Oggi è il giorno del “distacco” dal nostro mondo quotidiano. Voltiamo le spalle l’intera Valle del Calore, accarezziamo la vasta pianura del Sele, ricordiamo i tanti tuffi fatti nel mare “nostrum” che si stende fino ai piedi dei monti Lattari; ne seguiamo la skyline che scende fino a punta Campanella; stringiamo le palpebre per mettere a fuoco quel “filo” esile che collega la terraferma a Capri …
Poi, senza esitare oltre, iniziamo la discesa verso il Vallo di Diano. Il tempo dell’andare ci consente di ripassare il “belvedere” che l’altopiano dove un tempo, molto più antico della “storia”, c’era un lago poi diventato un sistema paludoso e, infine, una fertile pianura che oggi è culla di benessere per agricoltura, commercio e aziende aperte al mondo.
Mucche al pascolo, cavalli allo stato brado, ruscelli che cantano ancora piano nel farsi largo verso il “vallo” dove aspetta per accoglierli il Fiume Tanagro, i lunghi tornanti concedono tempo a chi guarda per osservare ogni aspetto della vita bucolica che qui non è stata aggredita dalla contemporaneità ma solo dal vento che sferza la “sella” del Corticato sia da nord sia da sud. Le ginestre che, resilienti fino allo stremo, non temono i venti e si preparano, fin d’ora a far festa alla primavera ricoprendo di giallo ogni anfratto.
I pensieri vanno a ciò che c’è alle nostre spalle e a cosa ci aspetta dopo che avremo lasciato i comodi sentieri che tracciano geometriche vie nella pianura.
Intanto, siamo arrivati alla fontana d’inverno che garantisce acqua e ristoro ad armenti e pastori. Non sono poche le automobili che ci affiancano, ci salutano e poi procedono verso valle.
Stiamo percorrendo la SP 11 che prende il nome dal passo dal quale siamo partiti. Ricordo che questa stessa strada, in tempi relativamente recenti rispetto a quando la percorrevano le carovane dei Sibariti e dei Pestani sulla via Istmica, era usata dai contadini “rianesi” che portavano nell’alta valle del Calore e a Piaggine, il mio paese natio, ogni genere di ortaggi e prodotti da latticini bovini. Immagino che viaggiassero tutta la notte per poter giungere in tempo in paese e allestire le loro bancarelle prima dell’uscita della 1^ “messa” della domenica.
Intanto, Teggiano, che finora potevamo osservarlo sotto i nostri piedi, ora ci si para davanti in tutta la sua magnificenza di città simbolo del “Vallo”. È sede vescovile ed è stata per secoli anche la “capitale” politica e amministrativa dell’intero comprensorio. Teggiano si “contrappone” all’altro baluardo religioso che era la Certosa di San Lorenzo a Padula. La storia di Teggiano e del “Vallo” si sovrappone in molte epoche andate a quelle di Paestum poi divenuta, in epoca medioevale, Capaccio. Infatti, Paestum e poi Capaccio furono sede vescovile, in seguito denominata Capaccio – Teggiano. Infine, furono scisse in Diocesi di Teggiano e Vallo della Lucania.
Entriamo nel centro abitato passando sul ponte che funge da spartiacque tra due mondi, quello montano e l’altro agricolo.
Percorriamo la “Pedemontana” dove incrociamo due signore con le quali ci intratteniamo per scambiarci esperienze di “cammino” vissute. Ci si ripromette di tenerci in contatto e poi allunghiamo il passo per raggiungere la meta prefissata per oggi: il centro storico di Teggiano.
Il “premio” di poter camminare nella bella piazza di San Cono, il santo fatto “in casa” patrono della città; e fotografarsi alle spalle dello storico obelisco e il palazzo Macchiarulo, ce lo siamo “conquistati” passo dopo passo. Ma soprattutto, scarpinando lungo il sentiero che si inerpica fino in cima che è ripido, ma ci evita di dover “circumnavigare” la spirale della strada che avvolge la collina e rende “dolce” la salita ai mezzi di trasporto pubblici e privati.
Alla fine, il nostro “contachilometri” registra che abbiamo camminato per 16 Km da Corticato a Teggiano!