Ricordo ancora quando Ciro Miniero arrivò e si insediò come vescovo della diocesi di Vallo della Lucania. La cerimonia si svolse il 4 settembre del 2011 nella bella piazza Vittorio Emanuele II di Vallo della Lucania, sede vescovile, alla presenza di tutto il clero e della vasta comunità religiosa arrivata per l’occasione. Ad accompagnare il neo vescovo c’era il suo mentore, il cardinale Sepe, che reggeva la curia di Napoli dove Miniero aveva operato fino a quel momento.
Miniero arrivava a Vallo per sostituire il vescovo Giuseppe Rocco Favale che aveva lasciato l’incarico per raggiunti limiti di età e che gli lasciava in eredità una diocesi che aveva attraversato un lungo periodo di trasformazione e che aveva visto alzarsi l’età media dei parroci e scendere ai minimi termini le vocazioni sacerdotali seguendo la tendenza che vedeva l’intero territorio arretrare in termini demografici che, oltre a un patrimonio di opere di proprietà della Diocesi realizzate sotto l’episcopato del suo predecessore (Teatro, residenza, ristorante … senza contare l’ex seminario da tempo “vuoto” di vocazioni).
La secolarizzazione della realtà cilentana che comprende due grandi città, Capaccio Paestum e Agropoli, ed altri comuni popolosi come Castellabate, Ascea, Casal Velino, Pollica, Centola, Camerota … e una lunga lista di piccoli borghi svuotati di residenti giovani con una popolazione fatta di pensionati attaccati alle parrocchie che funzionano a scartamento ridotto con sacerdoti, anche loro anziani (la maggioranza supera i 70 anni), che girano come trottole per garantire almeno una S. Messa alla settimana e l’estrema unzione a chi lascia questo mondo.
In questo parziale ma significativo quadro si è sviluppata l’opera pastorale di Ciro Miniero negli anni che lo hanno visto protagonista della vita della diocesi affidata alle sue cure.
Le aspettative erano molte essendo lui relativamente giovane (era un cinquantenne) quando prese su di sé l’onere di reggere la diocesi. Non tocca a noi valutare l’impatto che ha avuto la sua opera pastorale in campo religioso …
È lecito oggi, al momento del suo addio al Cilento, cogliere l’occasione per fare un bilancio “laico” su come ha trovato il Cilento e come lo lascia.
A distanza di 10 anni, il territorio della diocesi che ha retto Monsignor Miniero ha vissuto molti cambiamenti: l’ASL è stata soppressa come entità autonoma, Il Parco del Cilento, Vallo di Diano e Alburni è decaduto nella considerazione dei residenti ed anche dei sindaci che compongono l’assemblea della Comunità del Parco; le Comunità Montane hanno perso peso specifico; il polo fieristico di Vallo è chiuso; l’ospedale è diventato un posto di passaggio per medici e primari, i Piani di zona esistono più per dare sicurezza a chi vi lavora e che per organizzare l’assistenza alla popolazione anziana per consentire la permanenza nelle proprie abitazioni …
In questo quadro “desolante” la Diocesi era ed è l’unico punto di riferimento con una base di popolazione in grado di parlare all’intero territorio sia relativamente alla vita spirituale sia a quella sociale ed economica. Avrebbe avuto l’autorevolezza per sollecitare, indirizzare, sottolineare, invitare, organizzare, presidiare, consigliare … chiamare a raccolta!
In molti casi eccezionali è stato fatto! Ma è cosa diversa “mobilitare” la coscienza collettiva, che non è mai solo la somma di quelle individuali, presuppone un lavoro continuo e incisivo. Il confronto fatto sotto l’egida della diocesi e del pastore che la governa avrebbe lasciato meno spazio ai soggetti preposti ad occuparsi del territorio e di chi vive all’improvvisazione. All’istituzione, alla quale la maggioranza dei residenti riconosce un ruolo di guida spirituale e morale, sarebbe stato dato ascolto se avesse indicato una strada che porta al futuro la comunità.
Dopotutto, anche la convocazione del Sinodo mondiale della Chiesa cattolica fatta da Papa Francesco, ha visto una partenza lenta e poco ispirata nella diocesi di Vallo della Lucania. Nell’introduzione c’è scritto: “Lo scopo del Sinodo non è produrre documenti, bensì far germogliare sogni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, imparare l’uno dall’altro e creare un immaginario positivo che illumini le menti e scaldi i cuori.”
Nell’opuscolo, consegnato ai parroci, si “vola” basso su ogni questione, non c’è una vera e propria “chiamata” a prendere parte né verso le varie componenti istituzionali della comunità ecclesiastica né verso la società civile che ormai si muove senza remore su strade divergenti dalla religione.
Ma anche all’interno del circuito diocesano non è andata meglio: “da metà febbraio a metà marzo la fase di ascolto prevista dal cronoprogramma sinodale ha visto la partecipazione di 93 parrocchie sulle 140 attive nella diocesi”. Nel libretto dal titolo “Per una chiesa sinodale” c’è un capitolo dal titolo “Il dialogare nella Chiesa e nella società” si riconosce che la “Chiesa deve essere in costante dialogo con la società civile e deve promuovere azioni comuni …”
Gli unici momenti che vede le comunità locali agli eventi religiosi sono quelli legati alle feste patronali che, per la verità, assomigliano sempre più ad eventi concertistici e a spettacoli pirotecnici tesi più a soddisfare bisogni effimeri che il tempo ha resi persino superflui che non a manifestare la devozione nei confronti del “santo” portato in processione.
Ecco perché lascia l’amaro in bocca il fatto che oggi, dopo circa 11 anni di presenza del vescovo Ciro Miniero sul territorio, ci dobbiamo sentire più soli rispetto a quanto eravamo spaesati il giorno in cui prese possesso del seggio episcopale.
Il suo successore, quando arriverà, dovrà rimboccarsi le maniche e partire da dove Miniero ha lasciato il suo “seggio” con un clero invecchiato di 10 anni, con una popolazione dove la percentuale dei residenti ultraottantenni è aumentata; con le differenze di servizi tra chi vive sulla fascia costiera e chi è confinato nei piccoli borghi collinari e pedemontani con servizi sociosanitari sempre meno efficienti; con la secolarizzazione delle giovani generazioni che avanza inesorabile attratte dai nuovi e alternativi “stili” di vita.
La comunità diocesana ha gioito con il suo vescovo che è stato elevato al ruolo di arcivescovo, pregherà affinché a Taranto venga accolto con lo stesso entusiasmo con il quale fu festeggiato a Vallo della Lucania, imparerà a seguirlo da lontano nello svolgimento della sua attività pastorale, e si preparerà ad accogliere il suo sostituto con la speranza che possa poterlo seguire sulla via che vorrà indicare da buon “pastore”.
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