Martedì 22 marzo 2022: il Presidente della martoriata Ucraina si collega con il Parlamento italiano per un incontro con i rappresentanti del popolo. Il Presidente Volodymyr Zelensky non è nuovo a questi “appuntamenti” istituzionali da quando la sua nazione è stata invasa dall’esercito russo. Ed ogni volta, con sapienza di chi sa come usare i mass-media, inserisce nei suoi interventi riferimenti storici precisi alle nazioni che lo ospitano, facendo, così, leva sui sentimenti patriottici delle singole istituzioni che lo ospitano. E’ certamente un modo di adoperare con sapienza i mezzi di comunicazione, dimostratisi importanti in questo sciagurato conflitto in cui si vede l’Orso russo invadere uno Stato sovrano, che però ha dimostrato di avere una forte identità nazionale ed una forte, eroica volontà di resistere alla prepotenza.
Orbene, ritornando al collegamento con il Parlamento italiano, il Presidente ucraino per spiegare la devastazione di Mariupol dopo i bombardamenti russi ha più volte nominato Genova. Zelensky ha infatti chiesto al suo pubblico di immaginare le persone scappare da Genova sotto i bombardamenti senza un minuto di tregua, centinaia di bambini morti e la città distrutta. Diverse sono state le risposte, più o meno plausibili che gli ascoltatori si sono date. Una è stata che durante la Seconda Guerra mondiale Genova fu pesantemente bombardata, dal mare e dal cielo: tra il 1940 e il 1945 le bombe distrussero 11 mila edifici, il porto industriale e furono uccisi 2 mila civili.
Una parte di ascoltatori ha accolto la citazione come una minaccia, come un cattivo auspicio che potrebbe far avvicinare la guerra, una minoranza invece ha preso la citazione come un complimento. “C’è ancora qualcuno che prende come riferimento la nostra città” ha, infatti, dichiarato il sindaco Marco Bucci a margine di un convegno della Cisl. Non va, tra l’altro, dimenticato che Odessa è gemellata con Genova e Mariupol con Savona.
Ma una analisi storico-culturale spiega diversamente la citazione, mettendo in luce una conoscenza del passato da parte del Presidente Zelensky, sapientemente pronunciata durante il discorso alle Camere.
A darne la spiegazione esatta è il prof. Fiorenzo Toso, genovese doc, docente di linguistica all’Università di Sassari e dialettologo: numerose sono le pubblicazioni di dialettologia nonché di storia linguistica e letteratura con edizioni di testi, su riviste scientifiche italiane e straniere. Particolare interesse lo studioso riserva ai fenomeni di contatto linguistico con speciale riferimento alle isole linguistiche del bacino del Mediterraneo, al dialetto ligure coloniale e in particolare al dialetto tabarchino.
Contattato telefonicamente, il prof. Toso ha spiegato: «Zelensky ha fatto riferimento a una città della stessa grandezza di Mariupol ed è ovvio che abbia citato Genova piuttosto che un’altra città perché nell’immaginario storico culturale degli ucraini e di tutte le altre popolazioni della zona, se si pensa all’Italia, tolte le grandi città, viene subito in mente Genova». E a spulciare la storia si scopre che la presenza genovese in Ucraina è molto antica. «In Ucraina – continua il professor Toso – c’è stata una presenza genovese che ha lasciato tracce ancora molto visibili, una realtà che inizia nel Medioevo e, tra alti e bassi, arriva fino all’Ottocento con la costante presenza genovese, per cui la citazione ha una sua ben precisa motivazione.»
La Storia, infatti, riporta che, a partire dal 1261, i genovesi contribuirono in maniera determinante alla ricostituzione dell’Impero Bizantino dopo la parentesi di un Impero “Latino” controllato di fatto dai veneziani fin dalla terza crociata. Per cui il territorio fu un possedimento genovese rimanendo tale per oltre duecento anni, fino alla caduta in mano ai turchi nel 1475.
«Per lunghi decenni, – scrive il professore Toso in un saggio – genovesi e veneziani si erano contesi l’accesso al Mar Nero, via d’acqua allora come oggi strategica per i commerci con l’Estremo Oriente. Col trattato del Ninfeo, Michele VIII Paleologo riportava la sua capitale da Nicea a Costantinopoli, riassumendo il controllo degli stretti che lo mettevano in comunicazione col Mediterraneo, e per ripagare i suoi principali alleati faceva del Mar Maggiore o Mar Grande, come allora veniva chiamato, un vero e proprio lago genovese. Genova ebbe dunque la meglio sui rivali veneziani per il controllo delle vie di comunicazione marittime che si aprono sulla Via della Seta, e così fu per oltre duecento anni, col Mar Nero solidamente controllato dalla Repubblica di San Giorgio, che installò lungo le sue coste numerosi insediamenti, empori, colonie commerciali e di popolamento».
E nei secoli successivi c’è sempre stata una costante di commercio con le città di Odessa e di Mariupol: i genovesi vi andavano costantemente, soprattutto per il commercio del grano. E’ noto che l’Ucraina è stata sempre considerata “il granaio d’Europa”.
E il professor Toso ricorda che «nei porti della Crimea dappertutto ci sono fortezza genovesi» E aggiunge che l’ambiente costiero era talmente affine a quello delle Riviere liguri, che i genovesi, nel rimodellare a loro uso e consumo l’ambiente urbano, arrivarono a ribattezzare con toponimi liguri interi quartieri, come il borgo di Bisagno a est della città di Caffa. «Era, come si diceva allora, “unn’atra Zenoa”, un’altra Genova.» In pratica la presenza dei genovesi era talmente forte che «riprodussero il loro stile di vita e le proprie istituzioni, praticandovi i loro commerci, arrivando a battervi moneta (l’aspro, con i simboli del loro Comune e quelli del sovrano dei tartari) e parlandovi, naturalmente, la propria lingua.»
Quasi a voler avvalorare quanto dice, il professore Toso riferisce di conservare delle cedole di assicurazioni risalenti al 1800 emesse ad Odessa, scritte in russo, in greco e in italiano. Poi aggiunge: «Nell’immaginario culturale degli ucraini Genova è una città molto più presente di tutte le altre città di media grandezza italiane. Per gli ucraini gli italiani sono identificati con i genovesi; è la cosa storica più logica che possa esistere».
Poi, da esperto linguista e soprattutto dei dialetti genovesi, spiega: «Quando lungo quella costa del Mar Nero e del Mar d’Azov vi erano una dozzina di città genovesi, nell’entroterra c’erano i tartari e si parlava la lingua tartara: ancora oggi in Ucraina vi è una significativa minoranza di popolazione tartara; gli slavi cioè gli ucraini sono arrivati dopo. Così a livello locale, tra i tartari e tante altre popolazioni che esistevano prima degli slavi, c’era una memoria molto forte della presenza genovese. A livello linguistico diversi studi dimostrano che ci sono parole genovesi presenti nella lingua dei tartari come la ‘berdiansa’, un tipo di grano proveniente da Odessa oppure, nella lingua dei tartari, la parola ‘mandillu’ per indicare il fazzoletto; ovviamente essendoci state diverse sovrapposizioni di popoli molto è rimasto più a livello di memoria storica».
Il 6 giugno 1475 l’importante città di Caffa dovette arrendersi all’assedio turco: fu la fine di una singolare e pluricentenaria esperienza di convivenza multietnica instaurata dai genovesi.
Oggi come ieri in quei territori ci si ammazza per un pezzo di terra, si rivendicano possessi in nome di antichi “diritti etnici e nazionali” dimenticando, spesso, che il passare dei secoli ha visto continui mutamenti di luoghi e territori, di paesaggi urbani e umani al punto tale che nessun popolo, forse, è davvero autoctono della terra che abita. Basta guardare al nostro piccolo circondario dove nei secoli si sono alternati etruschi, piceni, sanniti, greci, latini e giù sino a noi attraverso un miscuglio di razze, idiomi, culture che alla fine rafforzano l’evidenza di essere semplicemente e unicamente tutti appartenenti al genere umano.
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