Il 5 giugno 1947 il segretario di stato americano George Marshall annunciò pubblicamente la decisione degli USA di sostenere la ripresa dei paesi dell’Europa Occidentale con un vasto piano di aiuti economici che presero il suo nome e che oggi ricordiamo come Piano Marshall. Si era all’indomani del secondo conflitto e, da allora, le governance mondiali si sono ridefinite.
A partire dal Trattato di Roma del 1957 e fino al Trattato di Lisbona del 2007, la vecchia Europa ha intrapreso un percorso di autonomia economica e politica, finalizzato a rendere i paesi membri parte di una comunità sovranazionale, riconosciuta come Unione Europea, in parte mutuata anche sui modelli federali delle superpotenze internazionali di Stati Uniti e URSS.
La costituzione di enti sovranazionali si rendeva necessaria per fronteggiare la spaccatura, sempre più netta, tra un est e un ovest ancora e sempre in conflitto e per limitare le influenze dell’uno e dell’altro blocco.
A 2023 appena iniziato, l’ultimo paese entrato a far parte a tutti gli effetti del gruppo delle 12 stelle, con l’ingresso nella zona euro, è la Croazia, che si strappò dal controllo dell’Unione Sovietica entrando nelle simpatie occidentali attraverso la sorella dittatura socialista di Tito.
Nel luglio 2020, nel corso di una guerra strisciante, non definibile conflitto mondiale ma nota come pandemia per la sua pervasività, l’Unione Europea approva il Next Generation EU, un piano di sostegni economici destinati agli stati membri colpiti dal covid-19.
I fondi del NGEU vengono distribuiti dietro presentazione di un progetto di riforme che interessino i settori valutati come maggiormente critici per l’economia interna del singolo stato, anche se digitalizzazione e transizione ecologica restano i principi guida degli investimenti.
Secondo i dati 2022 del rapporto CEPEJ, la Commissione europea per l’efficienza della giustizia, il sistema giudiziario dell’Italia è in panne. Ultima per tempi di giustizia civile, sovraffollata nel penale, arcaica dal punto di vista organizzativo. E così nel PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, trova spazio anche la riforma della giustizia.
L’Avvocato Giovanni Laurito, civilista di ventennale esperienza, già curatore della rivista Giustizia & Cilento edita dal COA di Vallo della Lucania, esercita la professione forense presso il Tribunale di Vallo della Lucania. In aperto confronto, abbiamo discusso della riforma, per capire cosa ne pensano gli addetti ai lavori.
Ad oggi il foro vallese è di competenza territoriale per i comuni cilentani di: Agropoli, Alfano, Ascea, Camerota, Campora, Cannalonga, Casal Velino, Castellabate, Castelnuovo Cilento, Celle di Bulgheria, Centola, Ceraso, Cicerale, Cuccaro Vetere, Futani, Gioi, Laureana Cilento, Laurino, Laurito, Lustra, Magliano Vetere, Moio della Civitella, Montano Antilia, Montecorice, Monteforte Cilento, Novi Velia, Ogliastro Cilento, Omignano, Orria, Perdifumo, Perito, Piaggine, Pisciotta, Pollica, Prignano, Roccagloriosa, Rofrano, Rutino, Sacco, Salento, San Giovanni a Piro, San Mauro Cilento, San Mauro La Bruca, Serramezzana, Sessa Cilento, Stella Cilento, Stio, Torchiara, Torre Orsaia, Valle dell’Angelo e Vallo della Lucania. Un bacino di utenza di 51 comuni, un numero abbastanza sostanzioso quando a dover gestire le cause civili ci sono pochissimi giudici.
“In quanto Tribunale di provincia, quello di Vallo della Lucania ha già di per sé in pianta organica la previsione di un numero limitato di magistrati; inoltre, per una serie di ragioni che vanno dalle comprensibili aspettative di carriera al gravoso carico di ruolo ereditato da decenni di arretrati, non è certo considerato dai giudici un Tribunale di assegnazione definitiva. Dopo una sequela di giovani toghe che hanno trascorso a Vallo un tempo tanto breve quanto ci sarebbe invece da augurarsi per i processi, da circa quattro anni però lo status di sede disagiata, con incentivi all’accettazione della sede, ha favorito una maggiore stabilità. Non più soltanto prime nomine ma anche giudici già esperti e assegnati per lunghi periodi.
È chiaro che il continuo bisogno di sostituire un magistrato rallenti drasticamente tempi già di per sé non brevi. Si pensi che su una media di circa 1700 cause iscritte annualmente al solo ruolo generale civile in tribunale, nell’ultimo quinquennio, complice anche la pandemia, ne venivano decise anche soltanto duecento in un anno. Per fortuna dall’anno scorso, con l’occupazione di quasi tutte le caselle dei posti a disposizione, si è avuta una inversione di tendenza, diventata sensibile all’inizio di questo 2023, in cui siamo già quasi a un centinaio di sentenze in neppure due mesi”.
È evidente la sproporzione tra il numero di cause e quello delle risorse dedicate.
“Si. Pendono ancora giudizi che risalgono agli anni ’90 e moltissimi del primo decennio degli anni duemila. Diciamo che il problema più stringente del nostro Tribunale è l’arretrato civile, sebbene ci siano state a livello ministeriale numerose nuove istanze di reclutamento per i ruoli di magistrato e cancelliere e sia stato istituito un ufficio del processo nel quale impiegare giovani risorse in affiancamento ai giudici, nonché per smaltire parte di quelle attività soltanto “burocratiche”, come ad esempio le liquidazioni dei compensi agli ausiliari del giudice o del patrocinio a spese dello Stato.”
Qualche aiuto dalla riforma su questo aspetto?
“Si, un ulteriore quadro di risorse è previsto e sicuramente è auspicabile, ma riguardo alla riforma vera e propria, quella dei riti, a mio avviso e di molti dei miei colleghi, si tratta di interventi più che altro di facciata. L’obiettivo di ridurre i tempi della giustizia non passa per l’ennesima modifica dei termini processuali per l’introduzione del giudizio o del deposito di memorie, iniziativa già intrapresa numerose volte quasi da ogni governo che si è susseguito a partire dagli anni novanta, con scarsissimi risultati. Certo, alcune previsioni sembrano apprezzabili – anche se andranno testate sul campo, una volta entrata in vigore la riforma dal 1° marzo – come l’istituzione di un Tribunale della Famiglia e di un giudice esclusivo per le cause di diritto familiare. Intelligente, a mio avviso, confermare anche per il futuro la scelta, figlia della fase emergenziale, di consentire la trattazione di alcune udienza in “cartolare” (cioè con scambio di note scritte in via telematica), laddove effettivamente diverse udienze si risolvevano soltanto nel riportarsi agli atti già compiuti, con una presenza meramente formale. Meno efficace l’allargamento dell’obbligo di ricorso preventivo agli istituti della mediazione privata e della negoziazione assistita.”
Può spiegarci perché la ritenete una misura inadeguata?
“Perché è in vigore da anni per alcune controversie (sinistri stradali, diritti reali, controversie di natura consumeristica ed altre ancora) ma le cause che si sono risolte dinanzi a questi organismi costituiscono numeri infinitesimali, mentre comporta un ulteriore passaggio con spese a carico delle parti. Chiaro che se due parti volessero accordarsi prima del giudizio, potrebbero farlo anche senza dover pagare un terzo che di fatto non ha alcun potere decisionale: già più efficaci si erano rivelate le previsioni di conciliazione giudiziale, cioè la proposta transattiva formulata da un giudice in udienza, al cui mancato accordo può conseguire per la parte soccombente un aggravio di spese. Ecco, avrei potenziato tale istituto magari con un giudice ad hoc in un’udienza filtro iniziale, il quale studiata sommariamente la questione avrebbe potuto formulare una ipotesi concreta.
Invece il ricorso alla mediazione, così come strutturato e addirittura ampliato dalla riforma, tranne alcune previsioni che potrebbero trovare maggiore riscontro, come l’ampliamento della negoziazione assistita da avvocati nella cause di separazione e divorzio, non è altro che un mero dilazionare l’inizio del giudizio civile dinanzi al Tribunale.
Inoltre, un settore nevralgico per l’economia, quello delle esecuzioni, che avrebbe meritato una riforma strutturale, non è stato quasi toccato. Le maggiori critiche da parte dell’UE sono proprio sulle lungaggini per il recupero dei crediti giudiziali, che disincentivano gli investimenti, invece allo stato recuperare piccoli crediti è praticamente impossibile perché per i privati non esiste la possibilità di accedere ad una banca dati – come invece è consentito all’Agenzia delle Entrate nei confronti dei cittadini – che possa indicare al creditore munito di titolo giudiziale i beni del debitore da aggredire, favorendo l’effettiva esecuzione delle sentenze, dopo che già per pervenire ad una pronuncia giudiziale, in tribunali piccoli come il nostro ma più in generale nel sud Italia servono già anni e anni. Per non parlare delle esecuzioni immobiliari, dove i costi esorbitanti a carico del creditore per il compenso dei professionisti esterni di ausilio del Giudice (custodi, stimatori, delegati alla vendita) vanifica spesso quasi per la totalità la distribuzione del ricavato dalla vendita degli immobili pignorati, che è solo eventuale, mentre i costi di cui dicevamo debbono essere soddisfatti comunque in via anticipata dal creditore.”
Ci diceva in precedenza dell’inutilità, a suo parere, della riduzione dei termini processuali per le parti. Può spiegarci il perché?
“Non voglio entrare in aspetti troppo tecnici, ma in un processo civile, che non è altro che una scansione di tempi verso la definizione di un contenzioso, alcuni termini sono riservati alle parti per esporre le loro ragioni, e per confutare quelle dell’altra parte, nonché per indicare i mezzi di prova di cui intendono servirsi per dimostrare la fondatezza delle loro tesi. Lei capirà che, in giudizi che nella grande maggioranza dei casi vengono rinviati d’ufficio per anni e anni a causa dell’arretrato che non consente al Giudice di pervenire ad una definizione celere, sia ad esempio del tutto irrilevante per fini deflattivi ridurre da trenta a venti giorni il termine per indicare testimoni o produrre documenti. In pratica la parte e l’avvocato debbono affannarsi a reperire documenti, a visitare uffici, a sentire persone in tempi ancora più stretti di quelli attuali già risicati, pena la decadenza dei propri diritti e poi quel fascicolo, passato al Giudice, potrà essere trattato anche uno o due anni più tardi, tempo nel quale languirà fisicamente in uno scaffale o telematicamente in un server.
Si tratta di misure di chirurgia estetica, non curative, il cui unico effetto è una riduzione del diritto di difesa e del contraddittorio, quando è innegabile che i tempi del giudizio dipendano principalmente dall’impossibilità per i Giudici di fissare udienze più a breve e decidere le cause per l’enorme numero di fascicoli arretrati assegnati a ciascuno (a Vallo della Lucania ogni giudice civile ha sul proprio ruolo circa duemila fascicoli, mentre in altri Tribunali, specialmente al nord ma non solo, tale numero si aggira sui quattrocento-cinquecento.”
Diceva delle decadenze processuali per gli avvocati che non rispettano i termini. Nessuna misura invece a carico dei magistrati?
“I termini processuali per le parti sono perentori, cioè al loro mancato rispetto consegue una decadenza dal diritto di compiere quell’atto. Quelli dei magistrati sono invece ordinatori, cioè di principio, ma al mancato rispetto non derivano conseguenze, se non potenziali influssi sulla carriera, se dovessero essere omissioni esorbitanti la ragionevolezza e ripetute. Ma sono casi rari, la maggior parte dei ritardi dipende dal carico di ruolo, e sarebbe paradossale “punire” un magistrato per il semplice fatto di essere stato assegnato in un Tribunale più piccolo e peggio funzionante, sarebbe un gatto che si morde la coda. E’ questo il vero problema della giustizia in Italia, il fatto che i cittadini non possano godere di un’uniformità a livello nazionale, ma esistano di fatto cittadini di serie A e di serie B per la giustizia, per il solo fatto di risiedere in città (soprattutto al nord) dove si ottiene ragione in tempi molto celeri e altri, in grandissima parte al sud, dove intraprendere un processo civile è talvolta un salto nel buio. E’ evidente che vi sia una violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione, qui non stiamo parlando della fortuna di nascere in una località turistica piuttosto che in una landa desolata: nel diritto ad una giustizia efficace e rapida non possono esserci rendite di posizione. Speriamo che l’aumento di risorse auspicato con i fondi del PNRR possa favorire l’uguaglianza e non ampliare, invece, il divario.”
E sul fronte della giustizia penale?
“I presidenti che si sono susseguiti alla guida del Tribunale di Vallo nelle ultime due decadi hanno sempre privilegiato lo spostamento di maggiori risorse in termini di personale verso il settore penale, evidentemente intendendo dare un’immagine più rassicurante al territorio. Per fortuna, però, non ci troviamo in un’area in cui la penetrazione della criminalità organizzata è così stringente, e la gran parte del carico dei ruoli penali è costituito da reati contro la persona, abusivisimo edilizio e perseguimento dei reati dei cd. Colletti bianchi, cioè quelli contro la pubblica amministrazione. I tempi di definizione dei processi non sono così drammatici come sono stati quelli civili, e anzi ho l’impressione che alcune iniziative della riforma, come ad esempio la creazione di un’udienza filtro, sebbene abbia sulla carta un intento deflattivo, creerà sensibili problemi organizzativi nei tribunali piccoli come il nostro, dove la presenza al momento di soli cinque giudici penali renderà molto complesso garantire la necessaria distinzione all’interno dello stesso processo fra quelli che si occupano delle indagini preliminari, dell’udienza preliminare, del dibattimento e ora anche di questa udienza filtro, funzioni che non possono essere svolte, all’interno dello stesso processo, dal medesimo giudice. Ripeto, il vero problema delle lungaggini dei tempi della giustizia non sono mai stati i riti, ma le risorse umane”
La macchina, già lenta, si rallenterebbe ancora di più?
“Le faccio un esempio, in chiusura. Rappresento una società che ha contenziosi in tribunali sparsi di tutta l’Italia. Tre cause che necessitano della medesima tipologia di istruttoria: quella iscritta al Tribunale di Trento è stata definita in un anno, quella a Salerno pende da cinque, quella a Vallo da otto. Ecco, allora, che una riforma effettivamente efficace sarà quella capace di agire in maniera mirata sulle diverse situazioni cercando di uniformarle. Voler risolvere problemi differenti con metodi uguali rischia di rallentare ancor di più la macchina già lenta, mentre quella più veloce diventerebbe ancora più veloce, forse. Una giustizia a due velocità, insomma.”
Grazie.