Dallo scorso mese di settembre Patrycja Zalucka, giovane studentessa dell’Accademia delle Belle Arti di Cracovia, indirizzo scultura, è in Italia nell’ambito del programma di studi “Erasmus plus”. L’idea di permettere lo scambio tra studenti europei ebbe origine nel 1969, grazie all’intuizione dell’italiana Sofia Corradi (soprannominata “Mamma Erasmus”), pedagogista e consulente scientifico della Conferenza permanente dei rettori delle università italiane. Il progetto poi nacque grazie all’iniziativa dell’associazione studentesca EGEE, fondata da Franck Biancheri, il quale nel 1986 convinse l’allora Presidente francese François Mitterand ad appoggiare la nascita di “Erasmus”.
La fattiva collaborazione tra l’EGEE e la Commissione Europea, rappresentata all’epoca da Domenico Lenarduzzi, Direttore della Pubblica Istruzione, permise l’approvazione del programma “Erasmus” nel 1987. A partire da quell’anno sempre più studenti si sono mossi per l’antico continente contribuendo, fattivamente e in modo serio, alla costruzione di una Europa vera, fondata sul sapere, sul sorriso, sull’amicizia, sullo scambio delle culture dei popoli, così come sognata da Altiero Spinelli nel lontano 1941 durante il confino a Ventotene quando, con la collaborazione di Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, stilò il “Manifesto per un’Europa Libera e Unita”, meglio conosciuto come “Manifesto di Ventotene”. Tra l’altro Spinelli, quale parlamentare europeo, fu promotore di un progetto di trattato istitutivo di un’Unione Europea con marcate caratteristiche federali che venne adottato dal Parlamento di Strasburgo nel 1984. Tre anni dopo quel Parlamento approvava il progetto sulla istituzione di “Erasmus” nato, come detto, ad iniziativa di un italiano: Biancheri. I numeri danno ragione a chi ebbe quella intuizione e a coloro che la resero fattibile: ad oggi infatti oltre 25 milioni di studenti europei si sono mossi per le antiche strade del vecchio continente e, allo stato, più di 4000 istituzioni Universitarie di 31 Paesi aderiscono a questo progetto di costruzione di una Europa diversa da quella basata, pericolosamente e principalmente sull’economia.
Ed è grazie ai programmi “Erasmus” che Patrycja è in Italia per un suo preciso desiderio di perfezionamento nella scultura e, in specie, nella modellazione dell’argilla. Da qui la scelta di Vietri sul Mare e della fabbrica Vincenzo Pinto, da sempre disponibile ad ospitare coloro che vogliono approcciarsi al mondo della ceramica, o artisti in cerca di una “casa-ceramica” dove operare in libertà. E non sono pochi quei geni dell’arte che sono stati ospitati tra le antiche mura della fabbrica-bottega dove la manualità e l’antica sapienza artigianale sono una costante da oltre cento anni. Barbara Margarete Thewalt-Hannasch, Irene Kowaliska, Amerigo Tot, Giuseppe Capogrossi, Renato Rossi, Giovannino Carrano sono stati coloro che in Raffaele Pinto trovarono il loro mecenate. E tra le mura di questa fabbrica, nel 1931, Emilio Cecchi trovò il suo “vasaio” facendolo diventare icona di letteratura ceramica. E qui, ancora oggi, nella scia di una tradizione di ospitalità, operano i maestri Salvatore Autuori e Virginio Quarta, artisti che, con Enzo Caruso, la giovane Patrycja definisce “icone della ceramica vietrese”.
Alla domanda perché ha scelto l’Italia e perché la ceramica, Patrycja risponde: «Ho cominciato il mio percorso di studi con il legno e il bronzo poi alla fine ho scelto la ceramica, perché mentre gli altri materiali hanno bisogno di tempo per comunicare un “compiuto d’opera”, l’argilla dà risultati con maggiore immediatezza. Forse questa non è una visione giusta, ma certamente è pratica». Quindi aggiunge che a lei piace lavorare con le forme e le piace fare gli stampi. «Certo ci vuole un po’ di tempo per la preparazione, ma alla fine si possono fare tante copie e su di esse poi si può intervenire per modificarle come meglio si percepisce l’opera in quel momento». Mentre si racconta, una teoria di stampi della Pinto è allineata sugli scaffali alle spalle di Patrycja e dice che quel luogo per lei è “il paradiso della scultura ceramica”. Intanto sul tavolo troneggia una maschera modellata dalla giovane scultrice con il vento mediterraneo, mentre una figura di donna immaginifica sta ad asciugare poco distante, prima di entrare nel forno. Più oltre, un vaso-lampada mostra una decorazione di splendide magnolie dipinte da Patrycja con raffinatezza di tratto.
Sopraggiunge la curiosità del perché e come ha scelto Vietri sul Mare, paese di antica tradizione ceramica, ma certamente più distante da quei centri settentrionali per lei più facilmente raggiungibili, visto che già in anni precedenti era stata in Italia per vacanze, cosa che le ha naturalmente orientata la scelta del Paese dove confrontarsi. Dice che voleva un luogo dove ancora non era stata così, con una ricerca su internet, ha trovato Vietri sul Mare ed ha trovato la Ceramica di Vincenzo Pinto. «Ho letto la storia della fabbrica e della famiglia Pinto – dice – e sono rimasta affascinata. Poi le foto di famiglia mi hanno mostrato delle persone carine, di cui potersi fidare. Così ho scelto questa fabbrica. Qui e nel paese ci sono persone splendide, espansive, molto disponibili al colloquio, tanto che sono sorpresa di come tutti si parlano per la strada. E poi Vietri, è piena di ceramiche, qui si respira l’aria della ceramica, la sua presenza è costante. E c’è il suono della lingua napoletana che ha molti suoni simili al polacco».
Emanuela Pinto, ultima generazione della famiglia, ci dice che il percorso “Erasmus” per Patrycja doveva terminare a fine novembre, ma lei ha chiesto alla sua Università di prorogare il periodo e le è stato concesso di restare sino alla fine del prossimo febbraio.
Alla domanda se tornerà a Vietri dopo il termine degli studi, risponde: «Cosa farò dopo gli studi non lo so. Intanto dopo quest’ultimo dei cinque anni previsti, mi restano altri tre anni da studiare, poi deciderò. Di certo della ceramica di Vietri mi piace la varietà dei disegni, delle forme, dei colori che viene portata avanti da generazioni. Mi piace questo attaccamento dei ceramisti all’iconografia locale che continua, anche se con una giusta evoluzione».
Le prime, freddolose ombre della sera accolgono i nostri saluti e nella semioscurità della fabbrica sovviene alla mente che nel 1931, esattamente 91 anni fa, in questo paese della costa a tradizione ceramica arrivò con il solo biglietto di andata, un’altra polacca: Irene Kowaliska, giunta su queste rive mediterranee perché, aveva scritto nel suo diario: “sogno d fare ceramica in una bottega con le volte a botte e una finestra aperta sul mare”. E a Vietri la trovò, insieme a quell’odore di creta viva che inebriava la sua fantasia d’artista. E la storia continua.
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