Il giornalista Roberto Gervaso ha scritto: “Chi dice che l’inferno è nell’aldilà conosce male l’aldiquà”.
Trovo che questa citazione sia, non soltanto adatta a descrivere le condizioni infernali nelle quali vivono troppi bambini, ma anche appropriata per suggerire, a coloro i quali recepiscono i principi religiosi in modo meramente astratto, di tradurre tali presupposti teorici in aiuti reali, attuali e concreti.
Mbeubeus, nella provincia di Dakar, è una di queste terribili realtà terrene, a pensarci, neppure tanto distanti geograficamente da noi.
Durante il primo viaggio in Senegal ho appreso dell’esistenza di questa immensa discarica all’interno della quale vivono (ma è più corretto “sopravvivono”) nuclei familiari con minori e – situazione ancora più drammatica – bambini, come i talibè, senza neppure una famiglia.
Quando sono tornata per la seconda volta a Dakar ho chiesto di essere accompagnata a visitare questo luogo personalmente, con l’intenzione di comprenderne le dinamiche (razionalmente, perché emotivamente credo sia impossibile riuscire a capire) e di documentarne, attraverso le immagini, l’esistenza.
La discarica riceve ogni giorno centinaia di tonnellate d’immondizia proveniente da tutta la regione e non solo, infatti, cercando informazioni su internet, si trovano agevolmente le notizie concernenti le non lodevoli implicazioni del nostro ragguardevole contributo italiano.
Nella discarica è stimata, attualmente, la presenza stabile di circa 2000 persone, 300 delle quali sono bambini che per sopravvivere, proprio come gli adulti, raccolgono e selezionano i rifiuti affinché qualcuno li rivenda, lucrando sulla loro disperazione.
Sebbene sia sensibile soprattutto al tema della tutela dell’infanzia, quando ho visitato la discarica sono rimasta persino più colpita nel vedere una donna anziana, perché mi sono domandata da quanto tempo sopravvivesse a tali condizioni disumane. La risposta più verosimile che mi sono data è che quella donna, come le altre all’interno della discarica, potrebbe aver trascorso lì tutta la sua esistenza.
Un altro aspetto che mi ha notevolmente impressionata è stato vedere gli animali (dai quali si ricavano gli alimenti come la carne, il latte e le uova) che si nutrono di tutto ciò che (come qualunque altra fonte di sostentamento si trovi all’interno o poco distante dalla discarica) è certamente infetto, inquinato e nocivo.
Paradossalmente, all’entrata della discarica, è anche situato un piccolo cabinet medico per le emergenze quotidiane, l’ingresso del quale mi ha evocato l’immagine dell’antinferno dantesco dove, nel Canto III, la porta infernale reca sulla sommità l’iscrizione: “Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente”.
Dante, poco dopo, incontra proprio gli ignavi, coloro che non prendono mai posizione, eludendo un dovere imprescindibile per l’essere umano: assumersi, sia nella sfera morale, sia in quella politico-sociale, le proprie necessarie responsabilità.
Credo che tale atteggiamento, disprezzato dal poeta toscano, sia troppo frequentemente anche il nostro: trascurare realtà che, invece, dovrebbero riguardarci, già soltanto per ragioni umane.
Il sorriso dei bambini che ho incontrato all’interno della discarica m’impone, quantomeno, di rendere nota la loro esistenza, perché la nostra dovuta considerazione possa significare per loro, se non altro, una speranza.