La Galleria Lia Rumma di Napoli inaugura la nuova mostra personale di Marina Abramović che segna il ritorno dell’artista in città.
La mostra coincide con il tour della prima opera lirica scritta, diretta e interpretata dall’artista serba, dal titolo 7 Deaths of Maria Callas, che andrà in scena in anteprima italiana al Teatro di San Carlo di Napoli (13-15 maggio 2022).
Sette eroine tragiche della lirica, rese immortali grazie alle interpretazioni della divina Maria Callas, rivivono nel corpo e nei movimenti di Marina Abramović: Tosca, Carmen, Violetta (La Traviata), ChoCho-San (Madama Butterfly, Lucia (di Lammermoor), Norman e Desdemona (Otello).
La regina della performance indossa l’abito della regina della lirica in un’opera totale divenendo un faccia a faccia tra due grandi artiste. «Da 25 anni – racconta Marina Abramović – desideravo creare un’opera dedicata alla vita e all’arte di Maria Callas. Ho letto tutte le biografie su di lei, ascoltato la sua voce straordinaria e guardato le registrazioni delle sue esibizioni. Come me era un Sagittario, sono sempre stata affascinata dalla sua personalità, dalla sua vita e dalla sua morte. Come tanti dei personaggi che ha interpretato sul palco, è morta per amore. È morta di crepacuore» (Marina Abramović, 7 Deaths of Maria Callas, Damiani Editore).
Negli spazi della Galleria Lia Rumma, come in un coro di dolore, si rivive il dramma delle sette morti, attraverso la videoinstallazione Seven Deaths, tratta dall’omonima opera teatrale.
«Le donne soffrono in eterno per amore e in eterno muoiono in tanti modi. È un tema che, a me come donna, sta molto a cuore. Il mio lavoro è molto “emozionale”, tocca l’amore, la morte, il dolore, la sofferenza, la perdita, il tradimento: temi di cui è fatta l’arte», continua la Abramović. Ed è su questo fil rouge che s’inseriscono le altre opere fotografiche presenti in mostra: Artist Portrait with a Candle (B), 2012; Holding the Skeleton, 2008/2016; il dittico Portrait with Skull (EyesClosed), 2019; e per finire la più recente The Jump, 2022, in cui Abramovic impersona Tosca nel gesto finale dell’opera, ambientata qui in un contesto urbano contemporaneo.
A più riprese l’artista ha utilizzato lo scheletro come suo compagno di viaggio, o elementi come il teschio e la candela, per esorcizzare anche la propria mortalità, dando vita a tanti “memento mori” che sembrano evocare vanitas seicentesche arricchite da un crudele gioco tra Eros e Thanatos.
Una stanza della galleria accoglie l’installazione Black Dragon (1990) composta da cristalli di quarzo montati a parete che invitano chi si avvicina a interagire con loro per sentire l’energia che emanano. Sono gli “oggetti transitori” della Abramović, che non sono semplici sculture da guardare, ma oggetti “performativi” in grado di innescare uno scambio di energia tra l’opera, l’artista e il pubblico, che viene così invitato a prendere parte attiva alla mostra non più come solo spettatore.
BIOGRAFIA
Marina Abramović è nata a Belgrado nel 1946 e si è formata nelle accademie della sua città natale e a Zagabria. Fin dall’inizio della sua carriera, Marina Abramović è stata una pioniera della performance art, creando alcune delle opere più importanti di questa forma d’arte. Esplorando i suoi limiti fisici e mentali, ha sopportato dolore, stanchezza e pericolo, alla ricerca di trasformazione emotiva e spirituale.
L’unione professionale e sentimentale tra Abramović e Uwe Laysiepen, meglio conosciuta come Ulay, risale alla metà degli anni ’70. Durante la collaborazione più che decennale, i due artisti hanno dato vita a spettacoli indimenticabili, vere pietre miliari, incentrate sui temi della sofferenza, vista come un percorso catartico necessario (Relazione in movimento, Biennale di Venezia, 1976), o dell’amore, ripercorse attraverso una serie di scatti fotografici che ritraggono la coppia in pose teatrali (Anima mundi e Modus vivendi ecc.). L’ultimo progetto creato con Ulay è stata La Grande Muraglia, dopo di che Abramović ha continuato la sua ricerca indagando, attraverso la scultura, l’energia di elementi naturali come pietre e metalli, i cosiddetti “oggetti transitori”.
Nel 1997, alla 47a Biennale di Venezia, Marina Abramović è stata insignita del Leone d’Oro per la sua opera Balkan Baroque, una rozza denuncia degli orrori perpetrati durante la guerra nei Balcani. Dopo molti decenni di attività, nel 2010 Abramović ha avuto la sua prima grande retrospettiva negli Stati Uniti e, nello stesso anno, si è esibita per oltre 700 ore in The Artist is Present al MOMA di New York, una performance coinvolgente in cui l’artista, con la sua semplice presenza, diventa arte.
L’artista ha anche fondato l’Istituto Marina Abramović (MAI), una piattaforma per il lavoro immateriale e duraturo, destinata a creare nuove possibilità di collaborazione tra pensatori di tutti i campi. La sua pubblicazione più recente è Walk Through Walls: A Memoir, pubblicata da Crown Archetype nel 2016.
La retrospettiva dedicata all’artista, intitolata The Cleaner, è stata inaugurata al Moderna Museet di Stoccolma nel 2017 ed è stata ospitata in altre sette località europee, per poi concludersi, nel 2019, al Museo d’Arte Contemporanea di Belgrado. Il 30 marzo è stata inaugurata la mostra personale Memory of Being presso la Kaunas Picture Gallery, in occasione della capitale europea della cultura 2022.
Nel 2023 Marina Abramović presenterà la mostra personale After Life alla Royal Academy of Arts di Londra. Sarà la prima donna nei 250 anni di storia dell’istituzione ad occupare l’intero spazio della galleria con il suo lavoro.