Nicola ci ha lasciati così come è sempre vissuto, con discrezione, in punta di piedi, quasi a non voler recare noia ad alcuno.
Gli amici, tranne i tanti che sono andati via prima di lui, eravamo tutti lì, alla chiesa del Cafasso, a rendergli l’estremo saluto, in testimonianza dell’affetto che ci ha tenuti legati una vita. Amici di scuola e del liceo, del pallone e della Poseidon, dell’Azienda di soggiorno di Paestum, oltre ai tanti estimatori che Nicola ha saputo conquistarsi per la modestia dei comportamenti e l’affabilità della persona e dei modi. Pur dotato di una profonda cultura, Nicola se l’è sempre tenuta per sé, contentandosi di un sorriso ogni qual volta s’imbatteva nella spocchia degli altri.
La nostra amicizia risale agli inizi degli Anni Cinquanta. Ancora ragazzi, si veniva tutti al Cafasso, a sentir messa la domenica e le feste comandate. A quei tempi, nella piana del nostro Comune c’erano solo due chiese, l’Annunziata di Paestum, con i tesori delle origini paleocristiane ancora celati dalle tarde sovrastrutture, e la Madonna del Carmine, costruita, insieme con il tabacchificio, da Carmine De Martino, proprietario della Saim, ma anche potente parlamentare e sottosegretario di Stato. A officiare i riti, e all’assistenza umana e religiosa provvedevano i Padri Vocazionisti, con infinita dedizione. Vivevano poveramente, nel retro della chiesa, di elemosine e di cerca, cui provvedeva, al grido leggendario di «pace e bene, fra’ Giuseppe», il più umile tra loro, sempre in giro per la piana con la nera tonaca svolazzante su una vecchia bicicletta per donne. Al Cafasso si veniva anche per giocare a pallone, nella piazza grande come un campo di calcio, priva delle aiuole di oggi, e già spoglia dei gelsi piantumati da Gaetano Bonvicini nel ‘25. Unica essenza arborea, l’eucalipto verdeggiante e maestoso sotto cui ancora oggi i residenti al Cafasso continuano a raccogliersi, esclusivamente tra uomini, per scambiare una chiacchiera, aggiornarsi sulle novità, e godere di sincere amicizie.
Tra noi, Nicola era il più bravo a giocare al pallone e ben presto non militerà solo nella Poseidon, ma anche in sodalizi impegnati in campionati maggiori.
Il Cafasso è stato ben più di una semplice contrada. Nel 1925 Gaetano Bonvicini, imprenditore di Massa Lombarda, vi acquista, dai marchesi Pinto, 300 ettari di terreno, per buona parte paludoso, e vi insedia capannoni zootecnici, ma, soprattutto, colture di peschi da esportare nei mercati che contano dell’Europa di allora. Ovviamente, selezionati e opportunamente confezionati in idoneo capannone capace di ospitare ben 100 lavoratrici, e inviati per ferrovia, in celle refrigerate dal ghiaccio prodotto al Cafasso. Il 10 luglio del 1937 Gaetano Bonvicini muore, e sarà Carmine De Martino a rilevare l’azienda e ad ampliarne le strutture originarie destinandole, però, non più alla frutticoltura, ma al confezionamento del tabacco. Una nicchia, il tabacco orientale, destinato alle famose “Turmac”, le sigarette dai sottili profumi boschivi dei rilievi del Salernitano: Trentinara, Alburni, Vallo del Diano…
Nicola, pur diviso tra scuola e pallone, trova il tempo per osservare il mondo che gli sta passando davanti e ne introita gli aspetti, anche quelli nascosti e destinati all’oblio, poi li racconta. Certo, di questa storia non sempre è stato osservatore diretto. Nel 1925 non era nato neppure, ma vi ha sopperito dai racconti del padre Giuseppe, che l’epopea del Cafasso l’ha vissuta tutta, prima con Gaetano Bonvicini, poi con Carmine De Martino. Epopea sembrerebbe termine improprio e un tantino presuntuoso per una piccola storia. Ma, questa del Cafasso non è una piccola storia. Né si limita a due iniziative industriali, anche se decollate in un paese del Sud, peraltro malarico. Nel 1925 Gaetano Bonvicini, insieme con la frutticoltura, pone mano al risanamento della palude più ostica e invincibile della piana del Sele, con fondi propri, e debella il tassone. Poi, indica alla deputazione consortile la strada per vincere la partita in tutta la piana del Sele. A breve, la storia del Cafasso sarà raccontata in un libro, con dovizia di particolari, cui ha contribuito altresì un testimone tuttora vivente, Aniello Vicedomine, che abita solo a due passi dall’eucalipto che è un po’ il simbolo della contrada. Resta un rammarico: la morte pone fine anzitempo all’iniziativa di Gaetano Bonvicini, i mercati internazionali al tabacchificio di Carmine De Martino: il tutto, senza che i governi alla guida del Paese abbiano mosso un dito per tenere in piedi le iniziative, o almeno riconvertirle.
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