I container sono 212 ben visibili dal lungomare e dalla medina che domina la città; sono bloccati da più di otto mesi nel porto di Sousse. I container sono sistemati di fronte alla passeggiata che corre lungo il mare di questa città a 140 chilometri da Tunisi. Una scritta in arabo chiede di “rimandare indietro i container di rifiuti provenienti dall’Italia”.
Altri manifesti chiedono di far “uscire l’immondizia italiana”; “non accetteremo i rifiuti italiani”; “l’Italia ha cercato di usare la Tunisia come una discarica” … Alla dogana di Sousse i “rifiuti” sono stati denunciati come rifiuti plastici, in realtà si tratterebbe di scarti della raccolta differenziata domestica. Trasferiti in Tunisia grazie a un accordo tra la Sviluppo Risorse Ambientali (Sra), un’azienda con sede a Polla, e la tunisina Soreplast. Le due imprese hanno stipulato un contratto per l’invio di 120mila tonnellate di rifiuti “non pericolosi” in Tunisia. Prezzo pattuito: 48 euro a tonnellata, per un totale di 5,7 milioni di Euro. Il contratto è stato siglato alla fine di settembre del 2019 e suggellato da una visita reciproca dei titolari delle due ditte, il salernitano Alfonso Palmieri e il tunisino Mohamed Moncef Noureddine, ai rispettivi impianti di Sousse e di Polla. Una volta ottenute dalla regione Campania le autorizzazioni per l’invio dei materiali, il 22 maggio 2020 è partito il primo carico: settanta container imbarcati al porto di Salerno su una nave battente bandiera turca, la Martine A della Arkas Container Transport, sbarcati in Tunisia pochi giorni dopo e trasportati in un deposito della Soreplast a Moureddine, un piccolo comune a una decina di chilometri da Sousse. A luglio erano già arrivati altri tre carichi, per un totale di 7.900 tonnellate di spazzatura, quando alle dogane tunisine qualcuno si è insospettito e ha aperto i container, scoprendo che all’interno non c’erano solo rifiuti plastici e un’ispezione a campione nei container ha fatto scoprire che c’erano rifiuti domestici non valorizzabili e difficilmente riciclabili: pannolini, scarpe, pezzi di cartone, para-urti di automobili, giochi per bambini”. La Soreplast avrebbe dovuto trasformare e riesportare come prodotto finito.
Il sequestro giudiziario dei container accumulati sulla banchina del porto tunisino è scattato immediatamente: lo spazio dove sono parcheggiati costa 26mila euro al giorno e in 8 mesi, si è arrivati a un debito di quasi sette milioni di euro. La cifra è destinata a lievitare e non si sa chi dovrà pagare …
Anche in Tunisia c’è una coscienza ambientalista … e gli attivisti hanno denunciato “il più grande scandalo ambientale internazionale mai accaduto in Tunisia”.
Questi 282 container sono arrivati qui da noi senza che ne sapessimo nulla”, dice Hédi Chebili, direttore generale al ministero dell’ambiente. La convenzione di Bamako del 1991 vieta l’importazione in Africa di scarti pericolosi, mentre quella di Basilea del 1989 per la regolamentazione dei movimenti transfrontalieri di rifiuti e il regolamento europeo 1013 del 2006 ne autorizzano l’esportazione verso un paese terzo solo se è in grado di riceverli e ha una fabbrica che possa procedere al loro riciclaggio. Secondo queste normative, i container non sarebbero mai dovuti partire, sia perché i rifiuti classificati con il codice Y46 della convenzione di Basilea sono considerati “pericolosi” sia perché la Soreplast non dispone di impianti di riciclaggio.
Sembra che “le autorità sono state informate solo a luglio del 2020, a cose fatte”, e che “Ci sono stati diversi errori nelle procedure” … Ora la vicenda è in mano alla magistratura. Infatti, dopo che lo scandalo è esploso, la procura di Sousse ha aperto un’inchiesta e il 22 dicembre 2020, 12 persone sono state arrestate e altrettante indagate: il ministro dell’ambiente Mustapha Laroui, il suo capo di gabinetto, dirigenti dell’autorità doganale, dell’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (Anpe) e dell’Agenzia nazionale per la gestione dei rifiuti (Anged). L’amministratore unico della Soreplast, Mohamed Moncef Noureddine, è irreperibile da allora. A quel punto la regione Campania ha bloccato le spedizioni, ha chiesto alla Sra di riportare i container in Italia e ha denunciato la vicenda alla Procura della Repubblica di Salerno.
Un certificato di avvenuto smaltimento, recapitato alla Sra di Polla, attesterebbe che 1.840 tonnellate (il 95 %) dei rifiuti arrivati dall’Italia e non bloccati sarebbero stati trasformati in tubi di plastica per l’irrigazione, sono in pochi a crederlo!
Dalle carte che l’azienda italiana ha in mano risulta che è stato l’ente tunisino preposto ad autorizzare la Soreplast a importare i rifiuti in Tunisia.
Purtroppo, sembra che tutte le procedure siano state falsificate.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la Soreplast avrebbe avuto appoggi sia alla dogana sia alla sede regionale dell’Anged di Sousse per ottenere il passaggio dei container. Un laboratorio di Sousse, inoltre, attesta che i rifiuti erano composti al 90% da materiale plastico ma, analisi ulteriori disposte dalla procura, smentirebbero quelle conclusioni, tanto che il tecnico del laboratorio oggi è in carcere. L’amministratore unico Mohamed Moncef Noureddine sarebbe nascosto in Germania e non risponde alle domande dei giornalisti di Internazionale.it.
Alfonso Palmieri, proprietario della Sra, dichiara di essersi “accertato di persona che esisteva un impianto di selezione ed estrazione dei materiali” e la sua azienda ha garantito la propria affidabilità con due fideiussioni per un totale di 6,7 milioni di euro e ha versato nelle casse della Soreplast 230mila euro per le prime due spedizioni.” La Sra si trincera dietro le autorizzazioni e le carte in regola, accusando la regione di aver commesso degli errori e poi di aver scaricato l’azienda. “Siamo stati lasciati soli”, lamenta Palmieri. La regione Campania ha intimato alla Sra di riprendersi i rifiuti. L’azienda invece vorrebbe risolvere la faccenda con un arbitrato internazionale e far smaltire le balle di spazzatura dove si trova. Secondo i dirigenti quello che è successo dall’altra parte del Mediterraneo è “un problema tunisino”.
Ma la Sra che cos’è?
Ogni giorno decine di camion della Sra percorrono le strade dell’Area Protetta 2^, per estensione, d’Italia: il parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni. lo fanno per raccogliere i rifiuti dei sedici comuni i cui territori sono compresi in tutto o in parte nel parco e che hanno appaltato all’azienda la cosiddetta “gestione integrata dei rifiuti”, vale a dire dalla raccolta allo smaltimento. È un’azienda con 150 dipendenti, 500mila euro di capitale sociale e dieci milioni di fatturato all’anno. Al taglio del nastro del nuovo stabilimento, il 25 giugno 2017, erano presenti sindaci e amministratori, l’assessore regionale al turismo Corrado Matera e una delegazione della Confindustria di Salerno. “Qui arriva la spazzatura dei cittadini e di numerose attività commerciali, soprattutto supermercati e centri commerciali”, spiega Ciro Donnarumma, che come responsabile della logistica della Sra ha organizzato i carichi e le spedizioni dei container in Tunisia. Prima di sigillarli, ha scattato 2.500 fotografie per testimoniare che il contenuto corrispondeva a quanto dichiarato. Poi ne ha seguito il viaggio, affidato a quattro diverse compagnie di trasporti, lungo gli 83 chilometri di autostrada Salerno-Reggio Calabria che separano la zona industriale di Polla dal porto di Salerno.
Dall’esterno dello stabilimento la spazzatura non si vede, è solo annunciata da odori a cui chi ci lavora è abituato. Dentro, gli impianti funzionano a pieno regime. Alcuni operai selezionano a mano i rifiuti che passano sui rulli trasportatori, una macchina separa il metallo dall’alluminio, mentre dei selettori ottici fanno altrettanto con la plastica e il tetrapak. La carta è accatastata a parte. Quello che rimane finisce negli scarti di lavorazione. C’è di tutto: piatti di plastica sporchi, bottiglie, immondizia che non sarebbe dovuta finire nei sacchetti della differenziata. Rifiuti che prima dello scandalo sarebbero dovuti finire in Tunisia. Ora potrebbero subire un secondo processo di recupero, ma “il costo di un’ulteriore selezione sarebbe troppo alto rispetto a ciò che si recupera”, spiega Donnarumma. Per questo sono compressi e vanno a formare le gigantesche balle da spedire all’estero. A prima vista, sono molto simili a quelli fotografati dall’attivista Chebaâne al porto di Sousse. Se la regione Campania non avesse bloccato le spedizioni, sarebbero già in viaggio o arrivati a destinazione. Invece, lamenta Alfonso Palmieri, “siamo stati costretti a cercare di corsa degli impianti italiani che ci hanno chiesto cifre più alte di quelle di mercato”. La Sra manda gli scarti della raccolta differenziata anche in Bulgaria, Lettonia, Portogallo e Turchia. Era la prima volta che li spediva in Tunisia. Non è l’unica azienda a lavorare in questo modo, è solo uno degli anelli di un sistema di smaltimento che fa capo alla regione. È importante ricordare i dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) che certificano che Campania è la regione italiana che esporta più rifiuti all’estero: 184mila tonnellate nel 2019, di cui 142mila sono residui degli impianti di trattamento meccanico, come quelli che escono dalla Sra di Polla. Questo, secondo l’Ispra, fa lievitare il costo pro capite della gestione dei rifiuti rispetto alla media nazionale, da 175 euro all’anno a 203,53 euro. Mentre lo smaltimento dell’immondizia è nelle mani di un pugno d’imprese che si dividono una torta da centinaia di milioni di euro. La Regione Campania ogni anno autorizza tra le 40 e le 50 spedizioni come quelle bloccate in Tunisia.
Dopotutto, solo per eliminare le piramidi di ecoballe ereditate dagli anni passati, la giunta guidata da Vincenzo De Luca ha usato un finanziamento statale di 500 milioni di euro. Per anni, la destinazione principale è stata la Cina. Ma nel 2018 anche la Cina ha chiuso le frontiere all’immondizia europea e i rifiuti prodotti in Campania hanno finito per inondare tutto il bacino euromediterraneo. Con la spedizione in Tunisia, per la Sra risparmia rispetto allo smaltimento in Italia si aggirava attorno al 20 per cento, nonostante le spese di spedizione di 70 euro a tonnellata da aggiungere ai 48 euro da pagare alla Soreplast. Visto il caso tunisino è lecito chiedersi se ci sono altre aziende campane che hanno messo in piedi un sistema di esternalizzazione del trattamento dei rifiuti in paesi dove i controlli sono meno stringenti.
Per il futuro conforta sapere che con la tecnologia la regione potrebbe monitorare in tempo reale tutti i trasporti transfrontalieri e nei tre giorni precedenti la partenza potrebbe inviare gli ispettori dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (Arpac) a verificare che la spedizione sia in regola. La Sra, dal canto suo, ha fatto analizzare il contenuto dei container a un laboratorio accreditato, l’Ermete di Ercolano. Dalle analisi non risulta la presenza di sostanze tossiche o rifiuti pericolosi. Ci sono in maggioranza plastiche, e poi carta, cartone, legno, polilaminati, polistirene e spugne.
Come confermano fonti della regione, il caso in questione sarebbe nelle mani dei magistrati della procura della repubblica di Salerno. Ma sull’andamento delle indagini, affidate al Nucleo operativo ecologico (Noe) dei carabinieri e alla guardia di finanza, c’è il massimo riserbo.
Non poteva mancare l’avvertimento che il legale della Sra sui problemi occupazionali che ricadrebbero sui dipendenti “se l’azienda fosse costretta a riprendersi i rifiuti e a pagarne il prezzo: si rischierebbe il fallimento, mandando per strada 150 lavoratori e creando un problema sociale di non poco conto”.
Dopo tutto, negli uffici della direzione distrettuale antimafia di Salerno la Sra – che è subentrata alla “FondEco”, era di proprietà di Tommaso Palmieri, padre di Alfonso – è conosciuta. Nel 2016 i vertici dell’azienda sono stati rinviati a giudizio per associazione a delinquere finalizzata alla gestione illecita di rifiuti speciali non pericolosi.
Intanto, i container restano bloccati in una specie di limbo al porto di Sousse. “Siamo fiduciosi che la questione si risolverà di comune intesa con l’Italia, che è un paese amico e un nostro partner imprescindibile”, dice Hédi Chebili negli uffici del ministero dell’ambiente tunisino. Ma non tutti condividono l’atteggiamento attendista del governo di Tunisi: “È sconcertante che l’Italia, sempre così pronta a rimpatriare gli immigrati tunisini che arrivano via mare in Sicilia, non sia riuscita in otto mesi a rimpatriare i propri rifiuti inviati illegalmente in Tunisia”, afferma Majdi Karbai, deputato dell’assemblea nazionale tunisina eletto nella circoscrizione Italia.
Molti dati di questo articolo sono stati estrapolati dal di Internazionale.it n° 1403.