Quarant’anni fa, il 19 marzo 1982, all’età di 69 anni, lasciava questo mondo Giovanni Carrano, noto a tutti come Giovannino, ceramista vietrese, ma soprattutto artista di un mondo dove la passione per la materia, l’amore per il decoro, l’immaginazione per l’innovazione sono elementi essenziali di un mestiere del quale Giovannino aveva fatto lo scopo della sua vita. Il suo essere artista significava vivere appieno, con serietà, una ricerca continua di segni, di immagini continuando l’uso di antichi colori. Come un compositore di musica che riesce a intrecciare le uniche sette note a sua disposizione in modo che comunque ne venga fuori una melodia, mai suonata prima, così Giovannino con i tradizionali colori del banchetto vietrese, riusciva a comporre sempre nuove armonie cromatiche, siano esse fantasiosi paesaggi locali o scene di quel mito, che ha avuto una importante presenza su queste sponde tirreniche con città appartenenti a quella che fu giustamente definita la Magna Grecia.
«Sono stato senza fanciullezza, privo di ogni divertimento» ricordava Giovannino in una sua memoria scritta quando ormai era un artista riconosciuto ovunque per quelle sue ceramiche che invogliavano alla contemplazione di un’armonia in movimento. Aveva iniziato a lavorare ad appena 14 anni e forse per questo era stato sempre chiamato Giovannino, un affettuoso diminutivo con il quale firmava le sue ceramiche. Racconterà, in seguito, che era il 1927, «una mattina di mercoledì, non ricordo esattamente il mese se gennaio o febbraio» quando entrò a lavorare alla fabbrica di Max Melamerson; l’imprenditore tedesco aveva da qualche mese fittato la vecchia fabbrica dei Della Monica a Marina e di quel ragazzo molto bravo gli aveva parlato “un vecchio pittore faenzaro”. Quella mattina lo misero subito alla prova; bastò poco e fu inserito tra i pittori, in piena autonomia: con naturalezza aveva fatto scivolare sullo smalto bianco memorie antiche, disegni colorati, tracciati sin da piccolo su fogli quadrettati, appesi sotto le volte a crociera della bottega da calzolaio del padre. In alcune note del 1977 scriverà: «Avevo occupato il lato destro della bottega e lì disegnavo per giornate intere. Avevo collocato i miei disegni uno vicino l’altro, fin sotto la volta della bottega, come un grande mosaico di quadri grandi e piccoli». Ed erano immagini del suo circondario: Marina di Vietri con la spiaggia, gli scogli, le case e le chiese, rimaste per tutta la vita nella sua anima semplice di artista.
La pittura era stata sempre il grande sogno di Giovannino, che pensava di frequentare l’Accademia di Belle Arti. Ma le contrarietà della vita non gli permisero di andare oltre la quinta elementare e, forse, la pittura aveva perso un artista, ma la ceramica di Vietri sul Mare di certo aveva acquisito uno dei suoi più importanti esponenti. Su pannelli, riggiole singole, vasi e altri supporti, Giovannino raccontava storie, miti, leggende, fede, vita quotidiana del suo paese, della sua terra: racconti veri, sentiti, che hanno per tempo l’eternità.
Aveva nove anni quando nella bottega del padre a Marina capitarono Günther Stüdemann e Richard Dölker, il quale fu subito attratto dai disegni del piccolo figlio del calzolaio e, dopo essersi congratulato, volle acquistare una Madonna in cornice, pagandola dieci lire: una bella cifra per quell’epoca. Poi invitò Giovannino ad andarlo a trovare nella sua faenzera dei Cioffi a Marina. «Lo andai a trovare un pomeriggio – ricordava – e mi piacquero molto i suoi lavori, però non pensavo mai di fare il ceramista». Anni dopo, quando il giovanissimo Carrano lavorava già alla Melamerson, arrivò Dölker quale nuovo direttore di fabbrica. L’incontro con Giovannino fu, per l’artista tedesco, una bella sorpresa: subito lo nominò capo pittore, ben conoscendo le sue capacità di dominare i colori e anche i pennelli ceramici, quelli a punta rasa e dai quali scaturivano immagini fresche, precise, con proprietà cromatiche straordinarie. Alla ICS (Industria Ceramica Salernitana) trascorse nove anni, ricordati sempre con grande affetto, anche se aggiungeva: «Pur essendo un grande imprenditore, Melamerson aveva un grande difetto: quello di non pagare con regolarità gli operai». Così nel 1935 andò a lavorare alla fabbrica D’Amico a Molina, promettendo, però, alla signora Melamerson, che non voleva che andasse via, di ritornare appena si fosse presentata l’occasione, cosa che avvenne pochi mesi dopo. Al suo ritorno alla Melamerson, Giovannino trovò Guido Gambone che lo aveva sostituito come primo pittore. E fu subito una intensa collaborazione, un’intesa che solo tra artisti veri può esistere, pur nelle diversità di linguaggi. Un sodalizio d’arte che, per un breve periodo, continuò anche nell’esperienza post bellica de “La Faenzerella” messa su da Gambone insieme ad Andrea D’Arienzo.
Giovannino Carrano era nato il 9 febbraio 1913 a Marina di Vietri sul Mare, un’abitazione vicina alla chiesa parrocchiale di S. Maria di Porto Salvo; con la puntualità che lo contraddistingueva, aveva annotato: «Era domenica, alle ore 11». Una puntualità che mostrava soprattutto nel suo lavoro per il quale frequentava quei libri che non gli era stato possibile leggere per studio. Ricordava don Vincenzo Solimene, lungimirante imprenditore ceramico: «Nel suo silenzio, che era studio e professionalità oltre che carattere, Giovannino realizzava delle cose splendide. Parlava poco, anche se con lui lavorava l’esuberante “Ninino” Pecoraro, un bravo pittore di paesaggi».
Pur formatosi nella frequentazione di quegli artisti mitteleuropei che a Vietri diedero vita ad una bella stagione ceramica, Giovannino non si fece mai influenzare da certi stilemi o linguaggi che non gli appartenevano e che erano stati inseriti nella tradizione ceramica vietrese. La sua personalità rimase legata al suo territorio, al suo banchetto di colori, alle storie e alla cultura della sua terra. Il mito da lui frequentato e disegnato non era lo stesso di quello realizzato dai tedeschi: vi dialogava non da estraneo, per lui era discendenza diretta. Anzi alla staticità delle rappresentazioni tipicamente tedesca, Giovannino diede movimento; egli fu il traghettatore, dopo la guerra, da un periodo stilistico europeo ad un nuovo periodo, quello vietrese, che conservava il tratto colto del precedente influsso, ma acquistava dinamicità mediterranea. Basti guardare la fontana posta di fronte alla fabbrica di Paolo Soleri a Vietri sul Mare per capire il dinamismo ceramico di Giovannino e il suo rapporto con il mito della classicità. Giovannino realizzò la fontana nel 1955: due colonne alte, quasi a richiamo di quelle d’Ercole, in giallo e verde ramino quali sorgenti d’acqua, a discesa in vasca adornata esternamente da quattro pannelli a bassorilievi per un racconto del mito.
La guerra, la fuga dalla storia del nucleo di ceramisti tedeschi, gli internamenti nei campi di concentramento, la caduta dei totalitarismi di destra, cambiarono molte cose e molti rapporti a Vietri. Così Giovannino, nel 1947, andò a lavorare dai Solimene, che avevano intuito quanto fosse necessario stabilire nuovi codici imprenditoriali. E fu la fabbrica di Paolo Soleri, studio d’architettura, monumento visivo all’arte della ceramica, opera unica in Italia progettata dall’architetto torinese. E Giovannino fu lì a lavorare, in quella grande prua di nave, a tracciare il suo quotidiano linguaggio con l’arte.
Poi il tentativo di realizzare il sogno, una bottega in proprio, messa su insieme al cognato, un’esperienza durata poco.
Ed ecco l’ultimo approdo, alla fabbrica Pinto. Era tra il 1958-59 e don Raffaele Pinto, uomo di intelligenti capacità imprenditoriali, lo accolse con immediatezza, lasciandogli libertà di lavoro, quella che sa di rispetto per l’arte. Così lo ricordava: «Riservato, quasi taciturno, se non interrogato difficilmente si distraeva dal suo lavoro, dal suo mondo di segni e colori. Inoltre era un uomo calibrato. Non eccedeva in niente, neanche nel fumare, e fumare una sigaretta era quasi una giustificazione ad una necessaria pausa». Per questa fabbrica nel centro di Vietri sul Mare, Giovannino realizzò, nel 1977, il grande “racconto graffito” che riveste l’edificio nei due lati esterni esposti alla quotidianità del paese. Un “testamento” pittorico nel quale vi è la memoria storica ed artistica del paese: la chiesa madre di San Giovanni Battista e il pescatore solitario, la tirata delle reti e l’uomo sul carretto, le donne alla fontana, quella con la capretta e quell’altra che si trattiene col “monaco di cerca” e, infine, i cani inseguiti dalla lepre a richiamo di contrappasso; tutto in nero e manganese, in varie intensità, graffito nel buio dei colori. Per 55 dei suoi 69 anni, Giovannino aveva guardato e dipinto, nelle varie stagioni della loro storia, gli uomini con i loro amori ed affanni, le cose nel loro evolversi, il mare e la sua storia antica e di oggi, la terra con l’immensa generosità. Aveva dipinto con professionalità, fantasia e studio, senza mai cedere alle sirene delle mode, restando sempre fedele al suo banchetto di artigiano dove le ciotoline offrivano colori antichi: sapienza e memoria di una civiltà fatta di argilla!
Dopo una breve malattia Giovannino Carrano, il 19 marzo 1982, accantonò per sempre i colori, la ceramica, un mondo di intimità con l’arte e il mito, lasciando i suoi spazi soffusi di ordinate atmosfere.
Spazi ceramici che ancora oggi raccontano di un ceramista, di un uomo che nella sua tranquilla, umile umanità, non sapeva o non riteneva di essere un grande artista.
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