L’attacco armato che la Russia di Putin ha sferrato ai danni dell’Ucraina lo scorso 24 febbraio è soltanto l’acme, cioè l’ultimo atto di una guerra, in realtà, iniziata nel lontano 2014. La crisi attuale affonda le sue radici nella rivoluzione ucraina di otto anni fa, che scoppiò per protesta nei confronti dell’allora presidente Janukovych, reo di non aver firmato l’accordo di associazione con l’Ue e di essersi rivolto a Mosca, manifestando afflati di pensiero eccessivamente russofili. A seguito di ciò, nell’aprile del 2014 scoppiò la guerra del Donbass, sobillata dagli ucraini filorussi contrari all’ingresso della nazione nell’area politica Ue ed alla rimozione di Janukovych. Evento, quest’ultimo, che indusse Putin a dare il via all’operazione militare che portò all’annessione della Crimea, con l’obiettivo di ricondurre la nazione Ucraina sotto l’influenza della Russia. I separatisti del Donbass, cioè dell’area del fiume Donetsk, reagirono dichiarandosi indipendenti dal governo di Kiev e fondando le Repubbliche di Lugansk e Donetsk. Le stesse repubbliche di cui, lo scorso 21 febbraio, in barba agli accordi di Minsk, Putin formalizzava il riconoscimento, annunciando, di fatto, l’inizio del conflitto.
Ebbene, questa guerra è ancora in atto. Anzi si potrebbe quasi pensare che il recente attacco della Russia sia soltanto l’ultimo atto della stessa. E che le sue reali cause vadano ricercate nell’atavica acredine che la nazione di Putin nutre da sempre nei riguardi dell’occidente e di quegli stati che, come l’Ucraina, pur provenendo da un alveo sovietico, strizzano l’occhio alla cultura mitteleuropea. Va ricordato infatti che in Ucraina convivono da sempre due anime: l’una, filo occidentalista, che vorrebbe il paese in Europa e nella Nato; l’altra, filo russa, che non ha mai veramente accettato l’eclissi dell’Unione Sovietica. Si ricordi, inoltre, che ad oggi, il paese guidato dal Presidente Zelensky non è ancora né membro dell’Ue né della Nato, anche se è geograficamente parte dell’area europea, specialmente da quando, nel 1991, ha ottenuto l’indipendenza dall’ex Urss.
Ora, se il nichilismo è il sentimento del nulla che calpesta e fagocita valori quali la pace, la libertà, l’uguaglianza e la fede, allora lo “zar” di San Pietroburgo è senza alcun dubbio un nichilista compiuto. Lo è perché sembra non “credere” che il sangue versato in Ucraina abbia un valore. E lo è anche perché sta dimostrando al mondo intero che per lui l’unico valore per cui valga la pena esistere sia, al di là del bene e del male, l’interesse solipsistico ed espansionistico della sua amata Russia. Chissà cosa ne avrebbero pensato Nietzsche e Dostoevskij!
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