L’articolo di Tino Oldani, firma di Italia Oggi, su tempi, modi e scenari dell’attuazione della riforma delle Banche di credito cooperativo (Bcc) con gli impegni che attendono Iccrea e Cassa centrale Per la serie: Bruxelles non ci ama, ma in Italia siamo bravi a farci male da soli. Prendiamo il caso delle banche di credito cooperativo (Bcc). In Italia se ne contano 280, sono quasi tutte di dimensione piccola o media, radicate sul territorio, hanno coefficienti patrimoniali mediamente più elevati, dunque migliori del resto del sistema bancario, ma non tutte godono buona salute. Anzi, circa un terzo sono gestite male e considerate «ad alto rischio», mentre un altro quarto è «mediamente a rischio». Il grosso ha sempre funzionato abbastanza bene, erogando crediti con prudenza, tanto da avere in pancia una quota di npl (non performing loans), i cosiddetti crediti a rischio, in percentuale largamente inferiore a quella delle banche maggiori.
LA RIFORMA DELLE BCC TARGATA RENZI
Tuttavia nel 2016, su pressione della Banca d’Italia, il governo di Matteo Renzi ha varato una riforma delle Bcc che, per “sanare” questo settore, ne ha ridisegnato il panorama in modo verticistico, con obblighi che scadono in questo mese. In sintesi: le 280 Bcc dovranno confluire in tre soggetti, vale a dire nel polo romano Iccrea, unica holding nazionale, affiancata dalla Cassa Centrale Banca, che riunirà le Bcc della provincia autonoma di Trento, e dal polo Raiffeisen che farà altrettanto per quelle della provincia di Bolzano. Dunque, una riforma che ancora una volta privilegia il Trentino-Alto Adige, regione a statuto speciale, dove per il credito cooperativo cambierà ben poco, mentre sconvolge centinaia di piccoli istituti sparsi per l’Italia. COME VANNO I PROCESSI DI FUSIONE I processi di fusione sono tuttora in corso, accompagnati, come era facile prevedere, da resistenze locali, polemiche politiche scontate, e critiche non sempre infondate. Anzi. Il punto chiave della riforma, ovvero la crescita dimensionale del settore, è quello più controverso. A suggerirlo è stata la Banca d’Italia, tramite Carmelo Barbagallo, responsabile della vigilanza bancaria nazionale, il quale già nel 2015 spiegò in commissione alla camera che le operazioni di concentrazione delle Bcc erano necessarie per consentire una vigilanza più penetrante, e di riflesso una riduzione dei rischi di bail in. Concetto da lui ribadito, sempre alla camera (1 marzo 2016), in sede di audizione per commentare il decreto della riforma appena varato.
BANKITALIA E LA QUESTIONE DELLA DIMENSIONE
A distanza di due anni, se si considerano le vicende delle quattro banche poste in risoluzione (Etruria, Marche, Chieti, Ferrara), così come quelle del Monte dei Paschi di Siena e delle due banche popolari venete, con le ricadute disastrose per i clientirisparmiatori, non si può certo dire che la maggiore dimensione bancaria si sia dimostrata un requisito valido per assicurare una adeguata vigilanza da parte degli enti preposti. Anzi, nel caso delle due popolari venete, che erano tra le prime cinque banche italiane, i vigilanti Banca d’Italia e Consob hanno dimostrato gravi carenze nei rispettivi ruoli istituzionali, accompagnate da casi a dir poco scandalosi, quale l’assunzione strapagata di ex funzionari della Banca d’Italia da parte di una delle due banche venete, i cui conti erano, da tempo, tutt’altro che a posto.
COSA SERVE COME CAPITALE A ICCREA E CASSA CENTRALE
A seguito della riforma, il polo Iccrea e la Cassa Centrale Banca, proprio in virtù della loro nuova dimensione, saranno inevitabilmente sottoposti alla vigilanza bancaria europea della Bce, con l’obbligo di rispettarne i parametri sui famosi npl e sugli stress test. Da qui la necessità di reperire nuovi capitali per mettere i conti a posto: la Cassa Centrale del trentino dovrebbe reperire 700 milioni di euro di capitali freschi, mentre il polo Iccrea ne dovrebbe trovare per 1,8 miliardi di euro. Impresa quasi proibitiva per molte banche cooperative, tenute a conferire i capitali. L’alternativa è scontata: una forte riduzione dell’offerta di credito (pur di rafforzare i ratios patrimoniali), che di certo non gioverebbe alle imprese locali, né alla ripresa dell’economia nazionale.
LE DOMANDE SU BCE E DINTORNI
Domanda d’obbligo: era proprio necessario fare in modo che le Bcc ricadessero sotto la vigilanza europea della Bce? Siamo sicuri che questa scelta della Banca d’Italia (che l’ha dettata al governo Renzi) sia stata quella giusta? Un confronto con la Germania aiuta a rispondere. Secondo la Bundesbank, le banche tedesche che hanno una dimensione territoriale (Sparkassen e Volksbanken) e non ricadono sotto la vigilanza della Bce sono oltre 1.500, pari all’88% degli istituti di credito tedeschi, e gestiscono il 44% dei prestiti erogati dall’intero settore bancario. Il tutto grazie al fatto che, quando fu deciso il primo pilastro dell’unione bancaria europea, il governo di Angela Merkel, d’accordo con le banche locali, riuscì a tenere fuori dalla vigilanza Bce i cosiddetti Ips (Institutional protections schemes), ovvero i sistemi creditizi di mutua protezione. Cosa che né la Banca d’Italia, né il governo italiano si sognarono di copiare.
FRA ITALIA E GERMANIA
Risultato: mentre il 44% dei crediti tedeschi non deve sottostare ai controlli della Bce, ma alla vigilanza bancaria nazionale, in Italia la somma dei crediti non soggetti alla vigilanza della Bce è meno della metà di quella tedesca (circa il 20%), quota che dopo il compimento della riforma delle Bcc si ridurrà al 7%. Per questo, in Germania circa la metà del credito erogato può fregarsene degli obblighi sugli npl imposti dalla vigilanza unica europea, guidata dalla francese Danièle Nouy, mentre in Italia il 93 per cento del credito rischia di dover sottostare a vincoli draconiani, che negli ultimi anni hanno già ridotto il credito disponibile per le imprese e le famiglie, e continueranno a farlo. I
TRE AUTOGOL DI BANKITALIA SULLE BCC
Al dunque, con la riforma della Bcc, la Banca d’Italia ha fatto tre autogol. Ha azzerato il credito mutualistico locale, senza distinguere quello che funzionava bene da quello gestito con metodi clientelari e in perdita. Non ha conferito al settore una dimensione competitiva sul piano europeo, visto che i gruppi tedeschi, francesi e olandesi formati da holding di Bcc sono da 50 a 60 volte più grandi della dimensione ipotizzata per quelli italiani. In definitiva, ha agevolato soprattutto gli speculatori finanziari internazionali, che potranno entrare nel capitale della holding delle Bcc, conquistare una parte del ricco mercato italiano del risparmio, senza più alcun obbligo di dare sostegno alle imprese locali e alle famiglie. Un capolavoro Tafazzi’s style.
di Tino Oldani
Fonte: Smart Magazine