Immagine ed armonia scorrono come sorgive acque parallele nel fluire creativo di Tito Huang, giovane artista di ventiquattro anni proveniente da Tsingtao, città della grande ed estrema Cina; non sappiamo se la fotografia è il letto del suo fiume e la musica il suo affluente oppure il contrario. Come artista è ancora in nuce, in pieno movimento di lievitazione. Sta studiando in Italia l’arte del canto filodrammatico ma approfondisce e sperimenta contemporaneamente i procedimenti dell’obiettivo. ”Quando fotografi devi fermare il tempo prima che lui se ne accorga e si vendichi” afferma Mimmo Iodice, uno dei grandi della camera oscura. E Tito riesce proprio a realizzare questo: a sospendere l’incedere, il continuo, inarrestabile avanzare del tempo. Sembra volerlo fermare in una sospensione che congela la focalizzazione figurativa di un Oriente che viene occidentalizzato, la sua radice originaria che finisce per entrare in un diverso contesto, quello a cui è approdato. Una contaminazione che avvicina due mondi che si fondono pur nella loro profonda diversità. Huang ha scelto la fotografia postprodotta a computer, come nuovo codice di comunicazione di cui usa le tecniche più sofisticate, recenti ed aggiornate per potersi esprimere in una dinamica che va dalla sua interiorità verso il mondo esterno, passando attraverso il mezzo elettronico. Carpisce con l’occhio visioni che non saprebbe raccontare solo con il linguaggio parlato. Segue il suo talento visivo che è più forte della parola stessa. E’ l’uso dell’obiettivo che diventa arte visiva, cifra stilistica ed originale e che “ha il desiderio di scoprire, la voglia di emozionare, ed il gusto di catturare”rubando l’affermazione ad Helmut Newton. La fotografia dà la possibilità a chi la utilizza di documentare avvenimenti e luoghi, di puntare sui volti, di narrare una sequenza o un solo momento, può decidere di educare o di sorprendere , di cogliere e comunicare emozioni. Più che il descrittivismo o la documentazione tout court Huang sceglie di puntare l’obiettivo sul particolare che sia quello di un volto o di un corpo o di un luogo. La sua scelta consiste fondamentalmente nella selezione di un punto di vista, di una assoluta soggettività. Il suo occhio fotografico focalizza ma non descrive, non racconta, non è narrativo, non ama le grandi visioni d’insieme che si allarghino su di una totalità o su di un paesaggio ma piuttosto isola una singolarità o anche più frammenti insieme. L’artista ci fa guardare immagini singole e significative: un corpo ripiegato su sè stesso, una mano semiaperta, oggetti di lavoro, il particolare lascia fuori la generalità dell’insieme. Quasi tutte le sue immagini sono lasciate a sé stesse, al fruitore la decodifica.
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