La ciambotta è una delle specialità gastronomiche del Cilento, un piatto tipico di questa stagione.
Per quanti sforzi abbia fatto non sono riuscito a trovare una spiegazione etimologica plausibile a questo nome dalla musicalità intrigante, che mi solletica sapori d’infanzia.
La preparava la nonna con pazienza ed abilità nei mesi estivi, quando la bella stagione esplodeva nel caleidoscopio dei frutti dell’orto: peperoni, melenzane, pomodori, zucchine, cipolle, fagioli al palo. E, da allora, la ciambotta mi riporta, sul filo della memoria, la festa dell’estate con i profumi forti ed i sapori appetitosi. E, forse, è anche per questo che appena possibile, nelle mie peregrinazioni cilentane, punto decisamente su trattorie di campagne e borghi di collina e montagna, dove osti e massaie di antica e consolidata tradizione ne preparano varianti ricche e dai sapori antichi. Sono diventato uno esperto e, come tale, sono esigente ed attento agli ingredienti, che elenco di seguito.
I peperoni, parallelepipedi carnosi, scanalati, o cuori tondeggianti a pompare umori dalla terra, verdi, gialli, rossi a screziare il verde delle foglie a ciuffo sullo stelo esile eppure a prodigio di perenne gara di fiori a riso di germoglio e frutti a rotazione continua, o lunghi corni affusolati nel verde lustro e, via via, rasposi nel rosso bitorzoluto, quasi a propiziare fecondità di crescita contro il malocchio di folletti invidiosi o a mazzetti di spilloni rosa/rosso a promessa di condimenti sapidi.
Le melenzane, missili viola/cupo a fuoriuscita da custodia spinosa a sicura esplosione di gusto con il “pane” della polpa screziato da teneri coralli di semi a tenuta di filamenti carnosi a reclamare sublimi intingoli di imbottitura.
Le zucche, palle screziate a riposo di solchi umidicci o a rotolo dai muri a secco o bottiglie irregolari all’assalto di tronchi d’albero per uno spontaneo arredo di festa contadina, con i talli, tenera carnosità a minacciare gemme di fioritura.
I pomodori, festoni verde/rosa ad arabesco di siepi di solchi di geometrica precisione o palline rosso intenso a catturare sole a testimonianza di vita di piante alla quasi consunzione da calura.
I fagioli, tenere lamine ad inanellare cuori di foglie ad ombreggianti gallerie di orti.
Le cipolle, palle bianche e/o rosate a fuoriuscita festosa da prigionia di terra.
Le patate, uova sporche covate dal cuore della terra a vegliare steli bianchicci su letti di foglie pallide.
Erano, e sono, gli spettacoli, che folgorarono di fantasia curiosa il mio animo di fanciullo inquieto a sospirata fuga dalla cova del paese.
Sono delizie ad insaporire i ricordi di un emigrato di lusso nella omologazione dei gusti della metropoli.
E la ciambotta ad amalgama di “tiano” di creta a fuoco lento con l’olio e l’immancabile basilico a svaporare profumi a contagio di casa. accende memoria di anni lontani.
E la nostalgia a ferita di dolcezza si placa, se e quando la macchina approda sulla piazza raccolta di un borgo, nel vicolo ventilato di un centro storico carico di memorie, nello sterrato di una strada di campagna, dove, a distanza, dal pergolato della trattoria amica mi investe una zaffata di profumi a pregustare delizie di sapori della ciambotta ritrovata.E alla moviola della vita si materializzano fotogrammi d’infanzia in cui campeggia regina la nonna che noi cilentani chiamavamo e chiamiamo “mammarella” con espressiione carica di tenerezza; Ed il ricordo si fa poesia. nella corposa e sonora rasposita del dialetto:
MAMMARELLA TRESA
E mammarella Tresa int’austo/facìa le mulegnane mbuttunate/co caso,ova,pane e putrusino./E me ricordo pizze co li iuri/re le cocozze cuoti inta l’uorto/prima r’assì lo sole, la matina./Che bell’addore inta la cucina/Quanta priezza pe li cavatielli/cunzati co lo sugo re castrato!/Che addore si cucìa la ciambotta/co fasuli, cepodde e mulegnane,/cucuzzi, puparuoli e le patane,/accio, vasilicoia e putrusino,/no poco re pepaolo; e lo vino/se nne scinnìa sulo, forte e tuosto/ chere belle iurnate int’austo”.