L’immagine di Dio, non nella solitudine individuale, e l’umanità riconciliata, una pur nelle sue diversità, sono stati gli spunti di riflessione per la festa della SS. Trinità celebrata domenica scorsa. La Trinità, sintesi della nostra fede, oscura per la mente è luminosa per la vita che siamo chiamati a vivere nel vortice dell’amore. Non è una formula astratta se ci chiediamo che valore ha rispetto ai problemi di ogni giorno. La rivelazione cristiana non parla di Dio in se stesso. L’unica via per conoscere il vero Dio é la nostra vita trasformata dalla sua presenza. Il mistero della Trinità è, quindi, luce che s’irradia in tutte le trame della nostra esistenza. Strutturata in intimo rapporto con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo per questo il segno di croce, se è gesto consapevole, esprime un vero orientamento di vita.
La rivelazione di Dio è stata progressiva con tre grandi tappe. La prima può essere titolata Dio prima di noi. Egli ci ha amati ancor prima che esistessimo e ci ha creati per amore. Si fa notare che coltivare la terra e adorare Dio in ebraico sono indicati con lo stesso verbo: abad, simile al latino colere, donde la parola culto. Attraverso l’alleanza Egli diventa Dio davanti a noi, seconda fase della rivelazione con l’uscita dalla terra di schiavitù, quando cammina davanti al popolo nel deserto e lo libera. Insomma, Dio appare come l’amore alla sorgente, crea, prevede, prepara, rende possibile il cammino dell’uomo verso la libertà e la felicità come si legge in Proverbi 8,22-31.
Il termine padre nel Vecchio Testamento appare piuttosto velato; acquista nitidezza e splendore nella figura e nell’opera di Gesù, che si attribuisce il nome di figlio e ripetutamente parla del “padre suo e del padre nostro”, seconda tappa della rivelazione. Gesù, figlio vero del Dio, è l’Emanuele e nel Figlio incarnato Dio viene in mezzo a noi, tempio definitivo. La presenza del “Dio con noi” non è invadente perché “è in mezzo a noi come colui che serve” (Lc, 22,27), che libera, salva, dà speranza, certezza della vittoria. A proclamarlo è Paolo nella lettera ai Romani.
Il Dio dentro di noi, lo Spirito Santo, specchio fedele della rivelazione di Gesù, fa capire ai cristiani la responsabilità di costruire un mondo nuovo, in una crescente giustizia e libertà; aiuta a superare le divisioni conseguenza di prospettive, situazioni ambientali, temperamenti diversi; cerca il “noi” della comunità, artefice della comunione. Insomma, lo Spirito Santo opera tra noi ciò che compie nell’ambito della Trinità: amore del Padre e del Figlio e con il Padre e il Figlio è una sola realtà divina. Tra gli uomini egli àncora all’amore che unisce a Dio e fa essere una cosa sola. Così la Trinità si riflette nella nostra vita e nella nostra storia: il Padre è Dio prima di noi, ci ha amati prima ancora che fossimo e ci dona un mondo da rendere ancora più bello; il Figlio è Dio con noi: colui che, diventando compagno di viaggio, si mette al nostro servizio per liberarci dalla schiavitù del peccato; lo Spirito Santo è Dio dentro di noi” e ci fa essere lucerna posta sul candelabro, città situata sul monte.
Noi ricordiamo tutto ciò quando nel segno di croce affermiamo la nostra fede nella Trinità. Se esistiamo a immagine e somiglianza di Dio, allora quanto affermiamo nel dogma non è fredda dottrina, ma esperienza della sapienza del vivere. Il nostro animo è specchio e senso ultimo dell’universo nel legame di comunione. Il Signore affida il mondo all’uomo perché lo custodisca e lo coltivi in modo da farne un giardino, come quello dell’Eden; perciò non bisogna avere paura di Dio. Egli non vive nella solitudine della sua perfezione, ma è continuo flusso di amore, casa aperta ed invitante per noi. Ecco la Trinità! Ci fa raggiungere la piena umanità nella comunione; ci chiama per creare legami, dono di amore per noi tutti, felici di sentirci abbracciati dentro il vortice d’amore che è il Padre creatore, il Figlio salvatore, lo Spirito sapienza che rende sapida la vita.
Una riflessione attenta, aiutata dalla fede, consente d’illuminare la vita approfondendo l’idea di Dio. Si supera il concetto di monade immersa nella solitudine di una potenza infinita, come hanno scritto i filosofi alla ricerca di un Dominatore ragione di tutte le cose. Grazie alla rivelazione di Gesù noi cristiani crediamo che dire Dio è dire relazione trinitaria e così si afferma che Egli é amore plurale. Noi tentiamo di descriverlo, ma le nostre parole risultano poco efficaci rispetto ad un mistero che rimane appunto ineffabile. Ancora oggi l’intuizione di Agostino, che fa riferimento al Padre Amante, al Figlio Amato e allo Spirito Amore tra i due, appare il più adeguato tentativo di spiegazione, riassunto da san Bernardo con la poetica espressione del bacio circolare ed eterno. Essa ha trovato riscontro plastico e pittorico nella famosa Icona russa di Andrej Rublev, il monaco figlio spirituale di San Sergio. Proprio il rimando a questa opera d’arte conosciuta a Mosca come l’icona delle icone dovrebbe convincerci della bontà di una storia di fratellanza tra culture e civiltà per anelare ad una pace duratura.
Questo opera trasuda di teologia e bellezza. Rappresenta i tre angeli in visita ad Abramo, come si legge nel primo libro della Bibbia. Per l’artista Dio rivela la sua natura di provvida misericordia nel visitare gli uomini e propone la riflessione sulla unità e la distinzione delle tre Persone della Trinità. Egli le inserisce in un movimento circolare che richiama l’idea di eternità. E’ la perfezione dell’amore eterno, quindi senza inizio e fine, come appunto indica il cerchio. Rublev rende tutto ciò con estrema delicatezza grazie al movimento degli sguardi dei tre angeli rappresentati nella loro uguaglianza dal colore azzurro, degli scettri e dei volti simili mentre, grazie sempre ai colori, descrive la differenza tra Persone. Infatti, il mantello del Padre, Dio invisibile, è reso con un trasparente bianco rosato, quello del Figlio col rosso che evoca il sacrificio, mentre il verde dello mantello dello Spirito invita a riflettere sulla sua funzione nel preservare la natura ed il mondo. Anche la postura dei tre si trasforma in una riflessione teologica sulle Persone: il Padre è disegnato eretto ed immobile, con lo sguardo inclinato verso di lui il Figlio, il quale poggia la mano sulla tavola e con due dita ricorda la sua duplice natura. Centro della composizione è la coppa nella quale pare intravedere l’agnello pasquale. Essa viene riproposta se ci si concentra sui profili interni dei due angeli a destra e sinistra. In tal modo l’artista esalta il sacrificio del Figlio, essenza dell’amore trinitario. La contemplazione della icona fa lentamente cogliere il movimento circolare che sollecita ad entrare nella logica del sacrificio eucaristico. Infatti, si intravedono in alto un edificio, che vuol ricordare la chiesa, ed una quercia, evidente simbolo della croce, invito pressante a sentire la bontà della comunione espressa nella sua perfezione da quella trinitaria e qui in terra grazie all’eucarestia. L’amore diventa quindi una dinamica presenza in ogni famiglia o comunità quando si è e ci si percepisce come icona di Dio Trinità. Allora emerge la meraviglia incantata di fronte alla scoperta che Dio è Abbà, cioè Padre, o meglio Papà, termine usato nell’intimità familiare che non ridimensiona la dignità sacrale, ma la esalta perché l’avvicina al nostro comune sentire.
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