Il panorama del bestiario ceramico di Vietri sul Mare è certamente ricco di esemplari, variamente immaginati, a partire da quella nutrita schiera presente sui presepi meridionali (bue, asinello, pecore, cammelli, maiali, animali da cortile, e chi più ne ha più ne metta) facenti parte di una tradizione di religiosità popolare che li vuole anche dipinti su piastre di edicole votive, accanto a Santi protettori quali il maiale per Santo Antonio Abate, il cane per San Vito e San Rocco, il cane per San Domenico, l’agnello per S. Giovanni Battista. Da non dimenticare, inoltre, le eleganti giraffe da arredo, i pesci bottiglia, i ciucci musicanti dei Procida, sino ai tori di Andrea D’Arienzo e, molto recentemente, quelli stilizzati in rosso selenio di Antonio D’Acunto. Di certo, però, l’animale più caro ai vietresi, tanto da divenirne il simbolo di un immaginario collettivo, è l’asinello, o meglio ‘u ciucciariello, modellato per la prima volta come souvenir durante quell’interessante periodo mitteleuropeo nella ceramica vietrese.
Son passati non pochi anni da quel primo ciucciariello uscito dalle mani di Hilde Ramberlieg, un’artigiana di Stoccarda che lavorò per un anno nella bottega di Richard Dölker, modellando animali e soprattutto asinelli, una invenzione che è rimasta viva più che mai nella quotidianità ceramica del paese costiero e che si rafforza con innovazioni, nuove invenzioni pur nel rispetto di quella che può bene considerarsi una tradizione tipicamente locale. E’ il caso del ciuccio di Pasquale Liguori, secondo di tre fratelli ceramisti, geniale per le sue innovazioni non solo nel tratto, ma nella ricerca di nuove composizioni di forme e soprattutto di smalti, che lasciano semplicemente affascinati. Basti pensare a quelle miniature, veri racconti visivi, racchiuse nel centro di una larga cornice monocroma di una piastrella di misure tradizionali e in quelle di più ampie dimensioni. Oppure a quei portaoggetti ad ovale stretto, allungati come una foglia di quercia-ghiaia o una vagolante piroga antillana. Oggetti tutti nei quali domina la raffinata ricerca di nuovi smalti, nuovi percorsi cromatici. Ora Pasquale Liguori si è inventato “il ciuccio con il figlio”, affidando ad esso il compito dell’amore, della dolcezza, sì che si mette anche in dubbio che quello prodotto non sia più il ciuccio, bensì un’asina: cosa questa tutta da scoprire. Di sicuro, per il momento, sembra essere il ciuccio vietrese… in evoluzione.
E’ del 1974 un articolo del giornalista e scrittore faentino Roberto Bosi che scriveva: «Una delle figure plastiche che oggi destano la curiosità dei visitatori, è costituita da un asinello dall’aspetto quasi grottesco: fu una invenzione di un innamorato di Vietri, Riccardo Dölker, un tedesco amante dell’Italia, che ha avuto, nella sua ricerca di un luogo di elezione, un’avventura tutta piena di luce e di sole». E quasi seguendo una lunga scia d’amore per questo territorio e per questo artigianato, mai uguale a sé stesso nonostante i secoli trascorsi e gli artigiani ed artisti che vi si sono avvicendati, Pasquale Liguori, con bottega in quell’agglomerato di case montane chiamato Raito, ma definito “il trono del sole”, guarda al passato e, con sornione sorriso, sguazza nel futuro, nel rispetto delle forme, ma con il valore aggiunto del ciucciariello (questo si col diminutivo, visto che è in groppa al ciucciopadre) e di cromie scintillanti, quasi lustri policromi a riflesso di mediterraneità. Una composizione bella, simpatica, come quei primi esemplari usciti dalla fornace di Dölker e oggi presenti al Museo di Villa Guariglia. Un asino, quello di Pasquale, non più beffardamente ridens o scimmiottante suonatore di banda musicale, ma pater benevolus per il suo piccino.
Ricorda il biblista Padre Ernesto Della Corte che «l’asino è sempre stato considerato ignorante, testardo, con poca dignità, utile quando c’è da lavorare, ma parecchi popoli, come gli Egizi, i Greci e anche gli Ebrei, gli riconoscevano una certa sacralità».
Un animale ampiamente citato nella Bibbia e usato da Abramo e dagli altri profeti. Ricorda ancora Padre Ernesto: «il profeta Zaccaria annuncia che il Messia, cavalcherà un asino quando verrà a liberare Gerusalemme. Perché proprio l’asino e non il nobile cavallo di cui non potevano fare a meno re mondani, avidi di potenza e pompa? Era una scelta ben precisa da parte di Gesù Cristo: l’adozione di uno stile di umiltà e semplicità, il ripudio di ogni forma di esibizionismo e sfoggio di potenza». E ancora oggi, a distanza di tanti secoli, nella capanna natalizia non mettiamo ancora il bue e l’asinello, animale che riconosce la mangiatoia del padrone?
A chiedergli come sia giunto a questa sua immaginifica creazione, Pasquale Liguori risponde: «Era il periodo in cui stavo pensando alla composizione di un’opera presepiale, che avesse una particolare connotazione, un qualcosa che la facesse staccare dalle solite rappresentazioni, certamente belle e ben inserite nella tradizione di quest’arte così cara a noi meridionali. Un qualcosa di particolare, così il pensiero è corso alla mite figura dell’asinello, quello che è un po’ un simbolo della nostra ceramica, e che è indispensabile per la composizione di una natività, luogo d’amore, di pace, di serenità. Allora perché non immaginare un asino con istinti materno, quindi con un figlio?». Già, un figlio, un ciucciariello, che prendesse il posto delle gerle porta sale e pepe, portastuzzicadenti, del carrettino con il venditore di frutta e verdura o al comando dello schioccante e rubicondo Ciccibacco a cassetta del carretto con le botte di vino. Era nella mente di Pasquale ed è nella raffigurazione che ha modellato, un asino dolce, sereno, lieto del fardello che l’artista gli ha posto in groppa, quel figlioletto piccolo, forse sformato nelle orecchie come lui, ma a trionfo di proverbio che vuole ogni figlio bello a mamma sua. Alla fine è una trasformazione del ciucciariello, con il rispetto della tradizione, che esalta l’antico ruolo di questo docile animale nelle sue funzioni genitoriali, perché anche “nu’ ciucciariello” per sua mamma (o padre) è “n’u piezze ‘e core”. «Quindi ho immaginato l’asinello non con il solito carico di gerle ma con un carico molto più prezioso: il figlioletto».
Quasi soprappensiero il taciturno artista vietrese dice: «L’asinello per me non è solo un simbolo portafortuna, ma fa parte del nostro passato, con un vissuto quotidiano che dipendeva dal duro lavoro che svolgeva a fianco a fianco con l’uomo». Facendo salva la formula che “ogni riferimento a cose, luoghi e persone è puramente casuale”, ma per un dovuto senso di giusta informazione, piace riportare quanto scriveva Padre Ernesto, biblista: «Il comportamento dell’asino domestico dipende dal padrone: tenuto bene, si dimostra svelto, docile ed operoso; in caso contrario, è pigro e testardo». Così è, se vi pare! Di certo alla fine questo ciucciariello vietrese tanto stupido non è, soprattutto perché a guardarsi intorno, Vietri ha creato, nelle sue botteghe artigiane, personaggi caricaturali per racconti fiabeschi, ancor prima di Walt Disney. Basta fermarsi anche un solo attimo avanti al grande mosaico di vita che Giovannino Carrano disegnò sulla facciata di Palazzo Pinto, quello della ceramica: la lepre che insegue una muta di cani, ovvero la rivincita del sempre, povero braccato sui prepotenti. Oggi il ciuccio di Pasquale Liguori si fa padre e madre e si porta sulle spalle il figlioletto, cioè il ciucciariello. Pura genialità!