La liturgia della terza domenica di Pasqua ha invitato a riflettere su come dalla fede pasquale del Cristo risorto scaturisca il senso vivo della Chiesa comunità missionaria, occasione per considerare la metodologia sinodale. Nella prima lettura viene esaltato il coraggio della testimonianza cristiana: “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”, il Signore parla attraverso la voce della coscienza (Atti 5,27b-32.40b-41), una felice opportunità per procedere come Pietro. Pochi giorni prima aveva detto: “non lo conosco”, ora coraggiosamente egli risponde testimoniando i valori evangelici della dignità, libertà, apertura all’infinito. Accetta la vocazione di figlio di Dio e Gesù intesse un dialogo con lui. Nella prima domanda che gli rivolge adopera il verbo dell’agápe per sollecitare il massimo amore possibile; prudente e guardingo, l’apostolo risponde manifestando disponibilità all’amicizia. Gesù incalza e gli chiede di manifestare la personale misura di amore senza paragonarsi agli altri. Pietro ancora una volta risponde evocando solo sentimenti di amicizia. Il Risorto accetta la misura di amore di cui Simone è capace e, per sincerarsi, gli chiede: mi vuoi bene, mi sei amico? Almeno l’affetto, se l’amore mette paura! Gesù tralascia lo sfolgorio dell’agápe per scendere al livello dell’apostolo: non cerca la perfezione, gli basta l’autenticità.
E’ una virtù quanto mai necessaria, soprattutto per i collaboratori di chi è investito di potere. Per costoro è ancora valido il consiglio formulato nel Cinquecento dal teologo tedesco Melchiorre Cano in piena turbolenza scismatica. Egli invita a riflettere sui veri amici del papa e precisa: certamente non lo sono collaboratori adulatori, ma chi è capace di aiutare con la verità e la competenza culturale e umana. La riflessione scaturisce dalla lettura della sintesi diocesana relativa al lavoro sinodale svolto. Nella prima pagina si dichiara che scopo non era produrre dei documenti, tuttavia sembra che la finalità non sia stata raggiunta. Da una analisi sinottica dei testi emergono le rispondenze con i documenti prodotti dalle commissioni dell’ultimo sinodo celebrato nel XX secolo e con le relazioni di sintesi degli annuali convegni diocesani. Ci si diffonde nell’indicare situazioni, poco presente il riferimento pratico per risolvere i problemi. Si può convenire, come si legge a pagina 1, che è stata una esperienza “molto interesse”, ma più perché testimonianza della situazione diocesana e del grido represso di fare qualcosa perché la crisi si sta incancrenendo. Ad esempio, si asserisce che il sinodo è stata una finestra di partecipazione “anche per i lontani”. Ma è veramente così? I fedeli “compagni di viaggio” sono stati veramente oggetto dell’ascolto con l’opportunità di parlare chiaro nella chiesa e nella società. Per un fecondo discernimento occorre intessere discorsi tra persone fondati sul rispetto reciproco, che presuppone anche l’impegno, anzi il dovere a comprendere lealmente ciò che l’altro intende dire. Ebbene, la lettura attenta e partecipata della sintesi non aiuta a cogliere questi elementi. Sembra emergere un mediocrità e un grigiore per affermazioni scontate al punto da dare evocare la banalità dell’ovvio. Sarebbe interessante disporre di tutti i testi per poter considerare se questa sensazione emerga dagli elaborati di tutti i vicariati e delle relative parrocchie o sia frutto della mediazione dei collaboratori incaricati di amalgamare le relazioni.
Si auspica di discernere e decidere. Ne deriva la necessità di far emergere l’epikeia, concetto filosofico e giuridico teorizzato da Aristotele e presente nella teoria generale del diritto e, persino, in quello canonico. In tal modo si illumina il necessario discernimento per riconoscere i problemi, interpretarne le dinamiche ed operare adeguate scelte per delineare un itinerario per i singoli e per la comunità. Certamente non può tranquillizzare il fatto che sono stati istituiti gli organismi per sollecitare il dialogo. E’ stata veramente efficace l’opportunità di formarsi alla sinodalità? Sono stati abbozzati suggerimenti come, ad esempio, incrementare le opportunità per dinamizzare il ministero laicale, ma tra le opacità emerge il limitato coinvolgimento dei giovani, cioè di chi nei prossimi anni dovrebbe mettere in pratica le indicazioni sinodali. A questo proposito non si comprende perché, pur asserendo che si sono ascoltati gli studenti delle scuole superiori, nel testo finale non emerga chiara la loro posizione, auspici e pareri da loro espressi sulla chiesa locale. Hanno preso parte attiva al cammino sinodale, hanno indicato dove andare? Si sentono impegnati nel sociale e nella cosa pubblica? Intanto, mentre sembra prevalere un certo disinteresse per la situazione del clero, si sostiene che sono in aumento le vocazioni sacerdotali per nativi del luogo, ma non ci si chiede: se le parrocchie coinvolte nell’esperienza del sinodo sono state 93, che hanno fatto le altre 47?
La Chiesa locale che opera in un mondo che cambia si deve impegnare ad individuare persone religiose capaci di operare in un contesto di secolarizzazione, dove emergono pluralità nel credere. E’ l’agenda per il futuro di una chiesa locale disposta a cambiare per tornare all’essenzialità del vangelo e consolidare la necessaria speranza di bene. Ne deriva una particolare attenzione per il prete, che deve essere formato per fornire adeguati servizi alla comunità operando in sinergia con laici e laiche, ai quali conferire ministeri e dei quali valorizzare i carismi. Da tempo anche nella chiesa locale cilentana si sperimenta una crisi di partecipazione attiva che ha fatto precipitare la sua rilevanza sociale, culturale e spirituale. E’ una congiuntura che impatta con la capacità di annunciare il Vangelo per l’utilizzo di visioni teologiche ritenute inadeguate e rivelatesi obsolete, mentre la sua struttura gerarchica non si segnala per capacità di dialogo. Una diffusa stanchezza mina la certezza di un futuro. La difficoltà di parlare alle donne e agli uomini è determinata anche da una autoreferenziale comunità parrocchiale, legata a modelli del passato. Porre riparo a questa situazione dando vita a processi di cambiamento non è facile. Significa porre davvero al centro il Vangelo ed ascoltare la voce dei poveri, degli sfruttati, degli scartati, impegnandosi per la pace, la giustizia, la cura del creato. Si tratta di procedere ad un rinnovamento in grado di tener conto della convivenza di diversi modi di vivere dentro la Chiesa locale e valutare le conseguenze del processo di secolarizzazione. Ad esempio, occorre considerare chi si riconosce nella distinzione sociologica di “cristianesimo culturale”; non particolarmente interessato alle problematiche di fede e propenso ad un approccio individualistico: si partecipa al potere simbolico dei riti di “passaggio” senza coinvolgere le scelte personali, una presenza che interferisce poco con la vita parrocchiale, alla quale si affianca chi sollecita una innovata radicalità evangelica.
Il cammino sinodale offre la possibilità di realizzare “non un’altra Chiesa, ma una Chiesa diversa”, espressione di Congar riproposta da papa Francesco nel presentare il percorso, strumento provvidenziale se la Chiesa locale non solo ascolta ma opera scelte coraggiose, uscendo dall’immobilismo degli ultimi anni. Ad esempio, proprio per i problemi emersi circa la frastagliata realtà geografica e la cronica mancanza di clero, la Chiesa come comunità “territoriale” e la parrocchia come luogo del quale il prete è l’unico responsabile mostra evidenti segni di debolezza, quindi diverso e più maturo deve essere il ruolo dei fedeli, ai quali chiedere il contributo dei carismi, assegnando loro maggiore corresponsabilità e superando eccessive incrostazione storiche circa una divisione tra presbiteri e laici. La collaborazione di quest’ultimi diventa indispensabile per consentire alla chiesa veramente di uscire e costruire relazioni, praticare l’accoglienza, prestare attenzione, sfruttare occasioni per l’annuncio evangelico. Così saprà “diventare una Chiesa della vicinanza”, che pratica compassione e tenerezza, legami di amicizia con la società e il mondo per confermare la presenza di Dio nella storia dell’umanità.
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