Provo un’attrazione particolare verso il vintage, i cimeli, le grafiche colorate di un tempo in cui le fotografie erano in antitesi monocromatiche, i cosiddetti adesivi, le locandine, le copertine dei dischi e dei libri, le insegne. Quindi in un momento di ozio, scorrendo la bacheca di facebook, mi ritrovo catapultato casualmente sulla pagina “C’era una volta il Cilento” dove vengo catturato da un post nel quale giungono riportati i loghi – conservati dall’Archivio Storico Ernesto Apicella – di diverse radio libere che un tempo operavano sul territorio cilentano. Parliamo di “Radio Monte Gelbison”, “Radio Montemauro”, “Radio Papera”, “Radio tele Palinuro, “Radio Sapri”. Grazie ad una mia richiesta di informazioni, vengo contattato da Pietro Palumbo un corrispondente dell’allora “Radio Monte Gelbison”; una persona gentile, simpatica e disponibile, colta, evinco piena di esperienza e di idee, entusiasta dei suoi trascorsi e orgogliosamente cilentano, originario della frazione di Ascea “Terra Dura” pur vivendo da circa 40 anni a Venezia. Scopro inoltre che è anche uno scrittore, non ultima la sua favola “Avilo” è stata pubblicata in un’antologia di “racconti campani” a cura di Historica Edizioni, di cui ci riserviamo di parlare prossimamente.
Ho avuto il piacere di concordare con Pietro, una interessante chiacchierata telefonica iniziata con: diamoci del tu!
– Come ti sei ritrovato a collaborare con Radio Monte Gelbison?
Nacque tutto in un negozio di dischi, perché ho sempre amato la musica. Fui scelto dal caro Antonino Scelza (fondatore della radio) che, secondo me, aveva una visione lunghissima; uno dei pochi pionieri di Vallo della Lucania. Al tempo fece un investimento che non so davvero sia riuscito a recuperare, lo faceva davvero da mecenate. Lui prese noi ragazzi e ci mise a disposizione questo piccolo mixer con un microfono e dei dischi. Ricordo era il periodo in cui facevo il liceo, mi piaceva molto la storia, la letteratura e forse per questo trovavo interessante raccontare le cose in modo particolare. In radio, il disco lo spiegavo, studiavo l’autore, cercavo di carpire, al di là della musica in sé il significato intimo dei testi, cosa si nascondesse dietro ad alcune parole. Ero appassionato del racconto e spiegavo i testi delle canzoni, con il tentativo di estrapolarne quel piccolo dettaglio che non arrivava agli ascoltatori.
– Una vera esegesi…
Sì, era quello che amavo fare e forse questo piacque molto. Anche le dediche personalizzate – erano consuetudine prima di lanciare un brano – cercavo di farle in modo diverso, magari addentrandomi nei perché delle richieste.
– Parliamo del periodo che riferisce al fermento delle prime radio libere?
Sì è il periodo in cui ho lavorato a RMG, fine anni ’70 – inizio anni’80. Tra l’altro la mia ultima esperienza dietro ad un microfono coincide con un istante della storia del nostro paese molto delicato.
– Cioè?
Praticamente è stato l’ultimo giorno che ho fatto il dj. Mi trovavo, credo a Gioi o a Stio, presso la palestrina di una scuola elementare dove si doveva esibire un gruppo musicale. Praticamente, durante la preparazione – dietro le quinte – dello spettacolo, dissi al tecnico delle luci: appena entro evitami l’impatto con il pubblico, buttami il faro, il cosiddetto “occhio di bue” negli occhi. Era il 23 novembre del 1980, entrai in scena, mi ritrovai questa luce accecante sul volto ed improvvisamente, si avvertì un forte boato. Si spensero le luci, caddi in una delle casse dei musicisti. In un primo momento pensai fosse stato un problema elettrico, poi qualcuno in fondo gridò: è il terremoto! Questa è stata la mia ultima volta che ho lavorato per RMG, dopodiché andai via a fare del volontariato proprio in Irpinia con un gruppo di giovani e seguirono, tuttavia, i miei studi universitari. Pertanto nell’83 sono arrivato a Venezia dove vivo tuttora con mia moglie, i miei figli e i miei nipoti.
– Quello che racconti è davvero “pazzesco”. Ritorniamo un po’ nei meandri di RMG, com’era organizzata?
Intanto trasmetteva H24, era situata nel primo piano di una casa al nord di Vallo. Era un ambiente bellissimo dove si trovava ubicato uno dei primi mixer moderni, si era forniti di tantissimi dischi e microfoni. Giorgio Scelza, per me la voce più bella del Cilento, calda e accogliente, meravigliosa! Fu la prima voce del primo giornale radio locale. C’erano due tecnici audio e ovviamente noi che ci assecondavamo a seconda degli orari con una programmazione veramente bella. Parlavamo molto del Cilento, dei suoi paesaggi e degli avvenimenti. Pensa che all’epoca a Vallo c’era il cinema “Ideal” dove organizzavamo dei concerti molto importanti con la formula della matinée e diversi artisti si esibirono lì. I New Trolls, la Mannoia che mi chiedeva: come posso cantare al mattino? Andavamo a vendere i biglietti davanti alle scuole, si faceva il cosiddetto “filone” e in modo spartano, registravo l’intero concerto con un vecchio registratore per farne ascoltare una parte nel mio programma in radio.
– Hai manifestato un forte legame con la tua terra di origine il Cilento, soprattutto verso il tuo borgo Terra Dura. Hai vissuto qui da ragazzo, ti sei formato e hai lavorato in un’epoca storica molto diversa da quella attuale. Il resto della tua vita, l’hai trascorsa nel capoluogo veneto, quindi in una delle regioni più produttive della nostra Italia. Conosci bene le sostanziali differenze tra le due realtà ed è per questo che chiedo ad un lungimirante come te, cosa farebbe per il Cilento attuale?
Se fossi il Presidente del Consiglio o il Governatore della Regione, direi a tutti i sindaci del Cilento, visto che gli assessori vengono nominati dal suddetto, di non prenderli tra gli eletti, ma di procedere per incarichi esterni e affidare il compito a due giovani del luogo, così per ogni comune. Due giovani che abbiano una certa esperienza professionale di rilievo, con l’esclusione degli ultra cinquantenni. Pagarli e farli lavorare per tutto il tempo della legislazione locale. Questi ragazzi stanno dando tanto al nord, invece dovrebbero dare tanto al sud.