Oggi la “cilentana” scorre rapida nel cuore del Parco a carezza di radici di monti, ad apertura improvvisa di squarci panoramici sulle vallate con sullo sfondo le scaglie di mare della costa, a scavalco di torrenti e fiumiciattoli, che feriscono e fecondano d’acque il territorio fino allo strappo finale alla visione da visibilio dell’arco lunato del Golfo di Policastro con la rada paciosa di Sapri e con le colline festanti nella vegetazione colorata di coltivi.
Futani per i gitanti della domenica e per le carovane dei turisti provenienti dal Nord è poco più che uno svincolo da sorpassare a velocità sostenuta: ma non era così fino a qualche decennio fa, quando la superstrada si interrompeva proprio a Futani e di lì iniziava una via crucis lunga dieci chilometri per tornanti di rara bellezza paesaggistica tra uliveti e macchia mediterranea che si aprono alla vallata del Lambro.
Oggi ci si guadagna in velocità e comodità. Ma si perde e molto in emozioni en plein air lungo la vecchia statale che s’inabissa e risale verso Castinatelli ed Eremiti e prosegue giù verso San Nazario e S. Mauro La Bruca, per puntare, poi, sulla litoranea tra Caprioli e Palinuro. È la vecchia “strada dei monaci” ed è ricca di suggestione non tanto e non solo per l’alternarsi di paesaggi tra i castagneti che scalano le montagne ed incombono sui centri abitati e tra uliveti secolari che inargentano colline e vallate, quanto, e forse soprattutto, per il patrimonio storico, religioso ed umano che si legge sui muri screpolati dei vicoli anneriti, su qualche portale pretenzioso che resiste all’usura del tempo, sulle volte a lamia di un supportico che vanta pittura e stemma gentilizio, testimonianza di antichi splendori (straordinariamente bello quello che si ammira ad Eremiti!).
Ad una svolta, con un occhio al burrone ad evitare volo a precipizio con macchina ed autista, l’insegna sconnessa e violentata dalle intemperie indica “Eremiti”.
Ed il pensiero corre lontano nei secoli ai monaci italo/greci, che popolarono questo territorio di “celle” e “laure”, di “cenobi” ed “abbazie” e strapparono terre alle montagne e dissodarono macchie ed insegnarono ai contadini nuove colture e nuove tecniche di agricoltura. E sulle montagne i castagneti diedero frutti abbondanti e saporiti e sulle colline crebbero uliveti fiorenti e vigneti generosi; e le acque dei torrenti sapientemente regimentate irrigarono orti e giardini; e sugli appezzamenti a terrazza, spalancati sul gigante addormentato della Molpa, fecero bella mostra i fiori blu/celestino del lino, che macerò nelle anse dei fiumiciattoli e fornì materia prima alle mani esperte delle donne ai telai. E fu lino di prima qualità quello che i monaci d’oriente insegnarono a coltivare ai contadini della zona. E l’Abbazia di Santa Cecilia fu centro di culto e di preghiera sì, ma anche mercato settimanale, scuola e farmacopea. Dove si pestavano sapientemente le erbe della salute. E fu importante e potente l’igumeno/abate che la governava e che stendeva il suo dominio su Abbatemarco e Massicelle, su Futani e San Nazario e amministrava acque e mulini, sovrintendeva su scambi e commerci, esigeva tributi ed ingrandiva i possedimenti.
Oggi l’Abbazia di Santa Cecilia è poco più che uno scheletro, testimone muto di un passato di gloria. Eppure a frugare negli archivi e nelle biblioteche verrebbero di sicuro alla luce testimonianze preziose su uomini ed avvenimenti di una bella pagina di storia, quella della bizantinizzazione del Cilento interno e del monachesimo italo/greco ancora tutto da esplorare. Ed il recupero di un monumento storico/religioso di notevole importanza offrirebbe un contenitore di prestigio da utilizzare per manifestazioni culturali, espositive e ludiche. E le forse, le intelligenze, l’entusiasmo non mancano. Me ne rendo conto parlando con alcuni giovani, che amano la loro terra e sarebbero disposti ad impegnarsi per rilanciarla con iniziative che si muovessero nel segno della cultura per promuovere sui mercati un turismo di qualità.
È bello ed accogliente anche il capoluogo, se fuoriesci dalla strada principale che lo taglia a metà e ti addentri a fruizione di slarghi e vicoli dell’interno, dove non mancano abitazioni di pregio e nuove costruzioni adibite a servizi. Bello ed accogliente l’edificio scolastico dove ho memoria di un incontro all’insegna dell’entusiasmi festoso con le scolaresche alle prese con una recita ben organizzata e meglio riuscita sulle mie canzoni e poesie cilentane. Aula Magna e corridoi esponevano con legittimo orgoglio i lavori di una manualità creativa nel recupero ben riuscito dei mestieri dei padri e dei nonni. Ne fui commosso e commozione ed emozioni si fecero poesia: Nella valle del Lambro che feconda/ coltivi ariosi a vanto di uliveti/è memoria di monaci sapienti/a popolare chiese ed abbazie/a rendere feconde le campagne/Eremiti ne canta con orgoglio/la sosta lunga a celle di convento./Castinatelli al verde dei castagni/vanta frutti sui monti dirupanti/E giù nell’ansa limpida del fiume/macerò lento il lino dei telai/ad estro ardito di massaie esperte/Futani nella luce di collina/spalanca case a panorami arditi/a conquista del mare della Molpa.