“Contraddice per l’appunto questo mio scritto a coloro che sostengono il discorso della pluralità (dell’essere), e li contraccambia ripagandoli della stessa moneta, e anche con sovrappiù, volendo dimostrare questo, che a conseguenze ancora più ridicole si esporrebbe il loro postulato, se l’essere è pluralità, che non quello dell’essere unico, se uno procedesse adeguatamente a confutarlo. È quindi per una voglia del genere d’averla vinta che è stato da me scritto quand’ero giovane e, scrittolo, me lo si sottrasse furtivamente… (Platone Parmenide 128 B)
Erano i giorni della vendetta ad Elea quando, la città sottomessa al triste gioco della tirannide di Nearco, chiuso, a causa del tuo troppo amore per la libertà, nel pozzo dell’angiporto occidentale, ti apparve, primo Severino della Magna Grecia, “degna di molta riverenza” a consolazione del tuo triste stato, una “donna” che recando in mani un libro (quello che giovane scrivesti e ti fu rubato un giorno!) a gloria tua e della tua città ti mostrava il vanto imperituro di quelle tue prime geniali “reductiones ad absurdum” che furono i tuoi “paradossi”. Ragionamenti inoppugnabili ed assoluti che rimanendo dopo venticinque secoli ancora non risolti in silenzio continuano ad ammonire di quanto fu grande e solenne quel tuo tempo e quella tua scuola l’Essere eterno e immutabile e i tuoi tanti “paradossi” di cui Aristotele nella sua “Fisica” a gloria tua contro il movimento ne tramanda quattro, così elencandoli: il primo detto della “Dicotomia” per cui “ogni cosa che si muove deve pervenire alla metà del percorso prima che al suo termine”. Il secondo detto di “Achille e la tartaruga” per cui “ il più lento non sarà mai raggiunto nella corsa dal più veloce. Infatti è necessario che chi insegue giunga prima al punto da cui è partito chi fugge, cosicché il più lento si troverà sempre necessariamente un po’ più avanti del più veloce”. Il terzo detto della “Freccia” per cui “ogni cosa quando occupa uno spazio uguale a sé è in quiete e se ciò che è in moto occupa sempre in ogni istante un tale spazio, la freccia che si muove e ferma”. Ed infine il quarto detto dello “Stadio” che tratta dei corpi uguali, che in uno stadio si muovono da opposte posizioni parallelamente ad altri corpi uguali, tanto dal termine dello stadio, quanto dalla meta con uguale velocità.
La conclusione è che meta del tempo e uguale al doppio. E fu davvero gloria se poi tornando ad Atene a quel viaggio ed a quei gloriosi giorni, tu, ancora giovane alunno, durante le Grandi Panatenee della “settantesima nona” Olimpiade, come scrive Platone, venisti “ incaricato da Parmenide di sostenere la discussione (a cui secondo Plutarco avrebbe assistito lo stesso Pericle, il fondatore della democrazia ateniese!) sulla dottrina dell’unità assoluta” che tante obiezioni e “baie” aveva da parte dell’empirismo ionio sollevato e scendendo “sul terreno stesso dell’empirismo, e torcendo contra l‘empirismo le sue proprio obiezioni ed suoi scherzi, lo costringesti a riconoscere che non è più facile di spiegare tutto con la pluralità sola che con l’unità assoluta. Tale polemica d’un genere affatto nuovo, sconcertò interamente i partigiani della filosofia ionia, ed eccitò una viva curiosità ed un’alta stima per le dottrine italiche; in tale guisa fu posto nella metropoli della civiltà greca, con un elemento nuovo ed un nuovo dato filosofico, il germe fecondo d‘un incremento Superiore.
Zenone con la sua dialettica sottile ed audace apparve agli Ateniesi come una specie di Palamede in fatto di discussione filosofica” suscitasti così tanto stupore e tanta meraviglia da non avanzare più oltre ai tuoi oppositori che le loro stesse misere “baie”, tanto furono inespugnabili contro il movimento i tuoi “paradossi!” E se Senofane di Colofone fu della tua scuola detto il fondatore e Parmenide il legislatore tu, maestro, Zenone di Elea ne diventasti il “soldato” l’eroe, il martire: colui che combattendo “coloro che vogliono il mondo in movimento” tutti li abbattesti atterrandoli con i tuoi “paradossi”. E non furono pseudo – ragionamenti o sofismi ma come scriverà Bertrand Russel : “argomentazioni tutte smisuratamente sottili e profonde… che formarono la base della rinascita della matematica” o ancora più recentemente scrivendo nella “Storia del pensiero filosofico” Ludovico Geymonat che essi furono invece i primi e geniali argomenti e dimostrazioni di quella che sarò poi la “dialettica formale” che facendo irrompere per la prima volta nella storia del pensiero umano nel concetto del movimento l’idea dell’infinito ne denuncia tutte le sue più remote “antinomie”.
…e tanto corse per tutto l’Oriente la tua fama che presto, come Empedocle della retorica, tu, maestro, per il grande Aristotele della dialettica fosti lo “scopritore”! E abbandonando poi l’antico stile oracolare del “signore, il cui oracolo è a Delfi, non dice né nasconde ma solo accenna” con intenzione con la chiarezza della “prosa” ti avviasti per primo per la “luminosa” via del puro ragionamento razionale che nulla nasconde ma tutto svela e pervenendo alla “rotonda” verità “maestro” ti piantasti “di coloro che sanno” immobile ed eterno come il tuo Essere! E fu tanto, maestro, il vanto e alta la tua gloria del rogo che accendesti contro l’errore empirista che solo forse in te lo superò il tuo amore per la città, quando, novello Palamede, “caldo di patria carità”, non arretrasti di fronte al “tiranno” ma tutto lo opponesti atterrandolo con il sacrificio della vita e… se come un antico epigramma recitava “fosti domato, ché il tiranno ti catturò e ti finì a pezzi in un mortaio” tu pure, maestro, lo azzannasti e staccandogli un orecchio lo condannasti, ché continuando poi nel dubbio quell’antico epigramma trasaliva dicendo“ ma che dico? Non te, ma il tuo corpo pestarono ed uccisero, maestro, ma non il tuo nome che alto invece continua in eterno a risuonare nella gloria della patria e della libertà! Erano infatti i tuoi i tempi, maestro, i tempi in cui la Grecia si andava scuotendosi dal gioco della schiavitù persiana ed anche le tante città della Magna Grecia cercavano più libere istituzioni. E come qualche secolo prima Catania con Caronda e Locri Epizefiri con Zeleuco, anche la tua città venne all’appuntamento e affidandosi al tuo maestro Parmenide anche Elea si diede le sue leggi e furono così sagge e perfette, narra Plutarco, che: “al cominciare di ogni anno, i cittadini giuravano di non farvi nessun mutamento” e tu “comunque pago di aver contribuito a dare alla tua patria sagge istituzioni, non cercasti di farti grande e non volesti altro potere che quelle delle tue virtù e dei tuoi talenti” tanto che tu, che pure avevi con il maestro partecipato a quelli leggi, rifiutasti ogni incarico di potere e al pari di dell’oscuro Eraclito ti ritirasti in solitudine ma… non mai mancando però tu, maestro, ai tuoi doveri di cittadino! Tanto ed a narrare è l’antica biografia francese dei tanti scrittori, quando: “Reduce (da un lungo viaggio) in Elea, e qui ogni data precisa ci abbandona, il tuo amor patrio porse alla sua energia l’occasione di spiegarsi sopra un più vasto teatro.
Vuoi scoprire in anteprima tutte le notizie del nostro giornale?
Clicca QUI per abbonarti all’edizione digitale
Tutti gli storici attestano che Elea essendo caduta, e impossibile di saper come, sotto il giogo d’un tiranno, chiamato Nearco o Diomedone o Demilo, Zenone intraprese di liberala: ch’egli soggiacque, e perì in un orribile supplizio, in cui mostrò un carattere eroico” non esitasti, come continua ancora Plutarco “ Zenone, l’amico di Parmenide, avendo cospirato contro Demilo fallitogli il disegno rese testimonianza con le sue azioni all’eccellenza della dottrina del suo maestro, e provò che un’anima forte niuna cosa teme tranne il disonesto, e che il dolore non fa paura ad altri che a fanciulli ed a femmine o uomini che hanno un cuore di femmina. Di fatto egli si troncò la lingua coi denti e la sputò in faccia al tiranno… il racconto di Diogene è ancor più particolarizzato di quello di Plutarco e posa su diverse autorità gravi: Zenone avendo intrapreso di rovesciare il tiranno Nearco, altri dicono Diomedone, fu preso, come dice Eraclide nel compendio di Satiro. Interrogato (dal tiranno) intorno a’ suoi complici… fingendo d’avere a dirgli alcun segreto, gli morse un orecchio e non lo lasciò che dopo di essere stato trafitto da dardi, seguendo l’esempio d’Aristogitone il tirannicida… Antistene racconta che quand’ebbe denunciato i partigiani del tiranno, domandogli questi se aveva altri a denunciare, e quegli rispose: Te, flagello della mia patria! “e, volgendosi ai circostanti: Ammiro, disse loro, la vostra viltà, se, per timore di ciò, ch’io soffro, acconsentite ad essere schiavi. Da ultimo si troncò la lingua coi denti, e la sputò in faccia al tiranno. Allora i cittadini si scagliarono addosso al tiranno e l’ammazzarono”… liberando così la città dalla tirannide e consegnandoti oltre che alla gloria della filosofia anche agli altari della patria dove perenne arde immortale il sacrificio di “chi per la patria muore” e alta tiene di Boezio a fianco quella donna che“degna di molta riverenza in vista” non mai abbandona i suoi “alunni” perseguitati, che “dissimili nei costumi dagli scellerati” non mai si meraviglieranno però “se nel mare di questa vita siamo per ogni parte assaliti da sbuffanti procelle, poiché il nostro solenne proponimento è dispiacere ai cattivi” perché “allevati al suo latte e nutrito coi suoi alimenti” presto si compiaceranno dell’antica promessa! E l’esercito dei malvagi “se pur tuttavia… numeroso, è spregevole, come quello che, privo di condottiero, viene imprudentemente qua e là trascinato da pazzo errore” e quindi sarà sconfitto invano combattendo costoro contro il “baluardo non espugnabile… della donna”. Periranno con i malvagi tutti i nemici della città e saranno abbattuti tutti i tiranni ché uno solo, maestro, con la gloria dei “paradossi” fu il tuo grido: non mai si fa politica e si governa saggiamente una città senza quella “donna” che, maestra di tutte le virtù” illuminò un dì i tristi giorni di Boezio e fu compagna fedele alla sua consolazione: “testimone tu, oggi, maestro, con la tua città di Elea la tua…vita! Questo, maestro, nei giorni del giugno laborioso l’amore dovizioso il… fiore che ti porto!
(Chiusa nelle prime ore antimeridiane del giorno di martedì 19 giugno 2018)