«Era un anno fertile per il grano come mai in passato, era tutto in abbondanza… Nei giorni dei grandi temporali il cielo era rosso. La pioggia portava con sé la polvere dei deserti d’oltremare. I vecchi dissero: ci sarà la guerra! Nessuno prestò credito alle loro parole e nessuno fece nulla. Cosa si poteva fare contro la profezia! Solo cantammo per intere giornate, fino a restare senza voce, per poter consumare tutte le vecchie canzoni, perché non ne restasse nessuna che venisse sporcata dal tempo».
È un piccolo estratto del diario di guerra “Indicazioni Stradali Sparse per Terra” di Nedzad Maksumic (poeta bosniaco), che introduce con venature inquiete, il tragico epilogo della guerra in Bosnia ed Erzegovina, considerato come il più lungo e sanguinario assedio nella storia bellica della fine del XX secolo, con oltre 12.000 vittime e oltre 50.000 feriti, di cui l’85% civili. Oltre alle anime innocenti, troviamo i danneggiamenti della Biblioteca Nazionale, nel fuoco, una parte importante della memoria di un intero popolo, migliaia di testi non più recuperabili.
Una guerra si sa, o almeno dovrebbe essere tale, mette alla luce con spavalda sete di supremazia, l’inutilità funesta della “ragione” bellica a scapito della più sensata propensione delle volontà popolari – quindi dei civili – alla salvaguardia del proprio vivere, di partecipare con intenti interamente opposti, al mantenimento di una giustizia sociale, equa e pacifica, rispettosa e solidale. Pace. La storia, purtroppo registra e si riscrive ciclicamente con gli stessi orrori, con le stesse atrocità di un tempo – che ritorna attuale – di un uomo “forte” e detentore di presunte e valide motivazioni, un pretenzioso scenario che si maschera tra la follia delle “operazioni speciali”, il voler traslare l’opera umanitaria imposta e corazzata con la doppia leva in pompa magna, sulle ragioni patriottiche nel concepire, e in un certo senso mettere nel conto, assedi e massacri.
La minaccia delle armi, la straziante impossibilità delle madri e dei padri, le perdite, i pianti, la polvere dei palazzi a fuoco, le fughe per la sopravvivenza, la fame e la sete di chi non ha più niente, sono lo specchio riflettore di una condizione che non riconoscerà mai un vincitore. L’intera umanità viene sconfitta e lo sarà in brandelli per sempre! Pertanto, nell’arginare il dolore, il tempo e la storia, ci ha sempre fornito degli elementi concreti da preservare e custodire con osservanza massima, al di là di qualsiasi punto di riferimento ideologico degno del rispetto e della riconoscenza, la memoria. È il caso del racconto e della raccolta di migliaia di esperienze, vissute in prima persona, da chi purtroppo ha avuto la sciagurata sorte di vivere il dramma della guerra. Tuttavia in queste sedi, vengono escluse e ripudiate con l’arma gentile della magnanimità e della compassione, ogni riferimento di disuguaglianza e di discriminazione, ma in antitesi allo scenario della morte e della belligeranza spietata, i valori dell’altruismo e del senso universale della fratellanza, rimangono gli unici elementi legittimi, semplici ed essenziali, per poter tracciare un percorso sensato ed evoluto per l’intera umanità. Sarà colpa del disinteresse, anche quella dei divulgatori di futili e dispersivi contenuti generalisti che, ha illuso tutti di poter godere a lungo spensierati, sotto un’unica fragile bandiera arcobaleno, sotto la quale si nascondeva inconsapevole lo sgretolarsi dei principi dell’intelletto, così tanto distratti dalle problematiche legate ai diversi conflitti in corso dell’era attuale, certo, anche quello ucraino risalente al 2014.
In questa direzione, ho avuto modo di scoprire un accaduto straordinario risalente alla Seconda Guerra Mondiale, un contesto che ritorna terribilmente attuale. Ho avuto modo di poterne dialogare al telefono direttamente con l’autore, che ha raccolto la testimonianza in un libro, il gentile e disponibilissimo Prof. Cosmo Guazzo – in passato collaboratore anche per la nostra testata. Una storia, una delle tante rimaste sepolte nei lontani vissuti dello scorso secolo che, contribuisce a costruire e a rendere ancor più viva la memoria storica in modo da, come si enunciava in precedenza, poter fornire ai posteri l’attinenza necessaria e formativa al vero valore del vivere.
Il libro documento “Incontri con la storia – Cav. Luigi Peduto”, l’amore universale e fratellanza tra i popoli racconta la storia del cilentano Luigi Peduto originario di Castel San Lorenzo e l’ucraina Mokryna Juruzuk.
È il 1943, quando Luigi Peduto, poco più che ventenne, viene assegnato alla 2ª Compagnia autonoma del Battaglione di stanza a Spalato (Croazia). Analoga alle sorti di tanti altri sventurati giovanissimi arruolati, viene catturato dai tedeschi e, dopo 15 giorni di cammino a piedi raggiunge il “17° B Stamlager”, il tristemente noto campo di concentramento nazista di Krems, nei pressi della città di Sankt Polten in Austria, dove è internato. Qui conosce l’ucraina Mokryna Maria Yurzuk, condannata ai lavori forzati e madre di una bimba ancora in fasce, che il sottufficiale provvede a sfamare anche con il proprio misero pasto.
Fu lì che Luigi incontrò l’ucraina Mokryna Yurzuk, o meglio Maria come la chiamava lui, anche lei giovane ventenne deportata. Mokryna non parlava l’italiano e Luigi conosceva solo alcune frasi in ucraino, ma nonostante ciò i due si innamorano perdutamente. In un luogo di tanto dolore e crudeltà, la coppia riuscì a sopravvivere sostenendosi a vicenda: lui le portava da mangiare, lei in cambio gli cuciva gli abiti. Quando il campo fu liberato nel 1945, la ragazza fu rimandata in Ucraina e a Luigi fu impedito dalle autorità sovietiche di unirsi alla sua innamorata. Tornati nel proprio paese d’origine, entrambi si sono costruiti una vita parallela. I due sopravvivono a quell’inferno, ma una volta liberi, si perdono di vista. Ognuno segue il proprio destino, l’uno nel Cilento incontaminato e l’altra al di là della Cortina di ferro. Luigi però non ha dimenticato quella donna che durante la prigionia lo guardava con affetto e con lui sognava la libertà, pertanto non ha mai smesso di cercarla. Ci riesce però, dopo 61 anni nel 2004, grazie a un programma della televisione ucraina “Zhdimenya/Aspettami”, equivalente dell’italiana “Chi l’ha visto?”
In quel momento Luigi, il più emotivo dei due, ha potuto finalmente riabbracciare Mokryna, e da allora i due innamorati non si sono più separati. Questa commovente riunione è stata immortalata e fusa in bronzo nel 2013, in un parco di Kiev, vicino al Ponte degli Innamorati; una destinazione popolare tra le giovani coppie che si promettono eterno amore. La scultura rappresenta l’amore tra Luigi e Mokryna, ormai anziani, stretti in un immortale abbraccio. Una copia esatta della scultura è stata inaugurata anche nella città natale di Peduto, a Castel San Lorenzo, il 30 aprile 2017. L’opera è diventata simbolo di amore eterno che la guerra ha riunito e poi separato. La versione italiana dell’opera, chiamata “la Fratellanza Universale”, rappresenta metaforicamente un abbraccio tra due popoli, l’Italia e l’Ucraina, che hanno entrambi sofferto per i tragici eventi bellici della Seconda Guerra Mondiale. Luigi Peduto è morto nel 2013 all’età di 91 anni e pochi anni dopo lo ha raggiunto Mokryna, il loro amore resterà scolpito in eterno.