“Per prima cosa ascolta che quattro son le radici di tutte le cose: Zeus risplendente e Era avvivatrice e Edoneo e Nesti, che di lacrime distilla la sorgente mortale.
Ma un’altra cosa ti dirò: non vi è nascita di nessuna delle cose mortali, né fine alcuna di morte funesta, ma solo c’è mescolanza e separazione di cose mescolate, ma il nome di nascita, per queste cose, è usato dagli uomini. Da ciò che infatti non è è impossibile che nasca ed è cosa irrealizzabile e non udita che l’ente si distrugga; sempre infatti sarà là, dove uno sempre si poggi.” Ed anche per te, maestro Empedocle, che sapiente tra i sapienti fosti della filosofia alunno, scriverò un canto nuovo! Mago, profeta, taumaturgo, poeta (fosti l’ultimo dei grandi filosofi a scrivere in versi?), oratore eccellente ( eri tu per Aristotele lo “scopritore della retorica”?) democratico e primo filosofo della conoscenza, tu, Empedocle, come al tuo grande maestro Pitagora nulla mancò alla tua vita e come già un Altro dopo di te, narra Diogene Laerzio, morendo diventasti un dio. “Dopo il convito, continua lo storico, gli altri appartatisi riposavano, alcuni sotto gli alberi in un campo adiacente, altri dovunque loro piacesse, egli invece rimase sul luogo dove s’era disteso per il convito. Quando si destarono al mattino seguente, solo egli non fu trovato. Si andò alla sua ricerca, s’interrogarono i servi i quali però dicevano di non sapere niente: uno solo diceva di aver udito nel mezzo della notte una voce altissima che chiamava Empedocle e poi, quando si fu levato, d’aver visto una luce celeste e uno splendore di fiaccole, e null’altro: tutti rimasero stupiti per quanto era accaduto e Pausania, disceso, mandò alcuni alla ricerca. Poi impediva? d’investigare oltre, dicendo che era accaduta una cosa che tutti desiderano, ma difficilmente ottengono, e che bisognava sacrificare a lui, come a chi era diventato dio…
Riferisce Ippoboto in verità che levatoti dal convito nottetempo ti dirigesti verso l’Etna dove giunto ai crateri di fuoco,vi ti lanciasti dentro scomparendo e confermando la fama che correva intorno a te, che eri diventato un dio. “Successivamente fu riconosciuta la verità, poiché uno dei tuoi calzari fu rilanciato in alto; infatti, tu eri solito usare calzari di bronzo”. E che fossi un dio lo conferma anche Timeo che narra che una volta gli agrigentini, tuoi concittadini per evitare che i venti etesii, che da sempre spirano sul mare Mediterraneo danneggiassero i raccolti, vennero da te e tu da vero dio ordinasti di scorticare degli asini e di farne delle pelli otri e di metterli poi sulle cime delle colline perché li catturassero e quando poi i venti cessarono, fosti nominato il “ trattenitore dei venti” colui che con gli dei dell’Olimpo signoreggia e governa con Eolo i venti o ancora quando “nell’esporre i fenomeni della donna svenuta e esanime” narra Eraclide tu la richiamasti in vita e per trenta giorni la mantenesti viva “senza polso e senza respiro”. Furono tanti, maestro i tuoi prodigi e tanto meravigliosi che la tua fama corse veloce per tutta la Sicilia ed oltre tanto avanzò che anche l’antica rivale di Segesta, la città amica di Selinunte quando in una estate furibonda per il nauseabondo fetore che esalava dal vicino fiume scoppiò una feroce pestilenza che con le donne partorienti uccideva anche uomini e bambini, essi ti invocarono, tu come un dio tu venisti e da autentico filantropo come già una volta “a causa della tua ricchezza”, narra nelle sue ”Memorie” Favorino, fornisti di dote molte cittadine che non ne avevano” così ora da vero amante del tuo prossimo“ a tue proprie spese” ordinasti “allora di portare in quel luogo altri due fiumi di quelli vicini: con questa mistione le acque divennero dolci.
La pestilenza, continua Diogene, così cessò e mentre una sera i selinuntini banchettavano presso il fiume, tu apparisti, maestro, e tanto furono sorpresi che sbigottiti si prostrarono ai tuoi piedi pregandoti come un dio,che in terra lascia il segno della sua potenza, ammonendo,come nel caso dei suoi concittadini ”O amici, che la grande città sul biondo Agrigento abitate, lì sull’acropoli, di opere buone solleciti. Io vi saluto: io tra voi dio immortale,non più mortale, m’aggiro onorato da tutti, com’è conveniente di bende e di tante, aggiungiamo noi, fiorite corone”… ma assolutamente uomo mortale e che pur “sempre con il volto serio e grave” eri sopra ogni cosa un cittadino di “temperamento libero e alieno da assumere un qualsiasi dominio ogni potere” se come narra Timeo, in politica fosti, maestro, un vero “uomo democratico”. Narra difatti il Santo di Lidia che come Eraclito l’oscuro anche tu della tua città rifiutasti il regno che ti veniva offerto disdegnando non solo la tirannide ma chiedendo ai tuoi stessi cittadini di abolire l’assemblea dei “Mille” perché ogni cittadino libero potesse partecipare al governo della città! Amando della vita mortale, maestro, solo il cammino alto e solenne dei sapienti che nulla chiede al mondo se non di conservare pura e perfetta la propria anima eludendo o riducendo quello che è il triste “vaticinio della dea Necessità, antico decreto degli Dei ed eterno, suggellato da grandi giuramenti” che necessariamente impone a chi “criminosamente contaminando le sue mani con un delitto o peccando abbia giurato un falso giuramento … di errare tre volte diecimila stagioni lontano dai beati” reincarnandosi! “Un tempo io fui”, scrivevi, maestro, “già fanciullo e fanciulla, arboscello e uccello e pesce muto che guizza fuori dal mare” e sotto ogni forma mortale io peregrinando purificai la mia anima perché libera finalmente da ogni colpa tornasse alla sua originaria,divina condizione di anima immacolata ed eterna! E tanta fu la tua gloria, narra Favorino, che in Olimpia il rapsdo Cleomene recitò le tue “Purificazioni” e novello cantore dell’antica novella orfica così ammonisti i tuoi concittadini gridando“ Agrigentini siete così immersi nel fasto e nella mollezza come se doveste morire domani ma costruite case così grandi e lussuose come se doveste vivere in eterno” condannando la vostra anima immortale ad una eterna,penosa reincarnazione. Perciò smettete le vostre turpi abitudini chè una solo è il destino degli uomini! Ma non bastarono le tue parole, né valse la tua appassionata oratoria chè la opulenta e corrotta città di Agrigento continuò nel suo vizio ma tu, maestro, che le parole amavi oh quanto le amavi e che fermamente credevi nel suo alto potere di persuasione continuasti come testimonia Aristotele, venendo per primo all’invenzione di quella eloquente disciplina dell’arte del “bel parlare e scrivere” che fu la “retorica” e che… riferisce Satiro, tanto l’apprese uno dei tuoi allievi più grandi,il sofista Gorgia da Leontini, da ergersi tra tutti come colui che della parola fu “eccellente padrone ed ottimo oratore”.
E se la “retorica” del tuo nome con la dotta medicina si vanta e non mancò la democrazia di ringraziarti molto più alta fu la gloria della tua filosofia, maestro, che oltre avanzando di Elea e di Mileto le diverse opposizioni, per primo tentasti dell’antica contrapposizione tra l’essere e il divenire la prima “conciliazione” ! Scrivevi infatti e rimarrà in eterno il tuo vanto che “i figli di un giorno” gli uomini, non possono pretendere di conoscere tutto ciò che è e sdegnosamente rifiutare ciò che il senso insegna, per cui pur negando con Parmenide il non – essere con Eraclito ammettesti il divenire chè “le tante forme e colori di esseri mortali, quanti adesso ne esistono, nacquero per opera di Afrodite” che mescolando le “radici di tutte le cose” (tu, maestro, le chiamavi così) eterne ed immutabili dell’“acqua, della terra, dell’aria e del fuoco” (le antiche ”archè”) tutte le fece nascere! Forme ed universo che spinte da “Amore” si raccoglieranno in un ricurvo “sfero” in cui trionfando tutto vive e si accresce ma che assalito poi dal vorticoso moto di “Contesa”si distruggerà per avviarsi poi di nuovo verso quelle primordiale forma di eterno ritorno che sarà di nuovo il ricurvo “sfero” dove Amore di nuovo unendo vive e Contesa dividendo muore… in un ciclico, eterno rincorrersi delle forme che nascono e periscono, che sono e non sono eppure sempre esistono e che tu, maestro, avevi già ben letto in quegli oscuri frammenti di Eraclito che recitavano il primo che “nello stesso fiume non è possibile scendere due volte” e poi di contro o forse solo a svelamento di quello che sarebbe stata la tua geniale intuizione,maestro, che “negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo” “oscuramente” avanzando già Eraclito che forse al divenire compete l’essere come all’essere il divenire! Perchè “quattro son le radici di tutte cose” eterne ed immutabili e tante ed infinite invece sono le forme dell’universo che fatte “simili”per condividere noi uomini la loro stessa natura, possiamo conoscere perché “è del simile con il simile”, dice per te Aristotele, la conoscenza. “Con la terra, di fatti tu scrivi maestro, vediamo la terra, l’acqua con l’acqua, con l’aria l’ aria divina, e poi col fuoco il fuoco distruttore, con l’amore l’amore e la contesa con la contesa funesta. Se infatti stai saldamente appoggiato grazie al tuo forte senno e benevolmente contempli con attenzione non contaminata, allora tutte queste cose, per tutta la tua vita, ti saranno presenti e molte altre ancora da queste acquisterai” perché “sappi infatti che tutte le cose hanno conoscenza e la parte destinata di pensieri” è fatta essa stessa di “radici” e “senza il sangue che ne irrora il cuore” non si muove alcuna conoscenza o …come l’Urbinate che dietro al tuo maestro ti pose ascoltando e … forse prendendo “appunti”! Questo, maestro, nei giorni ultimi del giugno operoso l’amore favorevole il fiore che ti … porto!
(Chiusa nelle ore antimeridiane del giorno di giovedì 28 giugno 2018)