Nel gelido pomeriggio di qualche giorno fa Alessandro (Sandro) Nisivoccia ha ricevuto il suo ultimo, caloroso, lungo applauso da attore uscendo dalla nuova chiesa di S. Felice a Felline al Torrione alto di Salerno, mentre don Gaetano Landi, parroco, pronunciava la rituale frase di commiato: “Che gli Angeli del Signore ti accompagnino in Paradiso”.
Un ultimo applauso per un attore che era stato per lunghi anni “Il Teatro” salernitano, ma anche l’ultimo applauso su un’era caratterizzata da Sandro per le sue recitazioni, per la sua tenacia, per gli insegnamenti ai tanti giovani che frequentavano i suoi “seminari” di recitazione e che si sono sparsi per la penisola, portando il seme del teatro salernitano loro inculcato appunto da Sandro e dalla sua compagna, sulle scene e nella vita, l’indimenticabile Regina Senatore. E’ impossibile, infatti, parlare di Sandro senza ricordare Regina, e viceversa. Era il loro un “atto unico per due” tanto era la simbiosi, l’amore professionale e umano che li legava sin da quando si erano incontrati per la prima volta sul palcoscenico da giovani attori impegnati con la compagnia di Tina Trapassi.
Nato ad Udine, dopo una peregrinatio in varie città italiane dovuta al lavoro del padre, la famiglia Nisivoccia approda a Salerno: Sandro frequenta prima il liceo Tasso a Piazza San Francesco e poi l’Università conseguendo la laurea in lingue straniere. Pur insegnando inglese in una scuola statale, Sandro non ha mai abbandonato la sua vera vocazione, quel fuoco che da sempre gli ardeva dentro e lo spingeva verso il teatro, quel difficile mestiere del recitare. Una volta un cronista chiese ad Eduardo De Filippo cosa fosse il teatro; la risposta fu: «Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male». Un assunto che Sandro ha vissuto con profonda convinzione e amore, unitamente a quello per la famiglia.
Il suo bagaglio professionale Nisivoccia se l’era costruito partendo da una piccola compagnia di Cava, passando poi a quella di Tina Trapassi, poi di Franco Angrisano e, alla fine, di Mario Maysse e con Franco de Ippolitis, elegante barone del giornalismo e del teatro salernitano. Anni, quelli, in cui era possibile ascoltare la musica di Franco Deidda al piano e le recitazioni di Franco Adamo: era il trio Franco.
Lavorare con altri servì, ma sino a un certo punto: poi Regina e Sandro si misero in proprio, fondando, nel 1964, la compagnia “Il Sipario” con sede in un locale di Via Pio XI di proprietà dell’avv. Umberto Spadafora… e non era facile lavorare alle prove con il treno che passava pochi metri sotto di loro con una puntualità oggi impensabile. E fu il trasferimento nel Centro Storico di Salerno dove Antonio Bottiglieri scovò, in vicolo Guaiferio, alle spalle di Largo Campo, dei locali inutilizzati, dove, con un buon lavoro, si poteva anche mettere su un teatro. Così nel cuore antico della città quando finiva l’eco assordante dei clacson e il tintinnare delle vecchie bilance dei mercati, quando anche l’ultima saracinesca si addormentava, in quel vicolo dal nome longobardo prendeva vita, s’agitava e si rinnovava la tradizione teatrale salernitana tra le pareti di quel teatro prima chiamato “Il Sipario” come il nome della compagnia, e poi “San Genesio”, quale richiesta di protezione all’attore mimo e comico alla corte romana di Diocleziano dal quale fu martirizzato per aver fatto professione di fede cristiana. L’inaugurazione di questo tempio consacrato, di volta in volta, a Talia o Melpomene coincise con la nascita dei due figli di Regina e Sandro, Roberto e Anna.
Così anno dopo anno, ai muri antichi, riverniciati a nuovo, si incollava ora una battuta, ora un applauso, un motivetto o una canzone. E quella stradina intitolata al principe longobardo Guaiferio, diventò per tutti via del S. Genesio.
Ma in quel locale un po’ umido, dove per entrare bisognava scendere e non salire delle scale, è passato il fior fiore di registi, si sono rappresentate commedie brillanti, lavori classici, operette e soprattutto si è formata una schiera di giovani attori che hanno trovato ampio spazio nei teatri nazionali. Era nata quella che Alfonso Andria, uno di quegli allievi, ha definito la “comunity del San Genesio” Ricorda Andria: “Sandro aveva costruito una dimensione umana, indistruttibile. Ci possono essere dissapori, ma restano stima ed affetto”.
Sfogliando un po’ di pagine dell’album ideale di questo teatro-scuola si scoprono centinaia di personaggi che, alla pirandelliana ricerca di autore, hanno preferito impadronirsi dei volti di Regina e Sandro e di quanti si sono avvicendati al loro fianco. Balzano alla memoria i nomi di Alfonso Liguori, Teresa De Sio, Peppe Bisogno, Cinzia Ugatti, Gaetano Stella, Nuccio Siani, Yari Gugliucci che ricorda: “il bello di Sandro e Regina era di saper mescolare il teatro colto con il popolare. Avevo 12-13 anni quando al San Genesio ho scoperto la magia del teatro”.
E da quel vicolo antico al cui angolo è ancora presente una settecentesca edicola votiva muta, partiva la carovana teatrale verso le rassegne di Pesaro, Mantova, Macerata, Ribera, Agrigento, Guastalla, Reggio Emilia.
In un gelido pomeriggio di qualche giorno fa, nella chiesa di Torrione alto a Salerno si sono raccolti gli amici di sempre per l’ultimo saluto a Sandro: Marcello Andria, Guido Cataldo, Adriana Pagano, Salvatore Accongiagioco, Pasquale De Cristofaro, Umberto Zampoli che firmava le sue regie con lo pseudonimo di Berto Poli, Nuccio Siano, Corradino Pellecchia, Antonio Peluos, Gianni Pisciotta, Gaetano Stella, Elena Parmense, Andrea Carraro che così ricorda il maestro: “Sandro ci ha introdotto alla curiosità del mondo, ci ha insegnato la curiosità del palcoscenico”. Erano i “ragazzi del San Genesio”, i non più giovani leoni che, chiusa l’era Nisivoccia, continuano, in vari modi personalizzati, nel tempo e negli spazi teatrali l’era Nisivoccia. “Però però…c’è un ‘ma’. Non è un vestito facile, s’addà sapè purtà!”, avvertiva il grande Eduardo.
Il Teatro San Genesio chiuse definitivamente i battenti nel 2010 per obiettive difficoltà a continuare nell’impresa. Con la signorilità che lo contraddistingueva, Sandro, pur sapendo quando “fosse duro salir le altrui scale” si rivolse un po’ ovunque per salvare quel luogo di umanità, cultura, arte: molte parole, tante promesse, nessuna concretezza. Ritornava alla mente la risposta di Regina e Sandro ad una domanda di intervista per i 25 anni del San Genesio: “Lamentiamo soprattutto la mancanza di sensibilità, di una “cultura” del teatro nei nostri amministratori. Basti pensare che dobbiamo noi pensare a tener pulito il vicolo e mettere le lampadine dell’illuminazione pubblica”.
Splendido fu il viaggio di Sandro nella Divina Commedia di padre Dante, ma superbo era quando recitava Shakespeare, autore che tanto lo avvicinava al suo mito: Vittorio Gassman. Rimbomba nell’animo e nel cuore una di quelle frasi lapidarie di Eduardo De Filippo: “Il teatro è una zona franca della vita, lì si è immortali”.
In bocca al lupo, Sandro, con la tua Regina, insieme per la prima volta sul palcoscenico dell’eternità avanti ad un parterre divino; in cartellone: da qui all’eternità.