Per ridare senso alla vita in questi giorni di guerra unica prospettiva di vittoria è avere un cuore pieno di amore perché, come ha detto Gandhi “un uomo vale quanto vale il suo cuore”, invito a coltivare la speranza ed operare per il bene nella casa comune, dove sperimentare con i fratelli la pace. La nostra esistenza diventa vitale quando segue le ispirazioni del cuore grazie al quale si producono i frutti buoni della morale evangelica, che è etica della fecondità, della parola che consola, del sorriso che dà gioia. Così il Signore libera e fa passare dalla terra di schiavitù a quella della libertà, terra promessa che si raggiunge dopo aver attraversato il deserto, luogo che obbliga ad operare una scelta tra Dio e ciò che è contro di Lui.
Le settimane di Quaresima dovrebbero aiutare a riflettere soprattutto nell’attuale tragica situazione per comprendere anche quello che si può e si deve fare per riportare la pace. Ci aiuta nella necessaria meditazione il passo del Vangelo letto domenica scorsa (Luca 4,1-13), che racconta le tentazioni di Gesù. Esso appartiene al genere letterario che il giudaismo conosce come haggadá, cioè una narrazione con un insegnamento da trasformare in norma di vita.
Gesù è veramente uomo e vive il nostro travaglio; Egli sperimenta le tentazioni della fame, della sete, dell’idolatria, subisce quella del potere, sete di dominio attraverso il possesso dei beni e dei regni, motivo ricorrente nella storia dell’uomo e che in questi giorni ci ha fatto precipitare nella guerra. A questa tentazione si affianca quella del successo, la ricerca dell’applauso, la smania di stupire. Egli risponde confermando la sua vocazione: “non tenterai il Signore Dio tuo”. Davanti all’alternativa radicale – fidarsi di Dio o perseguire la logica dell’immediato che ripaga col beni, potere, successo effimeri – Gesù sceglie e traccia la strada per chi si affida all’amore di Dio.
Questa l’alternativa è la nostra Quaresima: scegliere e aiutarci a scegliere bene, con una certezza radicale: vale la pena vivere così, sapendo per chi viviamo. Infatti, “credere in Cristo” significa essere convinti che il dono più grande c’è l’ha fatto Lui, il dono della vittoria sulla morte: perché siamo già come risorti nella speranza, non una probabilità, ma certezza proiettata nel futuro, come il seme nel quale c’è tutta la pianta, anche se non la vediamo, basta piantarlo. E’ un impegno urgente in queste ore per far rifiorire la pace convinti che dalle pietre non si può ricavare pane, quindi rispettiamo la natura praticando la vera ecologia. Meditare in silenzio fa comprendere che è impossibile fare dell’io un dio capace di potere assoluto. Quindi, consideriamoci tutti fratelli e vicendevolmente responsabili del reciproco benessere, soprattutto non pretendiamo di impressionare in modo appariscente, dimenticando che ciò che conta è essere autenticamente se stessi, capaci di umiltà per praticare una genuina relazione di pace con tutti.
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