Può accadere di esprimere un giudizio affrettato nei confronti di un’altra persona basandosi, al primo impatto, su una mera impressione superficiale. Tuttavia l’esperienza dimostra come i pregiudizi siano frequentemente inattendibili, giacché conseguono a considerazioni anticipate, inaffidabili, come ogni conclusione data a priori. La reale conoscenza è il solo strumento che consente di capire, in modo adeguato, come sia effettivamente una persona. Tra i tanti aspetti che mi hanno affascinata del Senegal c’è anche l’eterogeneità nelle frequentazioni giacché, in uno stesso contesto (familiare, sociale, locale) capita frequentemente di incontrare insieme persone di religione ed etnia (ad esempio diolas, peuls, sereres) differenti. Ho conosciuto anche diverse famiglie nelle quali un coniuge era di fede musulmana e l’altro cattolico. Quando sono tornata a Malika per la seconda volta ero praticamente l’unica persona europea per le strade e i bambini – con il riguardo che riservano ad ogni “toubab” (in wolof: persona straniera, con la pelle chiara) – mi correvano incontro con la manina tesa in segno di saluto, come per accogliermi nel loro villaggio con uno speciale benvenuto. Questo è il trattamento gioviale che in Senegal grandi e piccoli mi hanno sempre riservato. Al contrario, nei giorni in cui i miei amici senegalesi sono venuti in Italia, ho assistito ad alcune situazioni spiacevoli di diffidenza nei loro confronti. Sebbene sia ormai chiarito che il concetto di “razza” è completamente infondato, in alcuni contesti, purtroppo, il pregiudizio xenofobo continua a manifestarsi. Le ideologie basate sulla “razza umana” si sono diffuse al tempo dell’espansione coloniale per legittimare una (illegittima?) sopraffazione di alcune popolazioni sulle altre, e sono poi sfociate nelle degenerazioni disumane dell’eugenetica, dell’apartheid e dei genocidi. Eppure, biologi, genetisti ed antropologi hanno ormai dimostrato che, scientificamente, il concetto di “razza umana” è del tutto privo di riscontro. Questo perché, dal punto di vista genetico, suddividere l’intera specie umana in “gruppi” caratterizzati da uno specifico colore della pelle o da qualunque altra caratteristica fisica è impossibile. Gli studiosi (tra i quali i ricercatori dell’Associazione Genetica Italiana), analizzando il patrimonio genetico di un campione di persone di numerose provenienze diverse, hanno empiricamente rilevato che la diversità biologica all’interno di ogni popolazione è altissima (va dal 93% al 95%) giacché ogni individuo (a prescindere dal gruppo di appartenenza) ha già di per sé un proprio patrimonio genetico stratificato dagli incroci degli antenati, risultato di diverse provenienze e migrazioni. Questo significa che non è possibile individuare (come invece accade per le specie animali) caratteristiche genetiche riconducibili ad un solo gruppo omogeneo di individui. Il concetto biologico di “razza umana” è stato, così, smentito dalla scienza, che oggi, nello studio delle differenze tra le popolazioni, si concentra piuttosto sulle riflessioni etnografiche concernenti le diverse caratteristiche culturali, linguistiche e antropologiche. Partendo dalla considerazione di Albert Einstein che dichiarava: “Io appartengo all’unica razza che conosco, quella umana” bisognerebbe ricominciare a sentirci, come in un arcobaleno, parte di una stessa unità, ricercando nell’altrui differenza aspetti comuni che consentano di condividere e valorizzare la preziosa diversità.
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