Riconciliazione significa vedere la vita con gli occhi di Dio, il quale prende l’iniziativa perché è Padre. La liturgia della Parola della scorsa domenica ha invitato a riflettere sul dono di una patria, di una casa, di una personalità, tutti elementi da considerare per operare nell’unico modo umanamente razionale e ricercare finalmente la pace dopo un mese di bombe, distruzioni e doloroso esodo di innocenti.
Il Dio al quale rivolgersi perché illumini in questa tragica congiuntura è il “prodigo” padre della parabola raccontata da Gesù. Il suo amore non è permissivo o autoritario. Si comportano in questo pessimo modo genitori incapaci di instaurare con i figli rapporti che implicano dialogo e rispetto della libertà. Invece, il padre della parabola è costantemente attento alla vita dei figli, anche quando smarrimenti e fughe diventano palesi ribellioni. Il Padre che Gesù rivela non attende in casa che il figlio ritorni; va nella casa dei peccatori anche a costo di provocare la reazione dei benpensanti.
L’evangelista Luca precisa che nel figlio minore rilevante non è tanto il suo sperperare l’eredità ricevuta, ma il sentire la casa paterna una prigione e ingombrante la presenza del genitore. Andar via è considerata una possibilità per acquisire libertà e scrollarsi di dosso il peso di una ingombrante presenza. La decisione di ritornare del giovane si trasforma in conversione interiore non perché disposto a lavorare in casa come salariato, ma per aver compreso che lì si vive meglio, quindi non è lo scotto da pagare, ma la disponibilità a mutare mentalità, scelta che veramente redime. Questi sentimenti fanno emergere il contrasto col fratello maggiore, la cui personalità è un monumento di fredda e sterile inappuntabilità. Egli appare un burocrate del legalismo. Il suo distacco interiore e affettivo è espresso con le parole “questo tuo figlio”. Le parole racchiudono la malevola ironia verso il padre amalgamata col palese disprezzo per il fratello. Nonostante ciò, il padre tenta di ravvivargli un lumicino d’amore ricordandogli che a far ritorno è stato suo fratello.
Nelle psicologie dei due figli è descritto in modo mirabile la condizione umana che genera incomprensione e rende problematici, se non conflittuali, i rapporti. La spavalda sicurezza, mai incrinata dal dubbio, di chi ritiene di essere stato sempre corretto e, quindi, di avere ragione, rende impossibile ogni tentativo di dialogo e di necessaria conversione. Il figlio maggiore, convinto di essere sulla strada buona, è una inguaribile fariseo. Tronfio perché ritiene di essere nel giusto, egli non partecipa della gioia del padre, criticato perché ha accolto il fratello smarrito. Queste attenzioni lo rendono invidioso, condanna l’accoglienza in quanto ritiene che sia imperdonabile dilapidare le sostanze. Concentrato sulle cose, non considera le conseguenze dell’essersi allontanato da casa, dove invece egli è rimasto ma senza trarne effettivo giovamento per il suo animo. Sostanzialmente è un mercenario convinto che si stia meglio fuori. La rivendicata fedeltà di fatto è quella del servo perché non sa essere partecipe della gioia della casa, convinto che il fratello andava punito.
Il padre è, invece, il volto del vero Dio. Egli è prodigo di amore, non come lo descrivono scribi e farisei. Essere consapevoli che Qualcuno ci attende a casa, anzi è già per strada, pronto a venire incontro per abbracciare, è il vero significato del nostro pellegrinaggio verso la Pasqua.
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