Negli spazi napoletani della prestigiosa galleria “Movimento Aperto” di Ilia Tufano, nella centrale Via Duomo, Antonio Baglivo, artista a tutto tondo di Bellizzi, è presente con la mostra “Enigma” titolo al quale la curatrice Cristina Tafuri ha voluto, giustamente, aggiungere “indizi per un alfabeto personale”.
In esposizione lavori che il maestro Baglivo ha realizzato seguendo un proprio “codice inverso” fatto di gesti misurati, adoperati nella sua segreta officina delle arti, così che ogni opera diventa parte di quella raccolta di “libri illeggibili”, per rifarsi a Bruno Munari e al suo “Codice ovvio”, che «non hanno parole da leggere, ma una storia visiva che si può capire seguendo il filo del discorso visivo».
La parola, quindi, si fa segno! E il Segno, parola poetica, a volte immaginifica, si fa disegno, opera da godere visivamente e da capire nella lettura del suo linguaggio segreto.
Il personale alfabeto di Antonio Baglivo contiene, in una sorta di scrittura ideografica, riferimenti sempre presenti al suo cifrario stilistico: il suo autoritratto, immanente presenza che rivendica l’«io» dell’artista, il rinoceronte definito dal maestro “l’estraneo inseparabile da me”, animale a cui spesso fa riferimento come duplicazione di una natura caratteriale… «è una sfida a leggere diversamente la scrittura tradizionale, sommersa da una spirale di vuote parole, una costruzione che fa del suo linguaggio, assai più che un mezzo, qualcosa di simile a un essere, e proprio per questo riesce assai bene a renderci presente qualcosa”.
Una scrittura che ha un ben preciso itinerario stilistico anche se il suo personale alfabeto diventa ogni volta una sfida a leggere, capire quel “qualcosa” che è dietro ogni opera-colloquio che l’artista instaura con il fruitore del suo lavoro.
Simboli come caratteri a farsi linguaggio per raccontare un proprio intimo o ciò che l’artista, nella sua sensibilità, coglie nel circostante caotico e spesso poco raccomandabile. Ma se vogliamo è un metodo antichissimo, che non ha mai smesso di essere adoperato da artisti veri i quali, come Baglivo, scoprono in quella sorta di antico linguaggio una vera originalità, che lascia da parte il tradizionale modo di comunicare con parole evolute ma spesso vuote, per concetti spesso codificati nella fascia della mediocrità, per gesti che si rifanno ad una consuetudine di appiattimento. Baglivo, con un linguaggio antico da lui reso moderno, resta pertanto nel Segno (e nel Sogno!) della purezza delle incisioni rupestri tracciate dai Camuni o nella complessità ideografica adoperata dagli egizi per lasciare un messaggio visivo della loro magnificenza: una prerogativa ad esclusivo appannaggio di quegli artisti che sanno raccontare con alfabeti di segni.
Scrive Cristina Tafuri nella breve, ma corposamente intima presentazione: «I segni si raggruppano in masse nere, si organizzano in una ripetizione che cambia solo per piccoli slittamenti, il nero riprende il suo assoluto valore visivo, rimodulando i simboli sempre presenti nell’opera di Baglivo».
Ed è una sorta di continuità con quella “provocazione oltre gli schemi” che Baglivo lanciò dagli spazi decisamente stretti, ma intimamente ampi del Laboratorio “Dadodue”, da lui inventato quale punto d’incontri e di riflessioni. Ricorda: «Era il 1977 e imperava il desiderio di sovvertire le regole, mettere in crisi il sistema, trovare nuovi spazi di confronto e soprattutto affrancarsi dal potere delle gallerie accorsate e dei critici prezzolati, delle riviste specializzate e delle fiere d’arte, nel tentativo di trovare una propria dimensione e una autonoma collocazione nel segno della condivisione e della collaborazione».
Di fronte a tanta sfida, il poeta Gerardo Pedicini scriverà: «Spuntoni di piramidi, cubi, parallelepipedi, poliedri assemblati su pannelli di legno infatti si ergono come tanti simulacri di un disertato mondo astrale, in cui l’artista declina le infinite visioni della propria geometria interiore. Sono mondi a sé stante, molto simili al suggestivo immaginario combinatorio de Le città invisibili di Italo Calvino».
E se la parola si fa segno, il segno si fa poesia visiva, un itinerario sempre caro al maestro di Bellizzi e che ha sempre custodito con cura nello scrigno segreto del suo animo. Scrive ancora Cristina Tafuri: «Nella sua lunga attività artistica Antonio Baglivo si è sempre interessato alla poesia visiva e alle sue diverse declinazioni, in alternativa alla pittura e creando opere caratterizzate da un percorso personale. A Salerno, inoltre, è stato uno dei pochi, se non l’unico, nei primi anni Settanta, a produrre lavori legati al filone della Narrative Art, dove la commistione tra immagini e parole allargava la sfera della significazione concettuale.»
Certamente le opere in mostra negli spazi di Via Duomo a Napoli sono una parte infinitesimale di quel lungo cammino che Antonio Baglivo ha percorso negli anni di una vita d’arte intensa, ricca di produzioni spesso maturate nel silenzio di “anni d’esilio” dove il pensiero è più fluido, più vicino all’intimo umano, alle sensibilità dell’artista che lo sa cogliere e tradurre in quei linguaggi capaci di trasmettere emozioni, riflessioni… meditazioni. Ed avanzano i “libri d’artista” o gli “ibridi libri”, un patrimonio costruito nel corso di una vita accompagnandosi a poeti, scrittori, studiosi convogliati in quel movimento di concerto in cui l’intera produzione si compone in un’unica visione dove le «infinite polivalenze dei segni e dei colori si intrecciano e si esaltano vicendevolmente con felici esiti compositivi di ascendenza miniaturistica, ridando alla parola e al gesto segnico una intrinseca capacità espressiva».
E sono tessere di quel grande mosaico senza spazio e senza tempo che l’uomo-artista costruisce, nel silenzio di una stanza, per parlare ad altri uomini sottovoce… dote rara, forse in via di estinzione, che fa parte del carattere di Antonio Baglivo. In questo mondo di vuote parole, falsi sorrisi, storie violente, inganni politici e sociali, sembra non esserci più spazio per la cultura della riflessione, delle idee, del rapporto tra simili: i Segni (e i Sogni) di Antonio Baglivo ci aiutano a riprendere il cammino.