalletti, dal titolo “Un giorno così bianco, così bianco”, che eccezionalmente ha visto coinvolti tre poli museali italiani all’unisono, il MAXXI di Roma, la galleria GAM di Torino e il Museo Madre di Napoli. Ogni sede ha posto l’accento su un aspetto diverso della vasta produzione di Spalletti, esponendo in totale circa 70 opere. Degna di nota in particolare l’installazione proposta al MAXXI: un cubo bianco e denso di luce, in cui si poteva entrare (massimo quattro persone per volta), lasciandosi avvolgere dal candore abbagliante delle pareti e dei dipinti posati su di esse, appena scostati in modo da metterne in evidenza i profili dorati.
Un punto di vista privilegiato sulla poetica e sulla vita di Ettore Spalletti è anche quello offerto da Alessandra Galletta nel documentario Ettore Spalletti, Italia, un film di LaGalla23, in uscita a novembre: un tuffo nel mondo rarefatto e concettuale dell’artista, ma anche un ritratto onesto e privato dell’uomo, sempre in bilico tra materia e spirito.