In alcuni dei miei precedenti articoli su Vietri mi sono soffermato sulla letterarietà della bella città della ceramica e porta di ingresso nella Costa d’Amalfi. E così il vasaio che trasforma il “pane dell’argilla” in un calice o ruba colori al cielo, al mare e alla natura e ne fa straordinari capolavori di estrosa manualità fuoriesce dalla bella pagina di Emilio Cecchi, incantato al lavoro di tornio in una bottega del “maestro” artigiano che scatena emozioni pari a quelle di un pianista alle prese con un concerto.
Non meno bella è la pagina di autentica letteratura di Giuseppe Prezzolini che ridisegna con belle immagini la sua quotidianità di soggiorno vietrese all’incanto di paesaggi di terra e di mare dal suo terrazzo spalancato sul mare dei miti e della storia in fuga verso la costa piatta di Paestum e quella accidentata di Punta Licosa, magari in un volo di “libertà” a cavallo di una nuvola.
Ma di Vietri ha scritto, da par suo, una “gloria” di casa nostra, Alfonso GATTO, che la città la conosceva bene e ne aveva interiorizzato emozioni per frequentazioni sin dalla stagione spensierata dell’infanzia. Io ho avuto il privilegio di conoscere e frequentare il Grande Poeta salernitano e di goderne l’amicizia e, credo, la stima. L’Amico e Maestro non guidava la macchina e spesso l’ho accompagnato, su suo espresso invito, nel viaggio da Salerno ad Amalfi ed oltre. E gli ho sentito dare corpo alle emozioni nella sonorità delle parole lungo quella che definiva con bellissima immagine “… strada di montagna: vi si arrende / la luce che nel trarla dosso a dosso / ai suoi spicchi costrutti trova il fiore / del lastrico deserto, la ginestra”. Prima o poi rifarò questo “viaggio poetico” da Salerno a Positano con negli orecchi e nel cuore la voce affabulante del Maestro a ferirmi di dolcezza l’anima. Anche perché mi capita quasi sempre che, superata la curva del Bonea, che da Molina conquista il mare di Marina, all’imbocco della svolta/salita verso la collina, una scritta rievoca la salubrità dell’aria delle frazioni che scalano i Lattari nella gloria della luce: Raito, Albori, Benincasa e Dragonea; e mi cantano nel cuore i versi de “LA CHIESA DI RAITO”, che sono e restano inno d’amore alla bellezza.
“Era scritto salute degli infermi” / alla rampa lassù che ti cercava, / paese di dolcezza per gli inverni / un paese così come si dava / fosse in quel tempo, con la vita uguale / alla vita, al suo mietere lontano. / Giusto per l’ombra il sole, giusto il male / nel dar tempo alla morte. Sul divano / di seta d’oro impallidiva il biondo / scozzese pettinando eternamente / la moglie innamorata, il volto tondo / in quella dolce eternità del niente”.
Non meno bella è quella che registra particolari di paesaggi, in cui “aggallava la costa” aperta al fresco del viso della donna del cuore in una gita in barca dopo Vietri. E si fanno immagini di rara bellezza “la grotta dirupata di felci e d’acque”. E la donna nel chiarore della luce beve “nelle mani goccia a goccia / fili di capelvenere, di cedro / e l’ambra della luna come un vetro / di caramello”. Ed è pispola che sboccia “le, mani ai fianchi, goffa sulle braci / dei sassi, scende i piccoli sentieri / delle capre la Rossa dai panieri / dipinti, con le fragole dei baci”.
Oh, quante volte mi è capitato di rivivere queste immagini di grande poesia rifacendo nella brezza del fresco mattino la strada costiera con nel cuore il canto alla vita a voce stesa nel fragore del silenzio. Ed ho ripetuto i versi dell’Amico e Maestro “Odorosa di ragia, di fragaglia / la costa di Cetara e d’Erchie sale / nella memoria, tesse i muri, impaglia / le pergole di agrumi: per le scale / dei monti svetta il bianco delle case. / E chi partì per sempre ne rimane / leggero come l’aria delle cene / inebriate dalla luna nuova. / Dopo tanto cercare quel che trova / – la sua stanchezza estrema – gli sta bene. / È bacio vino amore, la deriva / portante che l’aggalla alle sue pene. / Così il mare s’addorme alla sua riva”.
Oh, se amministratori locali, operatori economici, docenti e studenti e la più vasta società civile riscoprissero ed esaltassero, in pubblicazioni specifiche ed in manifestazioni di cultura, soltanto una minima parte dei tesori di cui disponiamo, forse avremmo risolto il problema della promozione del Turismo di qualità del territorio!!!
P.S.: Mi sembra giusto e doveroso dedicare questo pezzo al maestro/amico Alfonso Gatto di cui ricorre domani 8 marzo l’anniversario della morte.