In una lezione di Storia dell’arte ai tempi del liceo, la professoressa commentando il dipinto ”Il seminatore al tramonto” di Van Gogh, ci disse che il pittore olandese, alla ricerca di risposte sulla vita e sulla morte, aveva dedicato molta attenzione alla parabola del Seminatore a cui dette una lettura personale e che rappresentò in diverse sue tele.
“Il seminatore al tramonto” ritrae un contadino intento a seminare al tramonto del sole. Soffermandosi in particolare sui colori scelti per realizzare il quadro l’insegnante ci disse che nel contadino il pittore si era identificato sentendosi un seminatore della Parola di Dio, da evangelizzatore laico. Ricordi lontani che ritornano………
Oggi siamo invitati a meditare proprio sulla parabola del Seminatore, tra le pochissime che Gesù spiegò ai suoi discepoli e a tutti coloro che avevano il desiderio di comprendere meglio.
Da questa domenica la liturgia ci propone la lettura di una serie di parabole tratte dal Vangelo di Matteo che l’evangelista ha inserito nel suo racconto della storia della salvezza.
Nella parabola del Seminatore Gesù è il Seminatore pieno di speranza che semina la sua Parola anche dove è molto difficile che porti frutti per cause diverse. Attende poi fiducioso da tutti i terreni che ha seminato.
I 4 terreni di cui parla Gesù nella parabola sono 4 possibili risposte alla sua Parola e rivelano gli ostacoli e le lotte che la Parola incontra in noi. L’impianto del seme è tutt’altro che facile!
- Un ascolto superficiale, da parte di chi non è capace di comprendere, di chi ha il cuore duro e insensibile che non lascia penetrare la verità, è infruttuoso come il seme caduto lungo la strada.
- Accogliere la Parola per breve tempo, anche con gioia, ma non essere costanti e perseveranti, è come il seme caduto tra i sassi, che non va in profondità e non permette di sviluppare la radice, la parte che garantisce la vita di tutta la pianta.
- Soffocare la Parola con le preoccupazioni, lasciarsi ingannare dalle ricchezze materiali e dalle ansietà della nostra vita quotidiana è come il seme tra le spine.
- Ascoltarla, comprenderla, meditarla, dà invece frutto. Gesù perciò ci invita ad essere terra accogliente, calare nella nostra quotidianità la Parola che Lui sparge in abbondanza e anche in mezzo a tante delusioni e insuccessi ci invita a non scoraggiarci, a non avere timore che vada perduta, pur mettendo in conto anche una certa perdita della semenza.
Nella parabola sembra emergere una preponderanza di fallimenti, i primi 3 tipi di terreno, ma se riflettiamo dall’ultimo terreno il Seminatore mieterà un raccolto di straordinaria abbondanza.
Alla parabola nel passo di Matteo fa seguito la parte sul perché Gesù parla in parabole. La parabola per il fatto di utilizzare immagini semplici entra più facilmente in risonanza con l’ascoltatore e, quando non è esplicita, può stimolare una riflessione. Gesù racconta questa parabola per rassicurare i discepoli che la sua missione avrebbe portato molto frutto e mette poi a confronto da una parte i discepoli, che hanno accolto il Signore perché il loro cuore è come la terra fertile dei campi, dall’altra coloro che, pur avendo visto e ascoltato le stesse parole, lo hanno rifiutato.
Il significato della parabola viene perciò rivelato solo a chi in qualche modo è già dentro al mistero del Regno. Alla fine Gesù dice: “chi ha orecchi oda”, appello a comprendere quanto ascoltato, a ricercare un senso ulteriore nelle parole udite, imparando da Lui e agendo seguendo i suoi insegnamenti.
Nella parabola possiamo cogliere un duplice messaggio. Come seme il nostro compito è darci da fare per trasformarci in terreno fertile. Come seminatori dedicarci senza alcun calcolo alla semina perché porti frutti abbondanti. Dobbiamo ritenerci poi fortunati. Dio semina la sua Parola in tutti noi, nessuno escluso, non una sola volta ma regolarmente e attende pieno di speranza.
Che tipo di terreno siamo noi? Che frutto sta portando nella nostra vita il seme della Parola di Dio? Proviamo a rispondere!
La XV domenica del tempo ordinario quest’anno coincide con il giorno dedicato a Maria Santissima del Carmelo, protettrice di Cannalonga il paese dove vivo.
La festa, molto sentita anche a Napoli, città dove sono nata, è per noi cannalonghesi, motivo di gioia, di confronto, di condivisione, motivo per tenere viva la tradizione e sentirci parte di una comunità legata alle proprie radici.
La festa che si rinnova di anno in anno grazie alla creatività e al contributo di molti, è l’occasione per rivolgere alla Madre di Gesù, con grande devozione, un ringraziamento per la protezione che ci accorda; è occasione per chiederle di illuminarci nelle nostre scelte quotidiane, di aiutarci nei momenti di difficoltà e di essere per tutti noi sempre esempio di virtù da imitare.
Buona festa a tutti.