Romolo, ci conosciamo da più di 20 anni, tra viaggi e concerti insieme un po’ ovunque, non ti ho mai chiesto questa cosa: com’è iniziato il tuo amore per la musica e ovviamente per la tua chitarra?
A casa mia è sempre stata presente della musica, mio padre ne ascoltava molta, soprattutto quella che proveniva dagli States, quindi molto blues, Rockabilly. Quando frequentavo la scuola a Salerno negli anni ’90, durante un’occupazione, un ragazzo portò una chitarra e si mise a suonare, la cosa mi piacque molto che mi spinse a chiedere ai miei genitori di comprarmi una chitarra. Non ti nascondo che i miei primi tentativi furono del tutto fallimentari, al punto di abbandonare lo strumento in un angolo per un anno o qualcosa più. Successivamente feci un nuovo tentativo e vedevo che mi riusciva meglio, probabilmente mi ero posto mentalmente in modo diverso. La cosa importante è che da quel momento io e la chitarra non ci siamo più separati.
Hai avuto modo, nel corso della tua lunga esperienza, di attraversare come “attore protagonista” diverse fasi evolutive della musica pop/rock, quali sono state le differenze tra questi decenni andati?
Bella domanda! Quello che ho potuto notare è che negli anni ’70, il motivo per cui si faceva musica era molto relegato ad un concetto spirituale che pian piano è andato a sfumare. Ti parlo per quello che riguarda la mia esperienza e il mio gusto musicale affine al Rock, che al tempo si affacciava nell’esplorazione di “nuovi mondi”. Negli anni ‘80 ci si è conformati a culti diversi, i musicisti erano ragazzi cotonati e truccati, molto bravi soprattutto tecnicamente. Poi con l’arrivo degli anni ‘90, il periodo nel quale ero diciottenne, è uscito il movimento del Grunce che mi ha letteralmente sconvolto la vita. Condividevo quel modo di vivere, oltre allo stile musicale, il Grunce era un discorso di vita reale e si contraddistingueva per questo. I musicisti, senza mezzi termini erano veri sia fuori dal palco, sia sul palco. Parliamo del periodo dei Nirvana, dei Pearl jam e di tanti altri gruppi di allora, quasi tutti provenienti da Seattle. Ecco, gli anni ’90 in tal senso possono essere considerati come un ritorno degli anni ’70. Quello che è arrivato dopo è sotto gli occhi di tutti.
Voci di corridoio mi dicono che stai lavorando a qualcosa di importante. È vero?
Si. Sto cercando di terminare un lavoro personale, cioè il mio disco da solista. Per ogni musicista la massima aspirazione e anche la più gratificante è quella di fare musica propria, anche se magari per una vita suoni per altri. L’idea è stata partorita in piena pandemia, anche se è una cosa che ho avuto sempre in mente, ma che per mancanza di tempo o anche per via del mio carattere un po’ insicuro ho tralasciato. Sto cercando di andare avanti e sono a buon punto, è quasi tutto terminato. Rimanete sintonizzati!
Oltre a questo, stai seguendo altri progetti?
Ho suonato per anni con diversi progetti, sia di cover che di inediti. Nel momento attuale ci sono un po’ di cose che mi capita suonare live in ambito cover eseguendo repertori di Lucio Battisti, Lucio Dalla e diversa musica Disco. Tra gli inediti invece, sono impegnato con Marco Bruno e i Namarà; mi piace molto il suo genere che è una mistura tra musica popolare e il Rock. Collaboro anche con diversi gruppi di musica etnica e poi i Tristema, un gruppo con il quale facciamo del Rock dal 2007. Abbiamo all’attivo tre dischi ed è praticamente un po’ la mia seconda famiglia, stiamo insieme da molto tempo ed è un progetto che ci ha portato delle belle soddisfazioni, peccato che da due anni è un po’ tutto fermo, ma riprenderemo alla grande.
Pertanto sto collaborando con alcuni amici nell’organizzare un evento che si terrà il 9 e il 10 luglio prossimo a Battipaglia, il “GuitarSciò” – la prima manifestazione al Sud interamente dedicata alla chitarra. Saranno due giorni di pura musica con la presenza di grandi chitarristi come Andrea Braido, Paul Gilbert, Matteo Mancuso e tanti altri.
Qual è stata la soddisfazione più grande nell’arco della tua carriera?
Indubbiamente con i Tristema nel lontano 2010 a Bologna in occasione del “Futurshow”, abbiamo aperto il concerto di Vasco Rossi; partecipammo ad un concorso in cui il premio era appunto, l’esibizione al concertone. È stato bellissimo perché la sensazione era analoga a quella di essere famosi. Quando abbiamo suonato il palazzetto era ovviamente pienissimo e ci si immaginava che erano tutti lì per noi. Prima di iniziare ci dissero non fate caso al pubblico, se casomai dovessero fischiarvi, hanno fatto così con tutti, anche con nomi importanti che avevano precedentemente aperto un concerto di Vasco, “Il pubblico vuole solo Vasco!” Questa cosa ci fece salire sul palco anche un po’ intimoriti, ma fortunatamente non accadde nulla, andò tutto bene e fummo anche apprezzati. Un’ esperienza incredibilmente allucinante.
Al Cilento da un punto di vista lavorativo, oltre che artistico musicale, cosa manca? Quale sarebbe per te, una soluzione per agevolare una crescita comune?
Il Cilento ha molto da offrire su diversi aspetti, anche dal punto di vista musicale. Ci sono molte realtà anche interessanti che potrebbero offrire un grosso contributo, ma c’è un problema principale da superare, tra di noi si fa poca comunione e non ci si aiuta. Dico sempre la stessa cosa, se non ci aiutiamo tutti per raggiungere un fine comune, cioè quello di incrementare ed esportare anche musica e non solo prodotti, è difficile che singolarmente ci si riesca. L’unione fa la forza!
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