Oltre mezzo milione di persone in Italia è affetto da epilessia e assume farmaci per ottenere il controllo delle crisi. Poiché i farmaci antiepilettici hanno un basso indice terapeutico e possono indurre effetti avversi a carico di ogni organo e apparato, l’ampio uso ha significative implicazioni di sicurezza.
I farmaci antiepilettici agiscono modulando l’attività dei neuroni cerebrali e quindi la maggior parte dei loro effetti avversi è a carico del sistema nervoso centrale: sedazione, astenia, senso di vertigine, disturbi della coordinazione, tremore, deficit cognitivi, alterazioni dell’umore, alterazioni del comportamento e disturbi sessuali.
Gli antiepilettici sono frequentemente associati a reazioni cutanee, da semplici esantemi morbilliformi a reazioni potenzialmente fatali. Effetti idiosincrasici potenzialmente fatali possono interessare altri organi, come l’anemia aplastica indotta da felbamato, l’epatossicità e la pancreatite indotta da valproato.
Alcuni effetti avversi della terapia antiepilettica possono manifestarsi solo dopo mesi o anni di terapia. Esempi sono l’irsutismo e l’iperplasia gengivale da fenitoina, l’aumento ponderale, e le alterazioni metaboliche mediate da induzione enzimatica (ipovitaminosi D, alterazioni ormonali, modificazioni del quadro lipidico).
Il rischio di malformazioni congenite in nati da madri trattate con farmaci antiepilettici è maggiore. Il farmaco associato a maggior rischio è il valproato, con anche un aumento del rischio di deficit cognitivi postnatali.
In conclusione, sono in commercio più di 25 farmaci antiepilettici con efficacia simile, ma che si differenziano per profilo di tollerabilità. La terapia ottimale consiste nell’adattare la scelta del farmaco e la relativa posologia alle caratteristiche del singolo paziente.