Mentre scrivo dell’interesse di Pino Daniele per l’Africa, dalle finestre aperte arriva inattesa la sua inconfondibile voce: sono le prove del concerto del 1° maggio che si svolge ogni anno a Roma in Piazza San Giovanni, accanto a dove abito, è una coincidenza ma sembra magia. Il sottofondo giusto per ricordare che il cantautore ha composto brani eclettici, armonizzando voci, melodie, strumenti della tradizione napoletana e africana, generando una commistione unica di stili.
Attraverso i testi (come “Nero a metà”) e i duetti con vari artisti internazionali (ad esempio durante il Medina Tour), Pino Daniele ha promosso l’incontro artistico-culturale come strumento d’integrazione tra i popoli e ha sperimentato la fusione tra la musica partenopea e i generi rock, blues, afro, accogliendo nella propria esperienza ciò che veniva da fuori, come un prezioso arricchimento, un valore aggiunto, un ingrediente in più nell’ideale miscuglio del Melting pot.
Negli anni ‘90 il Cantautore contestava i pregiudizi dei partiti che, per ottenere consensi, iniziavano allora a strumentalizzare (e fomentare) i problemi del Sud Italia, ma anche del Sud del mondo, e nel brano “O’ Scarrafone” – equiparando le comuni difficoltà di ogni emigrato – cantava proprio: “Viva Viva ò Senegal!”.
Da quando conosco il Senegal immagino che Pino Daniele, come me, fosse attratto anche dalla mescolanza di provenienze, tradizioni, culture che caratterizzano questo Paese e lo rendono un buon esempio d’integrazione multietnica.
Mi ha colpita la diffusa vicinanza (affettiva, sociale, professionale) tra le persone di differente culto che è evidente, ad esempio, nella frequente celebrazione di matrimoni tra musulmani e cattolici e nell’abituale partecipazione comunitaria alle feste di ogni religione.
In Senegal ho potuto realizzare insieme a tutti i bambini di una classe, con il consueto assenso d’insegnanti e genitori, gli addobbi natalizi anche se metà di loro era di fede musulmana. Allo stesso modo, durante la festa musulmana del Tadiabone, i bambini possono recarsi a scuola con i costumi caratteristici e intonare, insieme ai compagni cattolici, i canti della propria tradizione. Nelle scuole pubbliche senegalesi ogni bambino può manifestare liberamente il proprio credo religioso, senza che ci si preoccupi della necessità di affiggere nelle aule alcun simbolo di culto.
Un’altra immagine suggestiva che ricordo di questa fusione religiosa è il rito celebrato dai fedeli della Confraternita Layene (musulmani sufi devoti al senegalese Seydina Limamou) che il venerdì – mentre accanto a loro gli abitanti del villaggio proseguono nelle proprie attività quotidiane – si ritrovano insieme a pregare all’aperto, cantando, vestiti di bianco. Così, in questa costante poliedrica policromia, nelle chiese senegalesi le statue dei santi con la pelle scura si affiancano a quelle con la pelle chiara.