Carmine Iorio, il soldato altavillese della guerra di Libia diventato beduino per caso, è protagonista del racconto dell’editorialista del Corriere della Sera
Gian Antonio Stella parla del suo romanzo breve sulla rocambolesca vicenda del nostro concittadino altavillese Carmelo Iorio nell’intervista a Lorenzo Viganò (su Corriere Magazine del 7 agosto 2008), di cui pubblichiamo, di seguito, un estratto.Quello che colpisce subito parlando del “mestiere di scrivere” con Gian Antonio Stella, inviato ed editorialista del Corriere della Sera e autore, insieme con Sergio Rizzo, di due best seller che hanno scosso l’Italia dei politici – La casta, del 2007 (un milione e 300 mila copie vendute) e La deriva quest’anno (in vetta alle classifiche da quando è uscito) – quel che colpisce è che non ha idee precostituite, regole – già collaudate – da seguire e a cui attenersi strettamente quando si mette al computer per narrare una storia. Così per lui racconto, saggio, pamphlet, romanzo breve o lungo…sono solo concetti, definizioni ambigue che non gli interessano, e dalle quali non si lascia condizionare né ingabbiare.
“Il fatto è che sono molto curioso e molti dei volumi che ho scritto sono nati più per la curiosità di approfondire un tema che per la soddisfazione di arrivare in libreria. Romanzo, racconto, saggio…sono tutte occasioni per farsi un archivio. Al punto che quando decido di dedicarmi a un argomento comincio a recuperare tutto il materiale esistente che lo riguarda; faccio ricerche, rileggo testi che avevo letto anni prima, spulcio manuali. L’approfondimento apre un mondo, e devo ammettere che ogni volta rimango affascinato nello scoprire quanto sia emozionante tentare una cosa e impadronirsene. Dedicarsi a un argomento del quale sapevi poco e piano piano scoprirlo è come esplorare un territorio sconosciuto, accorgendosi viva via di n’erba di cui non sapevi l’esistenza, di un albero raro, di un sasso che somiglia a un’altra cosa”.
Un po’ come è accaduto con Carmine Pascià, il “Corto di carta” che Gian Antonio Stella ha scritto per la collana del Corriere della Sera dedicata ai racconti inediti dei più apprezzati narratori italiani. La storia, realmente accaduta, di Carmine Iorio, un uomo che “nacque buttero e morì beduino”, recita il sottotitolo, e dalla sua spericolata e leggendaria vita di soldato nella guerra di Libia, quando, dopo una sbronza, passò alle file nemiche con il nome di Yusuf el Muslim. Una vicenda che sa commuovere e far sorridere, e che, come sono frequentemente quelle narrate da Stella, ha dell’incredibile, nonostante sia ricchissima di fonti e di curiosità, di accurate descrizioni e ricostruzioni. Un “corto” che è un vero e proprio romanzo o racconto?) storico, che va ad aprire uno squarcio su un periodo buoi – e spesso volutamente rimosso – della nostra vita: dal colonialismo al difficile rapporto tra gli ufficiali e i soldati semplici, mandati a morire come carne da macello per conquistare qualche metro di terra.
“Ero spaventatissimo dall’idea di scrivere un libro su questa storia, ma era troppo significativa per non farlo. E poi, come già accaduto con gli altri miei romanzi, era un mezzo per mostrare qualcos’altro. (…) Con Carmine Pascià ho cercato di ripercorrere alcuni capitoli della nostra storia che sono stati nascosti, rimossi, cavalcati polemicamente o magari raccontati in maniera corretta, senza però che tali racconti abbiano avuto la diffusione che meritavano. Mi riferisco per esempio ai libri dello storico Angelo Del Boca sugli italiani in Libia, volumi strepitosi, ricchi di spunti, non soltanto profondi dal punto di vista storico e ben documentati, ma anche molto onesti e scritti splendidamente, Libri che sono stati fondamentali per la scrittura del mio ‘corto'”.
Ma come è venuto a conoscenza della storia di Carmine Iorio?
“L’ho scoperta sulla Settimana Incom dove fu pubblicata nel 1950. Si trattava di una vicenda sulla quale il fascismo aveva messo la sordina perché dava fastidio alla retorica patriottarda dell’epoca. Fu il giornalista Francesco Maratea a raccontarla in due puntate, con parole a mio parere non tutte credibili. inaspettatamente – e forse fortunatamente – il giornale fu costretto ad aggiungere un terzo capitolo poiché un ufficiale del Quarto reggimento di artiglieria di Cervignano del Friuli, Germano Venier, dopo aver letto gli articoli spedì alla Settimana una lettera che conteneva addirittura le fotografie dell’arresto per diserzione di Carmine Iorio e del processo che ne era seguito. La sua versione era decisamente più attendibile. Così, sulla base di queste testimonianze, scrissi un articolo per il Corriere che diede il “la” ad alcuni storici salernitani come Ennio Scannapieco, Paolo Tesauro Olivieri e Oreste Mottola, perché, ciascuno a proprio modo, ricostruisse la vicenda andando anche a recuperare documenti originali. In realtà la storia di Carmine Iorio ai pochi specialisti era conosciuta. Ne avevano accennato lo stesso Del Boca nel libro Gli italiani in Libia, Salvatore Bono in una rivista che si chiamava Islam. Storia e civiltà, eun certo Dante Maria Tuninetti in un libro del 1931, Il mistero di Cufra.
Ma mancava una ricostruzione definitiva e dettagliata…
“Sì, anche per questo ho deciso di raccontarla. Oltre a un po’ di carte originali trovate dai miei amici salernitani – dall’atto di battesimo fino alla sentenza del processo – ho recuperato il verbale della marcia del suo reggimento da Bengasia Tocra, o vecchi libri introvabili come Fra i beduini. Vita e riflessioni di prigionia araba di Alberto Rossotti, un ufficiale italiano fatto prigioniero dai libici dopo il massacro di Tarhuna, che racconta i loro costumi sessuali, la cucina, la quotidianità spicciola, fondamentale per la ricostruzione storica della vita dell’epoca. Ma ho anche recuperato informazioni sull’abbigliamento esatto dei soldati italiani e persino il manuale d’uso del moschetto Carcano che avevano in dotazione”.
Un lavoro filologico dettagliato, dunque. Ma qual è la morale umana della vicenda di Carmine Iorio?
“Forse che ogni uomo, anche un piccolo uomo di cui nessuno chiedeva conto come Iorio, che dall’Italia non aveva avuto nulla e, appena sposato, era stato portato via dalla famiglia per quattro anni senza mai avere un giorno di licenza; che anche un povero buttero salernitano mai uscito dal suo paese, che dell’Islam, dell’Africa, e del Sahara non sapeva niente, ma si era ritrovato travolto da una guerra terribile e più grande di lui, e pur di sopravvivere aveva commesso sbagli imperdonabili; che anche uno come lui, insomma, come Carmine Iorio, può avere un momento di dignità, di grande orgoglio e spessore umano. E compiere un ultimo gesto, inaspettato e bellissimo (ma non lo racconterò per non togliere la sorpresa al libro) che lo riscatta da tutti gli errori commessi in precedenza”.
Lorenzo Viganò
Gian Antonio Stella “Carmine Pascià (che nacque buttero e morì beduino)”, Corti di carta, Ed. Corriere della Sera, 2008 (ancora in edicola, n.d.r.)
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