La violenza, sotto mille forme, esplode in tante parti del mondo. A migliaia sono morti solo in questo anno, spontaneo il lamento del profeta Abacuc: “Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?” La risposta trova fondamento nella considerazione che Dio non sta dietro la porta pronto a intervenire nelle vicende umane secondo il bisogno immediato di ciascuno; è un Dio santo, superiore al tempo. Egli segue e stimola perché si faccia buon uso della libertà; non misura le vicende col metro del nostro tempo.
Gesù è diretto a Gerusalemme, riferisce il passo evangelico di domenica scorsa, e noi siamo invitati ad accompagnarlo per dimostrare, come Paolo ricorda a Timoteo, che non abbiamo ricevuto “uno spirito di timidezza, ma di forza, amore e saggezza”. La liturgia propone di riflettere sul capitolo XVII di Luca nel quale si tratta il problema dello scandalo (17,1-3a), si riceve l’invito alla correzione fraterna (17,3b-4), si esalta la forza della fede (17,5-6) e la necessità di sentirsi servi inutili (17,7-10). Gli apostoli chiedono di essere aiutati a fare un balzo in avanti nella fede, consapevoli che con le sole loro forze non potranno essere buoni discepoli.
“Accresci la nostra fede!”, l’invocazione dimostra quanto siano consapevoli dei limiti e bisognosi di un intervento del Maestro. Gesù ha appena proposto una missione che appare impossibile; infatti, alla domanda “quante volte devo perdonare?”, risponde “fino a 70 volte 7”! Spontanea la richiesta: accresci la fede o non ce la faremo. Ma Egli non esaudisce la preghiera perché non tocca a Dio aggiungere la libera risposta della fede, precisa: ne basta poca per ottenere risultati sorprendenti e porta come misura un granello di senape: l’infinito si rivela nel piccolo, è la logica dell’Incarnazione. Gesù propone qualcosa che secondo il nostro buonsenso risulta impossibile: la fede può sradicare un gelso? Quale l’utilità di un albero trapiantato in mare? Paradossi, come tanti da Lui usati per suscitare meraviglia e consolidare l’attenzione.
Se i discepoli avessero fede quanto il piccolissimo granello di senape potrebbero aver ragione di difficoltà che sembrano insuperabili. Quando si tratta di fede non è mai questione di quantità, ma di qualità, fidarsi di Dio e del suo piano di salvezza. Un briciolo di fede autentica mette sulla via del Signore, fa vivere in sintonia con Lui. Alcuni credono di aver fede solo perché praticano riti; ma non è la fede sollecitata da Gesù; è un surrogato. Quella vera è totale affidamento, apertura fiduciosa e responsabile alla Parola per conformarvi la propria vita.
Nel brano del Vangelo Gesù introduce anche il discorso del servo senza diritti di fronte al padrone, espressione che suscita qualche perplessità se non comprendiamo cosa egli vuol dire nel far riferimento al costume e alla mentalità del suo tempo. Egli utilizza il paragone per affermare che ciò che siamo, ciò che realizziamo di buono e di utile proviene da Dio, fonte di bontà e misericordia. Possiamo allora pretendere ricompense? Chi ha veramente fede si affida a Dio senza accampare pretese, apre il cuore alla gioia per la misericordia che Cristo continuamente elargisce.
Questa affermazione di Gesù contribuisce ad arricchire il Vangelo della piccolezza e dell’umiltà che ha fatto grandi i santi, come Teresa e Francesco. La fede si misura per la capacità di fare spazio a Dio nella vita divenendo piccoli e docili; come un granello di senape appunto, che ha in sé la capacità di produrre alberi. La certezza della presenza di Dio, la sicurezza dell’amore misericordioso, la confidenza nell’abbraccio del Padre, il perdono incondizionato sono i frutti che fanno crescere la fiducia e legano al Signore con salda amicizia.
La potenza della fede proviene dalla certezza che è Dio ad operare. Vivere di fede significa comprendere che nella vita non sono io l’attore unico della mia storia, con me c’è il Signore; indispensabile, perciò, riscoprire che la fede non è pensiero, sentimento, emozione, ma familiarità col Lui, frequentazione della Parola, esperienza del suo amore, presenza nell’apparente assenza, saper parlare con una Persona che non vedo, relazionarsi e accogliere i suoi consigli, dialogare con un silenzio che fa risuonare la sua voce perché Dio, come afferma Agostino, è “più intimo a me di me stesso”. Da questa fede procede il servizio, oggetto della seconda parte del brano evangelico (17,7-10), non umiliante servilismo, ma gesto d’amore, servi inutili perché non si cerca il proprio utile con rivendicazioni o pretese. Del resto, servo è il nome che Gesù ha scelto per sé ritenendolo l’unico modo per dare inizio a una storia diversa, che umanizza, libera, pianta alberi nel mare e fa crescere foreste nel deserto. Servi inutili nel senso che la forza che fa germogliare non è nelle mani di chi semina, ma nella Parola perché, come prega un poeta: Noi siamo i flauti, ma il soffio è del Signore.
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