Tema della liturgia della Parola della scorsa domenica, sedicesima dell’anno, é l’ospitalità e l’accoglienza enfatizzato nella I e III lettura, modo per riprendere il discorso sul prossimo da amare in una continuità che lo descrive come amore che ospita, capace di accogliere nei modi più diversi chi bussa alla porta del cuore. Le motivazioni sono sintetizzate considerando chi si riceve perché nel forestiero è celato il Signore.
“Io sto alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, entrerò presso di lui per rimanere io in lui e lui in me”(Ap 3,20). Queste parole dell’Apocalisse manifestano il desiderio di Dio di venire da noi per ristabilire un vero rapporto di amicizia. L’ospitalità e l’accoglienza sono esaltate dalla liturgia, che riprende il discorso sul prossimo da amare e da accogliere. Non è galateo, ma un’azione squisitamente religiosa perché nel forestiero che si riceve è celato il Signore, esperienza di Abramo nella prima lettura (Genesi 18, 1-10). Egli accoglie tre misteriosi ospiti e manifesta la sua fede con premurose azioni concrete. Il racconto della visita di Dio ad Abramo invita ad accordare al Signore l’ospitalità non tanto delle case quanto del nostro cuore. In Gesù Dio è diventato uno di noi ponendo la tenda in mezzo a noi. Egli gradisce essere ospitato; noi lo facciamo soprattutto quando accogliamo coloro che annunziano la sua parola (Mt. 10,40), i bambini (Lc. 9, 48) e bisognosi o deboli con i quali Gesù s’identifica (Mt. 25, 34-40). Il frutto dell’accoglienza va al di là di ogni speranza umana, perché “a quanti lo hanno accolto, Gesù ha dato il potere di diventare figli di Dio”.
Il Vangelo invita a riflettere sull’ospitalità che Marta e Maria riservano a Gesù (Lc 10, 38-42). Marta invita un amico stanco per il viaggio e si carica di tutti i doveri dell’ospitalità anche per il seguito che lo accompagna. Indaffarata, rimprovera Maria sedutasi ad ascoltare l’amico famoso. Gesù, attento osservatore, è consapevole del lavoro che assilla Marta, affannata “per troppe cose”. Il suo è un cuore generoso, ma vive il momento in agitazione per cui non nota cosa veramente Egli gradisce; non vuole Marta nel ruolo subalterno dei servizi domestici, intende condividere con lei i frutti migliori di una relazione di amicizia, come Maria, che ha scelto “la parte buona”, felice per la vicinanza del Maestro, che non cerca servi, ma amici (Gv 15,15). Maria Gli partecipa sentimenti tipicamente umani: affetto, bontà, tenerezza; quindi se Marta è l’icona dell’aiuto, Maria lo è dell’ascolto, pronta a far compagnia.
Noi necessitiamo di entrambe le cose offerte dalle due sorelle, ma Gesù esprime la sua preferenza. Le due donne aprono il cuore all’accoglienza svolgendo compiti diversi: Marta prepara il pranzo, Maria intrattiene l’ospite. Marta, indaffarata a predisporre cose, presta meno attenzione e Gesù la invita a mutare atteggiamento interiore, superare la tentazione del fare col rischio di dimenticare di ascoltare la parola di Dio e illuminare la propria esistenza. Egli non è un ospite muto.
Oggi molti sono disposti a dare cose, diminuisce il numero di coloro che sono disposti ad ascoltare; i vorticosi ritmi quotidiani riducono sempre più tempo e opportunità. Gesù sollecita invece la disponibilità all’ascolto, a prestare attenzione a cosa dice l’altro per consolidare le relazioni interpersonali. Alla mancanza di ascolto spesso deve attribuirsi il fallimento del matrimonio, il disgregarsi delle famiglie, la fine di amicizie. Gli stessi vescovi e i preti, se intendono svolgere la loro missione secondo l’esempio di Gesù, devono saper ascoltare soprattutto i più lontani. Possiamo trasformare noi stessi e il mondo prestando attenzione alla voce di Gesù che sollecita l’intimo della coscienza. Dio si fa nostro ospite per parlare al cuore; apriamoci, dunque, all’ospitalità.
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