Da qualche parte Giovanni Pascoli, parlando dei paesi della Garfagnana e della sua gente, ha scritto che il castagno ne ha scandito i ritmi di vita dalla nascita alla morte. Li ha accolti neonati frignanti nelle culle, ne ha arredato di mobilio la casa da sposi, ne ha fornito gli attrezzi di lavoro e botti e tini per la vinificazione, li ha accolti nella prigionia pietosa della “cassa” per l’ultimo viaggio. E, naturalmente, li ha alimentati con la povera gastronomia nei lunghi mesi invernali. Quello che Pascoli scrive per la Garfagnana vale, a piè pari, per il Cilento, dove il castagno è un albero familiare e costituisce elemento essenziale del paesaggio rurale di molte zone interne. Ma ci sono località che più delle altre hanno basato una parte non trascurabile della loro economia sul castagno e i suoi prodotti. Si tratta di Roccadaspide. Stio, Futani, Cuccaro Vetere e Montano Antilia
Roccadaspide è porta e capitale della Valle del Calore. Nel massiccio castello Filomarino e nel compatto centro storico si registrano ancora belle pagine di storia di un feudo potente. È una balconata ariosa sui coltivi ubertosi a margine del fiume. Scala a comodi terrazzamenti il Monte Vesole a conquista di panorami d’infinito sul mare di Paestum e Del Golfo di Salerno. È il regno del marrone, con una produzione media di 250.000 quintali all’anno della varietà Nzerta e Abate. Alimentano l’industria della pasticceria nella variegata gamma dell’offerta. Una notevole quantità è destinata all’essiccazione e commercializzazione come le castagne del prete, che tostate ed affumicate nella cappa del camino si consumano soprattutto a Natale. Una cooperativa di produttori con centinaia di soci attiva fino ad una decina di anni fa o giù di lì esportava il prodotto, fresco e lavorato anche negli Stati Uniti.
Stio è una dolce insellatura con panorami aperti, da un lato, sull’alta valle del Calore, dall’altro sulle colline accidentate a scivolo sull’Alento. Fu snodo importante di traffici e commerci nel Cilento medioevale. E conobbe i fasti di una fiera corsata, frequentata finanche da mercanti fiorentini e addirittura francesi a caccia di sete pregiate: I castagneti si estendono per ettari ad ombreggiare la strada che si snoda in comodi tornanti, nel verde fino alla aridità cretosa e franosa della Retara a ridosso della Civitella e a precipizio nella Valle di Campora.
Le castagne hanno alimentato, in parte, la povera economia del territorio e costituiscono ancora oggi speranza di risorse per non poche famiglie. A fine ottobre una sagra con convegni di studio e tavole rotonde ipotizza prospettive di sviluppo su base industriale di un prodotto non opportunamente valorizzato per scarsa capacità imprenditoriale locale e per obiettive difficoltà di comode strade di penetrazione.
Cuccaro Vetere, Futani e Montano Antilia spalancano finestre e loggiati sulla Valle del Lambro, che, nastro azzurro zig-zante, ferisce colline e brevi pianori alla spedita conquista del mare dei miti di Palinuro. Le case compatte nei centri storici, si diradano all’arrampicata ardita delle fiancate dei monti con il castagno che la fa da padrone fino a contendere il posto ai faggeti di altura. Il territorio fu feudo dei monaci italo-greci, le cui tracce sono ancora visibili in laure ed abbazie, chiese e campanili che puntano al cielo con un filo di croce. Igumeni e frati agrimensori insegnarono ai contadini a pestare salute dalle erbe officinali, a rendere feconde terre incolte con la regimentazione delle acque dei torrenti impetuosi e a sperimentare nuove colture e innesti prodigiosi su piante selvatiche. E i loro conventi, oltre che luoghi di culto e di preghiera, furono farmacopee e mercati. Bella pagina d storia quella della bizantinizzazione del Cilento ancora tutta da scoprire ed in grado di riservare notevoli e gradevoli sorprese sul piano dell’incontro delle civiltà in un territorio delle civiltà in un territorio aperto agli influssi delle vie del mare. Ma è anche una bella pagina di storia dell’agricoltura da rileggere anche e forse proprio lungo le vie del castagno che dagli ariosi promontori della costa si inerpicano rigogliose fin sulle cime dell’Antilia. E la vocazione della castanicoltura del territorio è segnata finanche dai toponimi., di cui Castinatelli, frazione di Futani, ‘ emblema significativo; kastaimakòs (di castagno) telos (tributo): tributo di castagne, quello che i monaci riscuotevano dai contadini: un quinto, per l’esattezza, sull’intero raccolto.
Ce n’è abbastanza per capire che la castagna ha scandito la povera alimentazione di intere generazioni ed ha festosamente salutato le mense di tante famiglie nel periodo ottobre/novembre con lo scoppiettare delle caldarroste, la dolce pastosità delle lesse, il croccante profumo delle infornate.
Ed oggi come ieri è un frutto che sbriglia la fantasia delle massaie alle prese con una gastronomia, che, sulle radici del passato, imbocca strade sempre più ricercate. Che delizia la zuppa di castagne con profumo di alloro o in fecondo matrimonio con i fagioli! Che spettacolo quel pastoso decoro marrone all’arista di maiale di montagna! per non parlare della ricca e varia pasticceria, che trionfa nel castagnaccio, nei tronchetti, nelle torte e nella sublime imbottitura di quelle mezzelune di sfoglia, che la fantasia popolare ha battezzato “pastorelle”. E il discorso potrebbe continuare con la squisitezza delle marmellate, dei gelati e del miele con il gradevole retrogusto amarognolo che le api ubriache di sole succhiano ai fiori d’oro a primavera avanzata.
E nell’esplosione dell’ecoturismo i castagneti sono una risorsa ambientale da valorizzare per quanti dalla costa di Paestum si avventurano alla scoperta delle zone interne con meta Roccadaspide e Stio, Magliano, Monteforte e Trentinara, ma non solo, come per quelli che da Ascea, Pisciotta, Palinuro e Marina di Camerota puntano ai paesaggi incontaminati dei paesi arroccati alle falde dell’Antilia e del Centaurino: Cuccaro Vetere, Futani e Montano, innanzitutto.
È una delle tante piacevoli sorprese di quello scrigno di tesori che è il Parco del Cilento.