L’emigrazione e lo spopolamento dei borghi sono presagio di un futuro sconfortante per il Cilento. Il turismo, motore trainante dell’economia, è in prevalenza stagionale e costiero: in tali condizioni il territorio non vive, ma sopravvive. L’ impegno profuso per destagionalizzare il turismo e per attrarre i turisti della costa verso l’interno è un piccolo passo in un mondo globalizzato e fortemente concorrenziale.
Cos’altro possono fare i cilentani che restano e resistono per il futuro di questa terra? Un’ opportunità nuova ed innovativa viene dal passato: dalle radici. Al Turismo delle Radici, che fa numeri sempre maggiori, l’Italia ha dedicato il 2024, che sarà “Anno delle radici italiane”. E nel Cilento, si sa, ogni borgo ha i suoi emigrati.
Identità, memoria storica e radici sono quanto gli emigrati e gli oriundi cilentani vogliono fortemente conoscere e recuperare venendo qui, nella nostra terra, che è terra dei loro antenati, e che quindi appartiene anche a loro. Gli emigrati cilentani di prima, seconda, terza e quarta generazione che vivono in Sudamerica, negli Stati Uniti e in ogni parte del mondo avvertono un profondo desiderio di compiere il viaggio delle radici, di ritornare lì dove affondano le proprie radici. Viaggiatori con un profondo coinvolgimento emotivo, questi turisti vogliono conoscere la lingua e assaggiare i piatti tipici, percorrere a piedi le vie e le piazze, entrare nei negozi e nelle chiese, parlare con gli abitanti per ricostruire il proprio albero genealogico e, perché no, scoprire nuovi parenti. Soggiornano più a lungo rispetto ad altri turisti, vivono il paese mescolandosi ai residenti e viaggiano in ogni periodo dell’anno. Conoscono il territorio e le sue tradizioni, acquistano prodotti enogastronomici e di artigianato locale, e mantengono solidi e duraturi contatti con le persone del posto. Spesso tornano, e molte volte acquistano una casa, magari quella che era dei loro nonni.
Turisti dalle buone condizioni socio-economiche, gli emigrati e i loro discendenti sono interessati alle attività culturali, religiose, alla realtà rurale, alle bellezze paesaggistiche e ad ogni attrattiva offerta dal “loro” territorio. Richiamo ancestrale e viscerale, sono le radici a portarli nei più sconosciuti e abbandonati borghi, puntini di terra isolati che non compaiono neppure nelle cartine geografiche. Si aspettano di essere accolti, invece accade che questi cilentani (perché è così che a questo punto mi sento di chiamarli) spesse volte non trovano nemmeno un luogo che li ospiti dopo aver percorso chilometri e chilometri di strade sbagliate e sterrate lì dove anche il navigatore satellitare si perde. Se il Cilento non si organizza con servizi specifici per accogliere il turismo spontaneo ed emotivo delle radici, il miglior turismo auspicabile perché fatto di amore comune per questo territorio, rischiamo di perdere forse l’ultima occasione per salvare i nostri paesi.