Che il Cilento sia una terra da scoprire non devo certo dirlo io. C’è però un Cilento nascosto, lontano dalle coste e dal turismo (dove le masse non arrivano). Ed è qui, sulle strade più impervie, che si nasconde la storia più verace di questa terra.
La storia questa volta ci porta a Sacco Vecchia. Il borgo medioevale – o almeno quello che oggi resta – si trova sulla sommità di una rupe che si erge a strapiombo sulla valle in cui prende vita un altro miracolo della natura: il fiume Sammaro.
Prendendo in prestito un verso della canzone dei Banco del Mutuo Soccorso, “da qui, messere, si domina la valle”. La vista da Sacco Vecchia è a dir poco spettacolare: lo sguardo corre lontano, indisturbato, fino a scorgere le isole del golfo amalfitano, con Capri in fondo a tutto.
Non serve un occhio allenato per scorgere, dietro i pochi scampoli di muri che ancora si ergono tra i rovi, le vestigia di una torre, naturalmente circondata da mura difensive – siamo pur sempre nel Medioevo – e, immancabile in un periodo di paura e di preghiere, le mura di una chiesa; d’altronde sono questi gli elementi che caratterizzano il fulcro del villaggio medioevale.
Quanto all’origine, Sacco Vecchia – così almeno riportano le fonti – sarebbe stata costruita da un gruppo di genti autoctone che qui cercarono riparo dalle popolazioni nemiche provenienti dal mare.
Successivamente, in epoca longobarda sarebbero giunti dei monaci basiliani, sotto la cui egida sarebbero state edificate la fortezza, la cinta muraria e la chiesa (intitolata, secondo la tradizione, a San Nicola).
E naturalmente, ️laddove vi è una torre, ogni storia che si rispetti vuole protagonista una donna e Sacco Vecchia non fa eccezione; torna così alla mente la leggenda di Saccia, la moglie del duca Zottone di Benevento che – così raccontano gli anziani – sarebbe stata rinchiusa nella torre dal marito in quanto accusata di adulterio.
La storia di Saccia non ha nessun fondamento certo. Pur tuttavia – le notizie anche qui si perdono nelle parole mai scritte delle tradizione orale – l’assonanza del nome richiama molto da vicino l’abitato: Saccia sarebbe morta di stenti nella torre e in sua memoria, quando tra il IX e XI secolo d.C. gli abitanti trasferirono l’abitato più a valle, preferendo all’altura della rupe i paesaggi meno aspri ai piedi del monte (qui si trova l’odierno abitato), vollero chiamare il nuovo borgo appunto Sacco, in memoria della povera nobildonna mai dimenticata.
Consapevole che l’emozione di una descrizione debba lasciare un segno, oltre che nel cuore, negli occhi, riporto sotto una foto di Sacco Vecchia.
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