“Diocle gli attribuisce questi altri detti: per il sapiente nulla è strano o irraggiungibile; l’uomo buono è degno di essere amato; gli uomini che si distinguono per virtù sono amici; bisogna farsi alleati gli uomini coraggiosi e giusti; la virtù è un’arma che non si può portar via; è meglio lottare con pochi buoni contro tutti i malvagi che con molti malvagi contro pochi buoni; bisogna
badare ai nemici, perché sono i primi a notare i nostri errori; bisogna stimare di più l’uomo giusto che il consanguineo; la virtù è la stessa per l’uomo e la donna; ciò che è buono è bello, ciò che è male è turpe; credi che tutte le azioni malvage sono estranee. La prudenza è un muro saldissimo, che non può né precipitare né essere tradito. Bisogna costruire dei muri nei propri inespugnabili ragionamenti”
(Diogene Laerzio: Vite dei Filosofi)
E ancora ti vedo, maestro Antistene, avvolto nel tuo lungo, unico mantello, solitario ergerti in quella piazza affollata del Cinosarge di Atene, dove reclamando alla natura il ritorno chiamavi il coraggio di Ercole in soccorso, tanto era difficile la via che tu, prima fra tutti, esigevi al raggiungimento della “virtù”, che altro non chiedevi che la totale, assoluta autosufficienza (autarchia) da ogni bisogno che non fosse naturale. Una via aspra e stretta, fatta di prove e di tante privazioni (non fosti forse proprio per questo tuo estremo rigore ad essere definito il primo “Cappucino” del mondo greco?) e che abbisognava, come già fu per Ercole ed Ercole era il tuo protettore, nelle sue dodici fatiche di forza e tanto coraggio!
Così come per Ercole anche per l’uomo che vuole incamminarsi per la via della “virtu”, l’unica che porta veramente alla felicità, anche lui dovrà e molto più pericolose belve, quali la povertà, l’ignominia, il disonore, la vergogna e l’ira della gente dovrà affrontare ed ancor di più ogni forma di umano disprezzo dovrà domare nonché la più terribile, la più astuta e la più crudele di tutte ovvero la bestia del “piacere” che per la sua enorme, inappagabile opposizione alla “virtù” non la sola lonza ma tutte le assommava in sè le bestie dell’Inferno, impedendo non solo il cammino ma rendendo l’uomo schiavo delle sue stesse voglie. “Vorrei essere pazzo piuttosto che godere” gridavi ai tuoi pochi allievi, sui quali “interrogato”, narra Diogene Laerzio, perché mai tu,maestro, avessi così pochi discepoli, rispondevi “perché li caccio con una verga d’argento” o ancora quando richiesto perché fossi così aspro nel riprendere i tuoi discepoli tu sempre rispondevi :”anche i medici si comportano così con gli ammalati” lasciando chiaramente intendere quanto estrema e per pochi fosse la via della “virtù” che tu, maestro, fino in fondo percorresti e con assoluta convinzione, se… poi il tuo amico di una volta Platone chiamandoti con disprezzo il “Socrate pazzo” pure lasciava e non senza invidia, intuire che tu solo del comune maestro ne avevi autenticamente continuato il magistero, privilegiando del sapere la sua identificazione con la “virtù”. Virtù che solennemente celebrandola in quella tua vita “secondo natura” per primo esponesti al raggiungimento della felicità in continuità con quella prima forma di eudemonismo etico che fu, ancora forse troppo chiusa del tuo grande maestro Socrate. Affermavi infatti oltre la ideale misura ideale del tuo borioso amico Platone che la conoscenza era invece “sensazione” e non certamente quella evanescente concetto razionale che svuotando di ogni valore levava alle cose con il colore il peso, insuperbendosi di quel fantastico mondo iperuranico che era la negazione della materia e che tu, maestro Antistene, tanto fortemente contestasti da attirarti prima l’irosa spocchia del tuo vecchio compagno alla scuola di Socrate, Platone e poi a seguire quella del suo allievo prediletto Aristotele che annoverandoti tra coloro che“non credono che ci sia altro se non ciò che si può stringere a piene mani“superficialmente e con una certa alterigia licenziò il tuo pensiero come uno degli ultimi, epigoni palpiti resistenti di quella tanta gloriosa eppure discussa scuola sofista che fu di Atene nel secolo di prima la signora!
Ogni cosa, infatti tu affermavi, è solo se stessa e non può che essere chiamata o definita se non con il suo stesso nome ed ogni concetto che voglia comprenderne l’essenza non è altro che un’illusione, chè nel mondo per te, maestro, non esistono che individui solamente e di conseguenza nessun giudizio è possibile sulle cose che non sia la pura e semplice affermazione della sua stessa identità…avanzando tu, maestro, per la prima volta, quella “vexata” lungimirante “questio” sugli universali che risolta dalla spocchia di Platone apostrofandoti che :”ciò che tu dici è vero, perché hai gli occhi del corpo con cui vedi il cavallo, ma ti manca l’occhio della mente, con cui si vede l’idea del cavallo” quando tu gli osservavi “o Platone, io vedo il cavallo e non la cavallinità”occupò invece e tanto infiammò il Medioevo che prima con il“Doctor Angelicus” e poi con il “Doctor Subtilis” e ancora tra di loro con il suo“rasoio” a primeggiare quel ”Doctor Invincibilis”, che negando all’universale ogni valore lo ridusse a moltiplicande affezioni dell’anima ovvero a puri segni nominali, ad “accidenti” e come te, maestro, tanti secoli prima affermò che solo“l’individuale è veramente intellegibile”… perciò non ti crucciare se, nella gloria che dei secoli che verranno assegneranno a Platone la vittoria chè se pure, come ancora riporta il nostro saccheggiato Diogene,“tu, vecchio, tardi avevi cominciato ad imparare” o consegnando ancora Platone il suo livore al suo allievo prediletto Arsitotele gli fece scrivere che: “Antistene professa la stolta opinione che di nessuna cosa possa dirsi altro che il suo nome proprio e che perciò non può dirsi che un nome solo di ogni singola cosa” tu, maestro, pure rimani e non è poca cosa se non saranno i secoli ad assegnarti la palma ma invece il nostro Nicola Abbagnano che filosofo della scienza di te vanta nel suo saggio “Il pensiero greco” il primato della “definizione”scrivendo che: ”Antistene ha per primo caratterizzato la definizione (logos) come l’espressione dell’essenza di una cosa – la definizione è ciò che esprime ciò che è o era -. Ma la definizione è possibile soltanto delle cose composte non degli elementi da cui esse risultano” esaltando contro la cieca spocchia platonica la tua lungimiranza e se poi … il grande Raffaello chiuso nel tuo alto turbante scuro a ricordare le tue lontane origine trace ti volle quasi stretto, soffocato tra il Magno Alessandro e l’astioso Senofonte che, pur essendoti come Platone prima compagno e poi nemico, non potè non scrivere della “dolcezza del tuo eloquio nella conversazione” pure sei lì,maestro Antistene, in quella “filosofica famiglia” dove sedendo insieme tra i grandi fulgi continuando pensieroso ad additare all’occidente il suo cammino ed“a voi che nelle sacre pagine iscrivete l’eccellentissima dottrina che la virtù è l’unico bene dell’anima e che essa sola salva le vite umane e la città “ sappiate che fui io, Antistene senza patria, che per primo aprì le porte alla“virtù” e generò quel figlio di Sinope che interrogando l’oracolo di Delfi gli fu risposto“muta le istituzioni politiche“ e tu, maestro, davvero le mutaste se, come testimonia Learzio, per te mutare significava tornare, ricondurre gli uomini al governo della“natura”,a quella natura che disdegnando le convenzioni sociali consegna con le leggi alla città agli uomini la condotta esistenziale. “Tornare alla natura” fu il tuo insegnamento e vivere secondo natura fu la tua vita e nulla che eccedesse la necessità della naturale sopravvivenza ti appartenne né case né cose e neppure gli abiti chè solo ti vestisti e per tutta la vita di un mantello a doppio vento andando“randagio” come un cane ramingo per il mondo… compagni solo il tuo bastone e la bisaccia combattendo, come Ercole alla prova, ogni giorno la tua battaglia e fosti,maestro, al mondo che non ti appartenne solitario vincitore invincibile ma non… della serpigna tisi che scivolando silenziosa negli anni subdolamente nel tuo corpo ti ridusse alla morte, come l’atteso epigramma del nostro grande Laerzio attesta scrivendo che :”Nella vita, o Antistene, tu eri un vero Cane, disposto dalla natura a mordere l’umano cuore con le parole, non coi denti;ma tu moristi di tisi. Qualcuno potrà forse dire che cosa è mai ciò? Bisogna in ogni modo avere una guida per l’Ade”e … davvero, maestro, questa guida non ti mancò se, come il Sommo Poeta, anche tu entrando nell’Ade venisti alla “selva oscura” e oltre le fiere che pure ti impedivano il passo, sicuro avanzasti per l’erta via fino a giungere alla limpida e fresca fonte di “Mnemosine” dove regnando sovrana la “ben rotonda verità” tu ti sedesti durando … ancora solenne la tua fama e alto nei secoli il tuo nome!
Questo, maestro, nei giorni del maggio che mi confonde l’amore a tutto tondo, il fiore che ti porto!
Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno 14 maggio dell’anno 2019…